Opera incompiuta contro Giuliano

Indice

Libro V

20 - L'Apostolo guardava alle membra, non al loro uso

Giuliano. E per fare una domanda precisa e concisa: tu giudichi che l'Apostolo, quando nominava l'uso naturale della femmina, indicò la possibilità e l'onestà dell'uso o solamente la possibilità?

Cioè: con l'aggettivo naturale volle che noi intendessimo l'uso che si poteva e si doveva fare, o l'uso che si poteva ma non si doveva fare?

Se dirai: Quello che si poteva, benché non si dovesse, come si pratica dagli adùlteri, allora non sarà contro la natura nemmeno l'altra turpitudine della fornicazione, perché essa si pratica con le membra naturali.

Se invece, spaventato, replicherai, come ha pure la verità, che l'Apostolo chiamò uso naturale quello destinato alla procreazione e compiuto onestamente, ossia appunto naturaliter, come si poteva e si doveva, cioè nei corpi o di singole donne o di più donne, concesse tuttavia successivamente, confesserai senza dubbio di aver sbagliato nell'argomentazione e che il beato Paolo con la denominazione di uso naturale non ha indicato la fornicazione, come avevi reputato tu, ma l'onesta e legittima unione dei corpi, che è adatta alla fecondità.

Noi dunque a buon diritto difendiamo in tutto il genere ciò che Manicheo accusa in tutto il genere.

Tu dici infatti che questa mescolanza dei sessi con la presenza della voluttà, istituita per opera del diavolo, è la causa del peccato originale e la necessità di tutti i crimini, e per questo tu incrimini la natura stessa.

Noi che cosa avremmo potuto fare di più logico che, teste il Maestro delle genti, difendere in tutta la generalità della natura e ascrivere all'opera di Dio ciò che tu chiamavi un male naturale?

E così è accaduto questo: per confutare te noi proviamo che è stato istituito per natura ciò che tu dici diabolico.

È questa appunto una risposta legittima ed erudita: difendere nella specie ciò che si accusa nella specie e rivendicare nel genere ciò che si incolpa nel genere.

Il che capì anche Manicheo, che tu uguagli nel crimine, ma non uguagli nell'acume.

Perciò egli trascrive al diavolo tutte le sostanze dei corpi; tu invece non tutte ma la sostanza migliore, come abbiamo detto nel precedente libro.

Circondata da sacri presìdi, ha dunque trionfato la verità, la quale, approvando per mezzo dell'Apostolo come naturale il rapporto dei coniugi e quindi come appartenente a Dio, autore della natura, ha spezzato le fantasie di voi, che giurate essere quel rapporto prevaricatorio e non naturale.

Agostino. Abbiamo già spiegato sufficientemente anche sopra quale uso della femmina l'Apostolo abbia chiamato naturale e per quale ragione lo abbia chiamato naturale: quando cioè si fa con le membra dei due sessi che sono state istituite per propagare la natura, sia che l'uso fosse tale e quale sarebbe potuto esistere nel paradiso, cioè tale da non fare uso di nessun male o non esistendo nessuna libidine o esistendo solo una libidine obbediente al cenno della volontà, sia che tale uso fosse quale è presentemente da quando cominciò ad essere: o lecito come nel matrimonio, facente buon uso e del bene del corpo e del male della libidine; o illecito come nell'adulterio, facente mal uso di quel bene del corpo e di quel male della libidine, né tuttavia allontanantesi neppure esso da quelle membra che si indicano propriamente anche con il nome di " natura ".

Non c'è pertanto nessuna ragione che tu ponga la domanda, come dici tu, " precisa e concisa ", se l'Apostolo, nell'uso che affermò naturale, abbia voluto far intendere l'uso che si poteva e si doveva fare, o l'uso che si poteva ma non si doveva fare.

L'Apostolo infatti per dirlo non guardava a nessuna di queste situazioni, ma guardava solo alle membra genitalmente naturali dell'uno e dell'altro sesso, ossia alle membra create per generare la natura.

Chi ignora infatti che l'uso lecito della femmina e si possa e si debba fare, che invece l'uso illecito si possa fare e tuttavia non si debba fare, e che però l'uno e l'altro sia naturale perché si fa per mezzo delle membra genitali di ambedue i sessi, create per propagare la natura?

Togli le tue ambagi tergiversatorie, rimuovi i fumi loquaci e fallaci della tua vanità.

La libidine degli animali per questo non è un vizio: perché quella carne non concupisce contro lo spirito.

Il che se avesse saputo discernere Manicheo, né avrebbe alienato le nature degli animali dall'arte del vero Dio, né avrebbe reputato che i vizi degli uomini siano delle sostanze.

Ma tu, se con Ambrogio e con tutti gli altri cattolici non sentirai e non penserai che per la prevaricazione del primo uomo il dissenso tra la carne e lo spirito si è cambiato nella nostra natura,11 per quanto ti sembri di detestare i manichei, rimarrai senza dubbio un loro aiutante da detestare, asserendo tu che è un bene ciò che la verità grida essere un male e negando tu che questo male provenga dalla depravazione della nostra natura, viziata dal peccato, con il risultato che Manicheo con il tuo aiuto introduca in noi la mescolanza di una natura aliena.

21 - Albero buono e albero cattivo

Giuliano. Con un simile acume tenti di abbattere anche ciò che io ho detto: L'albero, per testimonianza evangelica, si deve conoscere dai suoi frutti.

L'ho detto per indicare ciò che è chiaro: non si potrebbe insegnare la bontà dei matrimoni, anzi non si potrebbe nemmeno rivendicare in virtù dell'opera di Dio la natura stessa, che viene rifornita dalla operazione dei matrimoni, se si dicesse che da tale operazione pullulano i crimini.

A questo dunque tu hai risposto: Parlava forse delle nozze il Signore o non piuttosto delle due volontà degli uomini, cioè della buona e della cattiva, dicendo albero buono la volontà buona e albero cattivo la volontà cattiva, perché dalla volontà buona nascono le opere buone e dalla volontà cattiva le opere cattive?

Che se per albero buono intendiamo le nozze, metteremo certamente dalla parte opposta come albero cattivo la fornicazione.

Se poi dirà che in quel caso non si deve mettere al posto dell'albero l'adulterio, ma la natura umana dalla quale nasce l'uomo, anche nell'altro caso l'albero buono non sarà il connubio, ma la natura umana dalla quale nasce l'uomo.12

Ti sbagli: in quel passo il Signore non parla di due volontà, ma della sua persona.

Benché prestasse ai Giudei innumerevoli benefìci, essi non desistevano dal muovergli accuse.

Inoltre, non riuscendo a denigrare le sue opere che anche glorificavano, ricorrevano tuttavia al pretesto che egli ingannasse come un samaritano, pieno di un demonio e dello spirito di Beelzebul.

Allora dunque il Signore affermò: Se prendete un albero buono, anche i suoi frutti saranno buoni; se prendete un albero cattivo, anche i suoi frutti saranno cattivi; dai suoi frutti infatti si riconosce un albero. ( Mt 12,33 )

Cioè: o vituperate le mie opere, che le guarigioni delle infermità e le restituzioni delle sanità proclamano buone, per provarmi reprobo con la testimonianza delle mie opere; oppure, se non osate calunniare questi benefìci così grandi, rendete all'albero buono, ossia a me, la testimonianza dei miei frutti e amate il benefattore voi che predicate i suoi benefìci.

Ivi dunque il Cristo comandò che una persona fosse riconosciuta dalle sue opere: il che è stato per noi un giusto suffragio, perché insegnassimo che anche la natura e le nozze sono da giudicarsi dalla qualità della loro fruttificazione: di modo che se da esse fluisse il veleno dei crimini, si giudicasse criminosa anche la radice.

Vedi dunque quante traveggole hai nell'intendere, tu che hai reputato di levare il peso della mia obiezione opponendo tra loro la fornicazione e le nozze, in modo da far sembrare le nozze l'albero buono, così come la fornicazione l'albero cattivo.

Dalla quale, cioè dalla fornicazione, non dovrebbe provenire nessuna fecondità che si rivelerebbe cattiva, se si dimostrano buone le nozze dai loro buoni parti, poiché l'uomo, sia che nasca dal matrimonio, sia che nasca dall'adulterio, proviene non dalla turpitudine, ma dalla natura dei semi.

La turpitudine appunto, che si commette dalla volontà degli adùlteri, non turba gli statuti della sostanza; ma la natura si esplica per mezzo delle sue materie e, rimanendo il peccato presso l'autore della volontà illecita, il feto erompe innocente dall'operazione del Creatore.

Il che tu pure in verità hai visto di dover rispondere, ma in qual modo tu abbia tentato di eluderlo lo avverta il prudente lettore.

Dichiari infatti: Se in un caso non si deve mettere al posto dell'albero l'adulterio, ma la natura dalla quale nasce l'uomo, anche nell'altro caso l'albero buono non sarà il connubio, ma la natura umana dalla quale nasce l'uomo.

Questo è dunque quanto hai cercato di esprimere: Come non si attribuisce l'uomo alla fornicazione ma alla natura, così il peccato che si trae dai legittimi genitori non va attribuito al connubio ma alla natura umana, che il diavolo infettò con il crimine antico.

Negli adùlteri dunque incolpasti la volontà dei lascivi, ma lodasti la natura umana, dalla quale nascesse l'uomo anche per mezzo di illeciti concubiti; nei genitori legittimi al contrario lodasti il matrimonio, dal quale, dici, non viene il peccato, ma biasimasti la natura, dalla quale, dici, viene infuso un crimine orrendo.

Vigili qui dunque il mio lettore. Se nella fornicazione giudicasti lodevole la natura umana, che ha fatto inviolata dalle infamie dei " concumbenti " la causa del nascente, per quale ragione nel caso del matrimonio incrimini la stessa natura umana che, dici, ha prestato la causa al crimine naturale?

Dunque non certo il connubio, ma la natura umana tu professasti essere e un grande bene e un grande male.

Infatti che cosa più iniquo di essa, se ha ingenerato un crimine?

Che cosa più detestabile di essa, se è posseduta dal diavolo?

Quale arte dunque abbia nel seme lo veda la natura stessa; provvisoriamente si dimostra di una pessima qualità la natura, nella quale c'è ogni bene o male, se la natura si prova e rea in se stessa e generatrice di reati e satellite della tirannide diabolica.

Meritamente dunque l'albero dev'essere riconosciuto dai suoi frutti, perché la natura che è causa del male sia nominata " mala " con pienissimo diritto.

Agostino. Che la causa del male originale non sia né il matrimonio né l'adulterio lo mette bene in chiaro la realtà stessa, poiché ciò che c'è di buono nella natura dell'uomo nasce dall'uomo per creazione di Dio, e ciò che l'uomo ha di male e lo rende bisognoso di rinascere l'uomo lo trae dall'uomo.

Ora la causa di questo male sta nel fatto che a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così passò in tutti gli uomini, perché tutti peccarono in lui. ( Rm 5,12 )

Le quali parole dell'Apostolo nel distorcerle in altro senso con quanta loquacità abbia tu faticato invano lo vedono coloro che leggono intelligentemente i tuoi libri e i nostri.

Che cosa ti giova quindi? A quale scopo, ti prego, hai commemorato il testo evangelico: Un albero buono produce frutti buoni, quando tu parlavi del bene del matrimonio e volevi che i suoi frutti fossero gli uomini, quasi a dimostrare che per questo essi nascono senza il male per il fatto che le nozze sono un bene e un albero buono non può produrre frutti cattivi, dal momento che gli uomini nascono dagli uomini sia con il danno originale, onde l'Apostolo dice: Il corpo è morto a causa del peccato, ( Rm 8,10 ) sia senza nessun danno, come sostenete voi contro l'Apostolo, non tuttavia soltanto dai concubiti coniugali, ma anche dai concubiti impudichi, e dal momento che a volte sono sterili le nozze e fecondi gli adultèri?

Se poi il Signore abbia voluto insinuare le due volontà, come diciamo noi, nei due alberi, l'una la volontà buona per cui è buono l'uomo, e non può la volontà buona produrre opere cattive, cioè frutti cattivi; l'altra, la volontà cattiva, per cui l'uomo è cattivo, e non può la volontà cattiva produrre opere buone, cioè frutti buoni; o se, come dici tu, abbia parlato di se stesso ai Giudei, coloro che lo vogliono sapere, leggono il Vangelo e " neglìgono " te.

Il Signore infatti nel mostrare che dovevano esser evitati coloro che si presentassero in veste di pecore, ma dentro fossero lupi rapaci, afferma: Dai loro frutti li riconoscerete.

Si raccoglie forse uva dalle spine o fichi dai rovi?

Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi.

Un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. ( Mt 7,16-18 )

E secondo Luca questi due alberi sono stati commemorati e subito dopo spiegati con evidenza in un rimprovero rivolto agli ipocriti, soggiungendo e dicendo il Signore: L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore. ( Lc 6,45 )

Dove poi dice: Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo, il che tu pensi abbia detto di se stesso, aprendo subito per quale ragione lo abbia detto soggiunge: Dal frutto infatti si conosce l'albero.

Razza di vipere, come potete dire cose buone voi che siete cattivi?

Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore.

L'uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive. ( Mt 12,33-35 )

Ti accorgi o no che sei tu a sbagliare e non io?

Torna dunque alla causa dell'operare cattivo e troverai la volontà cattiva; torna alla causa del male originale e troverai la volontà cattiva del primo uomo e, viziata dalla volontà cattiva, la natura buona.

22 - Esistono innumerevoli mali naturali

Giuliano. Ma noi parliamo così per mostrare quale sia la fine della vostra fede.

Rimane del resto inconcussa la verità fondata dalle precedenti discussioni: né c'è alcun male al di fuori dell'operare della volontà perpetrante ciò che la giustizia proibisce, né si può dimostrare che sia un male ciò che è naturale.

Rimane dunque inconcussa questa torre, dalla cui cima si respingono gli attacchi briganteschi dei diversi errori.

Agostino. Che cos'è quello che dici o che cosa sono le tue precedenti discussioni se non loquacissime vanità?

Che cos'è ciò che dici: Né c'è alcun male al di fuori dell'operare della volontà perpetrante ciò che la giustizia proibisce?

Dunque non è un male la stessa mala volontà, se non c'è nessun male all'infuori dell'operare della volontà?

Né infatti è conseguente che la cattiva volontà abbia anche la facoltà di perpetrare l'opera, e quindi secondo il tuo insegnamento non sarà un male dell'uomo il volere il male, quando non lo può fare.

Chi sopporterà cotesta insipienza o piuttosto cotesta demenza?

Dove mettiamo anche queste altre conseguenze?

Se non c'è alcun male all'infuori dell'operare della volontà perpetrante ciò che la giustizia proibisce, mali non saranno tutte le azioni di qualsiasi genere che gli uomini o fanno o soffrono nolenti; non sarà un male quello che fa gridare all'Apostolo: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio; ( Rm 7,19 ) non sarà un male il supplizio del fuoco eterno, dove sarà pianto e stridore di denti, ( Mt 8,12 ) perché nessuno lo soffrirà volente e perché non è un operare della volontà perpetrante ciò che la giustizia proibisce, ma è una pena del nolente.

Quando avresti tali idee insipienti, se tu non fossi mirabilmente insensato o piuttosto dissennato?

Che cos'è anche quest'altra tua affermazione: " Né si può dimostrare che sia un male ciò che è naturale "?

E così non è un male per tacere di innumerevoli vizi naturali del corpo, la sordità naturale, che impedisce pure la fede stessa di cui vive il giusto, ( Gal 3,11 ) dipendendo la fede dall'ascolto? ( Rm 10,17 )

Ma voi, se non foste sordi interiormente, dicendo l'Apostolo: Eravamo anche noi per natura meritevoli d'ira, come gli altri, ( Ef 2,3 ) udreste con gli orecchi del cuore.

Ma andate pure avanti e gridate con cuori ciechi e sordi: Non è un male essere per natura smemorato, essere per natura ottuso, essere per natura iracondo, essere per natura libidinoso.

Per quale ragione infatti non scagliate sicuri queste parole fatue voi che non considerate un male nemmeno la stessa fatuità naturale?

Voi, negando appunto ogni cattivo merito originale, siete costretti a lodare tutti i vizi naturali, fino al punto di dire che nel paradiso, se nessuno vi avesse peccato, sarebbero nati non solo feti deformi di corpo, deboli, mostruosi, ma anche fatui, pur di collocare tuttavia tra le delizie di quel luogo beatissimo la vostra pudenda cliente, per la quale la carne concupisce contro lo spirito.

23 - A nessuno il matrimonio è piú ostile che a te

Giuliano. Ma teniamo dietro ora a quanto esige il punto in cui siamo.

Appare bene che tu, sottilissimo disquisitore, hai esaltato con grandi lodi, ma hai macchiato con ancora più grandi incriminazioni una sola e medesima realtà, cioè la natura umana.

Il che, come non può avvenire simultaneamente in un solo e medesimo tempo, in una sola e medesima opera, in un solo e medesimo progetto, così la ragione naturale non ammette in nessun modo queste contraddizioni, nemmeno quando sono alternative, pur sempre però piene di un solo interesse, ossia della stima del bene e mai a favore del male, che le istituzioni naturali non ammettono per la dignità del loro autore, a meno che questi non lo morda il dente velenosissimo dei manichei.

Ma, finito questo, chiedo quali fumi credi di seguire nei riguardi del matrimonio.

Poiché, se confessi che causa dell'uomo non è il matrimonio ma la natura, e altresì che causa del peccato non è il matrimonio ma la natura, questo matrimonio a cui tributavi la tua lode è proprio svanito tutto nel nulla.

A quale compito dunque è destinato il matrimonio, se non è a causa né del tuo male, né del mio bene?

Se escludi l'uomo dalla onestà del matrimonio per non essere costretto ad ascrivere l'uomo anche alla fornicazione, e se escludi il peccato dalla necessità del matrimonio, perché non sembri che tu condanni le nozze, che cosa è rimasto di lodevole in possesso del matrimonio?

Per quale ragione temi di violare con il discorso il matrimonio che hai abbattuto dalle fondamenta con la discussione promossa da te?

Di quale effetto si dirà dunque causa il matrimonio, se non partecipa né al male naturale, né al bene naturale?

Più nulla compie dunque il nome e l'onestà del matrimonio nelle vicende umane?

Ma tu ti senti soffocato e certo duramente: dobbiamo dunque correre in soccorso di questo vecchio affannato.

È rimasto un compito che puoi dare al matrimonio e senza il quale non se ne trova nessun altro: cioè che tu dica che il matrimonio sta sulle porte per impedire che qualsiasi fama di oscenità irrompa nella voluttà dei concumbenti, ma per rivendicare a suo titolo l'onestà e il pudore a quella operazione.

Senza una causa hai voluto dunque corrompere la fede del matrimonio con una subdola lode: a nessuno il connubio è più ostile che a te.

Esso vi respinge assolutamente e non permette alle lingue dei manichei d'insinuarsi a lacerare la mescolanza dei sessi affidata alla sua tutela.

Hanno, dice il matrimonio, i postriboli degni del loro dogma, nei quali soddisfarsi nelle ore notturne: le sentinelle del matrimonio proteggono la voluttà di coloro che rispettano la verecondia; si tengono lontani i crimini; si ammette l'onore della onestà; i privilegi concessi dall'Apostolo difendono le onorevoli nozze e i letti immacolati; ma i fornicatori e gli adùlteri li giudicherà Dio. ( Eb 13,4 )

Dov'è dunque la peccaminosa mescolanza, se alla sua funzione e al suo segreto è ossequiente l'autorità del matrimonio che tu lodavi?

Agostino. Evidentemente nel dire che l'albero si conosce dai suoi frutti tu non hai voluto che questa testimonianza evangelica giovasse alla natura, ma alle nozze.

Infatti le tue parole sono queste: Se dunque anche dalle nozze si trae il male originale, la causa del male è il patto nuziale, ed è necessario che sia un male ciò per cui e da cui è apparso un frutto cattivo, dicendo il Signore nel Vangelo: " Dai suoi frutti si riconosce l'albero ". ( Lc 6,44; Mt 7,16 )

In che modo, tu domandi, ti si può reputare degno di essere ascoltato quando dici buono il matrimonio, dal quale dichiari però che non proviene nient'altro che il male?

Consta quindi, tu dici, che rei sono i matrimoni, se da essi si deriva il peccato originale, né si possono difendere, se il loro frutto non si prova innocente.

Ma i matrimoni si difendono e si dichiarano buoni.

Quindi il loro frutto si prova innocuo.

Appunto da queste tue parole è abbastanza chiaro che hai voluto far intendere come albero il matrimonio e come frutti dell'albero quei parti che nascono dalla mescolanza dei coniugi.

Ma poiché qui ti è stata sbarrata la strada da una evidentissima ragione: anche dagli adùlteri infatti nascono tali parti, hai pensato di doverti rifugiare nella natura per nasconderti nella sua profondità.

Non parlavi della natura, quando adoperavi ciecamente la similitudine dell'albero evangelico a favore della bontà del matrimonio e della bontà dei suoi frutti.

Difendi dunque la natura contro il peccato originale.

Lascia da parte i matrimoni, di' che la natura stessa è l'albero buono, perché e dai matrimoni e dagli adultèri è la natura che genera gli uomini.

I quali uomini tu dici frutti buoni di un albero buono per queste ragioni: perché non si creda che con la generazione abbiano tratto dalla origine depravata un qualche reato da sciogliere con la rigenerazione; perché non abbiano bisogno di un salvatore; perché non siano redenti dal sangue versato in remissione dei peccati.

Compi queste operazioni come un eretico detestando: riempi il paradiso di Dio, anche se nessuno avesse peccato, delle libidini dei concupiscenti, delle lotte dei combattenti contro le libidini, dei dolori delle partorienti, dei pianti dei vagienti, dei morbi dei languenti, dei funerali dei morienti, della lugubre tristezza dei piangenti.

Agisci così: questo ti si addice.

Tali pene infatti seguono, secondo il tuo insegnamento, i buoni frutti dell'albero buono e insinuano il paradiso delle delizie, ma il paradiso dei pelagiani.

Che anzi tu, acuto dialettico, irridi la mia discussione, dicendo che ho esaltato con grandi lodi, ma con ancor più grandi incriminazioni ho macchiato una sola e medesima realtà, cioè la natura umana.

Io però non mi compiaccio di avere per maestro Aristotele o Crisippo e tanto meno il vano Giuliano con la sua loquacità, bensì il Cristo, il quale certamente, se la natura umana non fosse un grande bene, non si farebbe uomo per essa, essendo Dio, e se la natura umana non fosse morta per il grande male del peccato, non morirebbe per essa, essendo egli venuto ed essendo rimasto senza il peccato.

Di nuovo tuttavia, quasi non ti basti la natura umana, che tale nasce dagli adùlteri quale nasce dai coniugi, reputi di doverci incalzare dalla bontà delle nozze domandando che cosa compiano esse nelle vicende umane, se non va imputato a loro né il male, che non si trae da esse ma dalla origine viziata a causa del peccato, né il bene, perché l'uomo nasce anche dagli adùlteri.

E poiché troviamo che l'onestà del matrimonio è distinta dalla turpitudine del concubito illecito, da qui tu stimi che si possa concludere che nessun male originale si trae dal coito coniugale, non intuendo che, se la bontà del matrimonio fosse la causa per cui non traggano il male coloro che nascessero dai coniugi, certamente il male dell'adulterio sarebbe la causa per cui traessero il male coloro che nascessero dagli adùlteri.

Hanno quindi le nozze il loro onesto posto nelle vicende umane: non quello di far nascere gli uomini, i quali nascerebbero ugualmente anche se, a dispetto d'ogni legge delle nozze, l'uno e l'altro sesso concumbesse a caso con l'uso naturale; ma quello di far nascere gli uomini con una propagazione ordinata, e, come sono certe le madri a causa del parto, così per mezzo della fedeltà coniugale si abbiano certi anche i padri, e la tua pudenda cliente non vagoli tra femmine di qualsiasi risma, tanto più turpemente quanto più liberamente.

Ma non per il fatto che dalle nozze l'uomo nasce con la certezza di un genitore, per questo egli non ha bisogno di un salvatore per mezzo del quale rinasca per essere liberato dal male con cui nasce.

Non c'è pertanto nelle nozze una criminosa mescolanza, come ci calunni di dire; ma per questo è da lodare la castità dei coniugi, perché è la sola che può fare buon uso del male che tu lodi mostruosamente.

24 - Fingi di lodare il matrimonio e condanni la natura

Giuliano. Assolte quindi queste considerazioni, dimostrerò almeno brevemente come giaccia nel profondo dell'ignoranza tu che finora eri ritenuto sottilissimo e acutissimo.

Tu dici che ascrivi alla natura un crimine che passa nella prole e che non c'è tuttavia nelle nozze; come inversamente addossi il crimine alla natura degli uomini e non alla loro cattiva condotta.

E la ragione per cui fingi di lodare il matrimonio è senza dubbio di non essere manifestamente scoperto come manicheo; ma vituperi la natura confessando e che in essa è presente il male e che il male viene propagato attraverso di essa.

Ma è quindi vero che non ti sia mai stato possibile ascoltare le regole della discussione e gli statuti della più sana ragione?

In tutti i predicamenti infatti i generi abbracciano più realtà delle specie e dai predicamenti si fanno poi anche i generi subalterni; le specie a loro volta abbracciano più degli individui, e ci sono dei generi che contengono le specie, e ci sono specie speciali in cui sono compresi gli individui.

Chi dunque scuote i predicamenti minori, non scuote i predicamenti superiori, ma i predicamenti superiori coinvolgono nelle loro cadute tutti gli altri predicamenti che abbracciano.

Per esempio, l'animale è un genere, ma nella estensione del suo significato comprende diverse specie: cioè dell'uomo, del cavallo, del bove ecc.

Se dunque perisse una specie, quel genere non risentirebbe un danno esiziale; fa' per esempio che dalla realtà venga meno la natura dei bovi: il genere naturalmente non è distrutto, rimanendo la natura degli altri animali.

Ma al contrario, se si togliesse dalla realtà il genere animale, senza dubbio sparirebbero tutte le specie che erano comprese in questo genere; non rimarrà infatti nessuna specie di animale, una volta distrutto totalmente il genere animale.

Dunque i predicamenti superiori comunicano le loro vicende e i loro meriti alle specie che abbracciano; tuttavia non ricorre l'inverso, cioè che i generi superiori restino cambiati dalle variazioni delle loro specie, come se le loro specie fossero per essi una sorta di necessità.

E per applicare l'esempio alla nostra causa: la generalità della natura umana è come il genere delle istituzioni collocate al di sotto di essa, e la natura ha quasi le sue specie nel sito, nelle membra, negli ordinamenti, nei movimenti e nelle altre simili realtà.

La natura dunque comunica la sua qualità a tutte le specie che le sono soggette; tuttavia per se stessa non andrebbe soggetta a mescolarsi nei pericoli delle realtà inferiori ad essa.

Se dunque si condanna la natura, se si crede che la natura sia sottoposta al diavolo e che essa sia rea, si condannerà anche il coniugio che è sotto la natura e si condannerà la fecondità e tutta la sostanza.

Non si può dunque lodare il matrimonio che si fa secondo la natura, se si riprende la natura stessa. Insieme alla loro radice è necessario che muoia la venustà dei germogli recisi.

E per dire lo stesso in maniera più piana: non si può dire buono l'istituto delle nozze, se si condanna la mescolanza naturale, perché ciò che si disprezza nel genere, non si può onorare nella specie, che aderisce inseparabilmente al suo genere.

Ebbene, quando la cattiva volontà adopera gli strumenti naturali per commettere azioni turpi, quella forza della voluttà e del seme, che non varia mai a seconda della volontà di coloro che si uniscono, non subisce nessuna complicità nel crimine, ma presta la materia a Dio che opera, e la cattiva azione accusa solamente il merito dell'adultero, non il merito della natura.

Mentre quindi discutevamo di istituzioni naturali, tu, riprovando la natura, lodasti in maniera molto ottusa le nozze, poiché consta irrefutabilmente che il genere condivide con le sue specie tutto ciò che abbia ricevuto; e perciò io concludo: o l'uso che l'Apostolo dice naturale sarà giudicato buono e legittimo, e allora saranno oneste le nozze e non ci sarà nessun peccato naturale; o, se si crede che la natura sia diabolica perché esista il peccato originale, si pronunzierà allora anche la condanna dell'uso del matrimonio.

E si accetta così, non certo sobriamente, ma a bocca aperta, il dogma dei manichei.

E poiché questo dogma è funesto, e poiché non c'è presso i manichei traccia o di verità o di onestà o di fede; poiché però l'opinione del peccato naturale non ci può essere presso nessun altro gruppo, risulta che, come noi siamo cattolici, così voi siete manichei.

Agostino. Certamente tu hai parlato dell'albero e dei frutti dai quali si riconosce l'albero, avendo reputato che in questa similitudine si dovesse intendere il matrimonio e la prole.

Allontanato da questa interpretazione per il fatto che tale frutto può aversi anche dal concubito adulterino, ti sei rifugiato nella natura.

Né poté rimanere nascosto a noi il transito del fuggitivo: esso infatti è apparso con sufficiente evidenza nelle tue parole che riporterò adesso.

Hai scritto infatti parlando a me stesso: Con un simile acume tenti di abbattere anche ciò che io ho detto: per testimonianza evangelica l'albero si deve conoscere dai suoi frutti, per indicare ciò che è chiaro: non si può insegnare la bontà dei matrimoni, anzi non si può nemmeno rivendicare all'opera di Dio la natura stessa, che è rifornita dalla operazione dei matrimoni, se si dicesse che da tale operazione pullulano i crimini.

Con questi tuoi detti hai aperto un transito alla tua fuga, aggiungendo ai matrimoni già nominati e dicendo: Anzi la natura stessa, che è rifornita dalla operazione dei matrimoni.

Hai dunque distinto queste due realtà e hai ben indicato che altro è la natura e altro sono le nozze, con l'operazione delle quali si rifornisce la natura.

Che cos'è dunque quello che vuoi dopo: la natura è il genere e il matrimonio è una sua specie? C'è forse qualche genere che si rifornisce con l'operazione di qualche sua specie?

No certamente: l'animale infatti che è il genere non si rifornisce con l'operare dell'uomo o del cavallo o del bove o di una qualche altra bestia che è specie di quel genere, poiché anche se qualche specie venisse a mancare e fosse cancellata dalla realtà, rimarrebbe tuttavia il genere che abbraccia tutte le altre specie, come anche tu stesso sei andato discorrendo.

Il quale genere non conserverebbe certamente la propria integrità, se esso si rifornisse mediante l'operazione della specie che è stata soppressa.

Non è che un genere sia più genere se ha più specie e sia meno genere se ha meno specie; sebbene, se si togliessero tutte le specie non esisterebbe più nemmeno il genere; come, tolto il genere non ci sarebbe nessuna specie.

Non è quindi il matrimonio la specie e la natura il genere, se con l'operazione dei matrimoni si rifornisce la natura; come l'agricoltura non è una specie della messe per il fatto che con l'operazione dell'agricoltura si rifornisce la messe. Inoltre se dici che la natura è il genere e il matrimonio è la sua specie, sei costretto senza dubbio a dire che la natura è ogni matrimonio.

È vero appunto che ogni cavallo è animale, benché non ogni animale sia un cavallo, perché il cavallo è la specie e l'animale è il genere.

Dunque nemmeno viene fatta dall'uomo una qualche natura: sebbene infatti, com'è scritto, la donna venga unita all'uomo ( Pr 19,14 sec. LXX ) dal Signore, nel senso che ciò non si fa se non con l'aiuto di Dio quando si fa rettamente, chi tuttavia ignorerà che i matrimoni sono opere degli uomini?

Ora, se l'uomo non fa la natura, allora il matrimonio non è una natura, perché è l'uomo che fa il matrimonio.

E quindi non essendo natura il matrimonio, esso non può essere certamente in nessun modo una specie della natura umana, come se questa fosse il suo genere.

I matrimoni perciò appartengono alla moralità degli uomini, ma gli uomini stessi appartengono alla natura.

È lecito pertanto a noi vituperare i mali della natura viziata e lodare la moralità degli uomini che fanno un uso buono dei beni e dei mali della natura.

Io dunque lodo le nozze, ma non sia mai che io lodi il male per cui la carne concupisce contro lo spirito; il male senza il quale non può nascere nessun uomo; il male il cui reato non si può sciogliere se non rinascendo; il male il cui buon uso si loda nel concubito coniugale.

Perciò il peccato, che non si trae dalla mescolanza di una natura aliena, bensì dalla depravazione della natura nostra, non lo dicono peccato originale i manichei, ma i cattolici: e voi negando il peccato originale siete eretici.

25 - Agostino e i Manichei

Giuliano. Della quale denominazione per evitare l'onta, assolutamente invano tu fai menzione di diverse eresie.

Affermi infatti: Come gli ariani chiamano sabelliani i cattolici, sebbene i cattolici facciano certa la distinzione delle persone, salva tuttavia la comunione della natura, così anche da noi viene imposto a voi il nome di manichei, benché non diciate come i manichei che le nozze sono un male, ma diciate che il male passa in tutti gli uomini per condizione di natura.13

Non dubito però che le persone prudenti rideranno di queste tue argomentazioni.

Come falsamente infatti gli ariani dicono sabelliani i cattolici, mentre noi cattolici facciamo distinzione tra le persone del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, senza nessuna confusione e senza nessuna mutazione della sostanza, e mentre i sabelliani negano stupidissimamente ogni differenza tra l'unità e la trinità, altrettanto a buon diritto i cattolici dichiarano che voi siete manichei, perché a dirlo ci costringe la vostra fede.

Asseriscono appunto i manichei che la libidine del corpo è stata impiantata dal diavolo: tu lo confermi con moltiplicata discussione.

Sostengono i manichei che per mezzo del libero arbitrio non si può tenere lontano il male, appunto perché sarebbe naturale: anche tu nei tuoi discorsi ammetti il libero arbitrio, tale però che con esso si possa fare il male, ma non si possa astenersi dal male.

Dice Manicheo che il seme è stato maledetto: tu tenti di dimostrarlo con l'autorità delle Scritture.

Dice Manicheo che la malizia è inconvertibile: tu vociferi che è così.

Ma tu dici che solo Adamo fu di natura migliore: anche Manicheo scrive a Patrizio che bisogna credere Adamo migliore di quanti lo hanno seguito, formato per così dire dal fior fiore della prima sostanza.

Dici tu che la mescolanza sessuale è diabolica a causa dei suoi movimenti naturali e che gli uomini vengono colti con diritto dal diavolo come i frutti di un albero da lui piantato: lo dice anche Manicheo, dal quale appunto hai imparato a crederlo e ad affermarlo.

Dice Manicheo che sono cattive e le nozze e la natura; tu invece dici buone le nozze, ma rea la natura.

Non tu qui più religioso, ma lui più prudente.

Come dunque è falso ciò che dicono gli ariani, che i cattolici siano sabelliani, così è verissimo ciò che dicono i cattolici: i traduciani non sono altro che manichei; ma tra voi traduciani e i manichei è sorta una distinzione, certamente illusoria, non per la vostra fede, ma per la vostra ignoranza.

Dunque di una sola fede tu e Manicheo, ma egli meno impudente di quanto si trovi ad esserlo la tua gravità: né infatti s'incontra facilmente un altro Manicheo o Melitide, il quale dica che condanna la natura degli uomini, senza infamare le nozze.

Agostino. Per quale ragione io abbia commemorato gli ariani e i sabelliani lo trova subito chi legge intelligentemente quel mio libro, e vede benissimo che agisci con dolo tu che non hai voluto commemorare tutta la medesima causa.

A te infatti io dissi: Come gli ariani, mentre fuggivano i sabelliani, caddero in qualcosa di peggio, perché osarono distinguere non le persone ma la natura nella Trinità, così si dimostra che i pelagiani, mentre tentano di evitare la peste dei manichei buttandosi dalla parte avversa, sentono sul frutto delle nozze ancora più perniciosamente degli stessi manichei con il credere che i bambini non abbiano bisogno del Cristo come loro medico.14

Queste mie parole ti saresti messe davanti o almeno questa mia sentenza, se tu avessi voluto rispondermi in un qualsiasi modo.

Tralasciate le quali mie parole, tu dici a te da te stesso ciò che vuoi, per fare le viste di avermi risposto, non confutando le parole dette da me, ma non tacendo.

E adesso nel dire che io sento come sentono i manichei, ti inganni molto o piuttosto inganni quelli che puoi. Infatti i manichei dicono che il male è coeterno a Dio, dicono che il medesimo male è una sostanza, dicono che il male è una certa natura aliena, la quale non può essere assolutamente cambiata in bene né da se stessa, né dal Dio buono.

I manichei affermano che dalla mescolanza di questo male immutabile l'anima buona, la quale osano credere che sia la natura del Dio buono, è stata inquinata e corrotta, e per questo essa in ogni età dell'uomo ha la necessità di un salvatore che e la mondi e la reintegri e la liberi strappandola da tale cattività.

Voi invece, mentre fuggite i manichei buttandovi dalla parte avversa, siete caduti in queste tenebre di empietà: asserendo che i bambini sono salvi da ogni male non reputate che a questi miseri sia necessario il Salvatore, e degli stessi manichei che voi fuggite correte in aiuto non so come attraverso il circuito del vostro errore, negando il male della nostra natura viziata, con la conseguenza che tutto quello che dei mali o si crede rettamente o si trova apertamente nei bambini sia attribuito alla mescolanza di una natura aliena, come vogliono i manichei.

La Cattolica però, per evitare i manichei e i pelagiani, dice che il male non è per niente una natura e sostanza, ma non nega che da un male volontario, il quale a causa di un solo uomo passò in tutti gli uomini, sia stata viziata la nostra natura e sostanza, mutevole proprio perché non è la natura di Dio, e confessa la Cattolica che a tale male, non insanabile alla potenza di Dio, per poter essere eliminato è necessario il Salvatore in tutte le età.

Perciò né del peccato naturale, né della libidine dei corpi, né del libero arbitrio, né del seme maledetto, né della malizia inconvertibile, né della natura del primo uomo, né della mescolanza sessuale, né del potere diabolico sugli uomini possiamo fare le stesse affermazioni dei manichei noi che non ammettiamo l'esistenza di due nature e sostanze, una del bene, l'altra del male, sempiterne senza inizio di tempo e mescolate insieme da un certo inizio del tempo, per non dire tra molte assurdità e temerità inquinabile e corruttibile anche la natura di Dio.

Per il fatto poi che tu affermi che io solo dico buone le nozze e rea la natura, ti do, per tacere di altri, l'apostolo Paolo, che tu pure sbandieri come lodatore delle nozze e che tuttavia dice riguardo al reato della natura originale che il corpo è morto a causa del peccato. ( Rm 8,10 )

Ti do un altro, interprete dell'Apostolo e mio maestro, il cattolico Ambrogio, il quale, pur lodando la pudicizia coniugale, dice tuttavia: Nasciamo tutti sotto il peccato, perché è corrotta la nostra stessa origine.15

O calunnioso, o contenzioso, o " linguoso ", che cerchi di più?

26 - Il castigo è un male e un bene

Giuliano. Ma contro questi ludìbri è già stato fatto abbastanza.

Veniamo a quella questione che definii sopra molto perplessa e che per la sua sottigliezza ingannò il tuo stesso precettore.

Alla nostra opposizione hai tentato appunto di fare fronte non esponendo, ma ponendo un altro problema ancora più difficile.

Dopo che io infatti avevo insegnato che negli uomini di età più provetta, i quali fanno il male di spontanea volontà, e si lodano gli esordi innocenti della natura e si biasimano giustamente le storture della condotta, e che ci sono due forze applicabili in direzioni contrarie, mentre nei bambini c'è una forza sola, cioè la natura, perché manca la volontà, e che questa unica forza è da attribuirsi o a Dio o al demonio; e dopo che ho insegnato come conclusione che, se la natura sussiste per virtù di Dio, non può esserci in essa un male originale; se al contrario la natura si ascrive al diavolo a causa di un male innato, allora non c'è più niente che ci faccia rivendicare l'uomo all'operazione di Dio; arrivato dunque a questi miei passi, tu hai risposto con la tua solita coerenza che la mia conclusione era vera, ma che anche nei bambini ci sono due forze, cioè la natura e il peccato.

Il quale peccato tuttavia, perché tu ricordi le precedenti definizioni, non è altro che la volontà di mantenere o di commettere ciò che è vietato dalla giustizia e da cui sia libero astenersi.

Stabilito dunque che il peccato non è altro che una scelta della volontà cattiva, tu, o Epicuro del nostro tempo, hai risposto che nei bambini il peccato c'è e che la volontà non c'è: il che di quale bruttura sia lo ha già dimostrato il mio quarto libro.

Avendo dunque io detto in quei luoghi: " Se il peccato viene dalla volontà, è cattiva la volontà che fa il peccato; se il peccato viene dalla natura, è cattiva la natura che fa il peccato ", tu hai cercato di affrontarmi con un'altra questione che manifestamente non è stata escogitata da te.

Infatti, trovandoci a Cartagine in questi ultimi anni, la medesima questione mi fu proposta da un tale di nome Onorato, un tuo intimo, ugualmente manicheo, come indicano le vostre Lettere.

Del quale episodio io ho fatto menzione unicamente per chiarire che si tratta della medesima questione che ingannò tanti secoli prima e Manete e Marcione.

Così dunque tu parli contro ciò che io avevo detto: " Se riporti il peccato alla natura, è cattiva la natura che fa il peccato ": Domando a lui che risponda, se può: come è manifesto che da una volontà cattiva, al pari che da un albero cattivo i suoi frutti, sono fatte cattive tutte le sue opere, così dica donde sia sorta la stessa volontà cattiva, ossia lo stesso albero cattivo dei frutti cattivi.

Se dall'angelo, cos'era l'angelo stesso se non un'opera buona di Dio?

Se dall'uomo, cos'era l'uomo stesso se non un'opera buona di Dio?

Anzi, poiché la volontà cattiva dell'angelo è sorta dall'angelo e la volontà cattiva dell'uomo è sorta dall'uomo, cos'erano questi due, l'angelo e l'uomo, prima che in essi nascessero cotesti mali, se non un'opera buona di Dio e una natura buona e lodevole?

Ecco dunque che dal bene nasce il male, né c'era assolutamente nulla da cui potesse nascere all'infuori del bene: dico la stessa volontà cattiva, che non fu preceduta da nessun male; non le opere cattive, che non vengono se non da una volontà cattiva, come da un albero cattivo.

Né tuttavia poté dal bene sorgere una volontà cattiva, per la ragione che il bene fu fatto dal Dio buono, ma per la ragione che il bene Dio lo fece traendolo dal nulla e non da se stesso.

Cos'è dunque quello che dice Giuliano: Se la natura è opera di Dio, non si lascia all'opera del diavolo di passare attraverso l'opera di Dio?

Non è forse vero che l'opera del diavolo sorse nell'opera di Dio, quando sorse per la prima volta nell'angelo che diventò diavolo?

Per cui se il male, che non esisteva assolutamente in nessuna parte, poté sorgere nell'opera di Dio, per quale ragione il male che già esisteva in qualche parte non poté passare attraverso l'opera di Dio?

Forse che gli uomini non sono un'opera di Dio?

Passò dunque il peccato attraverso gli uomini, ossia l'opera del diavolo passò attraverso l'opera di Dio e, per dire la medesima verità in altro modo: l'opera cattiva dell'opera buona di Dio passò attraverso l'opera buona di Dio.16

Queste così tante parole, che io ho riportato dai tuoi scritti, hanno completamente palesato il capo e la fonte dell'antico errore: niente d'un po' acuto hai apportato nel dire, niente d'un po' dettagliato nel disserire.

Incalzato in tutto intero il campo della discussione e dalle armi della verità a te ostile scacciato da ogni luogo in cui avevi tentato di resistere, sei giunto alla fine in quella caverna che Manicheo aveva scavato nel folto opaco delle questioni.

Hai reso a questo problema la testimonianza della sua difficoltà dicendo: " Domando a lui di rispondere, se può ", e perciò, poiché tra noi due siamo d'accordo sulla difficoltà della situazione, ammonisco il lettore di essere presente con tutto l'animo.

Costui segue prima con attenzione e subito dopo con sicurezza distinzioni sottili, secondo l'esigenza del caso, che confido si impingueranno con l'aiuto del Cristo.

Tu dunque hai chiesto donde il male, io interrogo quale male tu dica: è infatti questo nome di male comune alla colpa e alla pena.

Del resto abusivamente si chiama male il castigo, essendo esso giustificato dalla gravità del giudizio che lo infligge.

Tu rispondi che dici del peccato e non del castigo.

Agostino. Hai completamente palesato, quanto ti è stato possibile, la tua stoltezza, tu che confessi che è male peccare e dici che non è male, ma si chiama abusivamente male ardere nel supplizio del fuoco eterno.

Ma di tanta assurdità tu rendi una ragione egregia: Abusivamente, dici, " si chiama male il castigo, essendo esso giustificato dall'autorità del giudizio che lo infligge.

Se per dirlo, soppesi dunque la pena del condannato non dalla misera sorte del paziente, ma dalla giustizia del condannante, di' più apertamente che è un bene il castigo, che dici chiamato abusivamente male.

Il castigo è infatti la pena del peccato ed è giusta certamente la pena del peccato: giusto è pertanto il castigo, e tutto ciò che è giusto è un bene: un bene dunque è il castigo.

Non ti accorgi che, se non distingui il condannato dal condannante così da asserire che la condanna per se stessa, come castigo e pena del peccato, è, sì, un'opera buona del condannante, ma è una mala sorte per il condannato, non ti accorgi, dico, che se non fai questa distinzione, in questo modo sei condotto a dire che gli uomini, invece di giungere con le loro male azioni a soffrire mali ancora più gravi, com'è vero, raggiungono piuttosto dei beni: il che è tanto falso ed è detto con tanta vanità che sentire così è un male tanto grande quanto lo è anche il castigo di essere ciechi di cuore?

Quindi il castigo non si chiama male abusivamente, ma è un vero male per chi lo soffre; è però un bene per chi lo infligge, perché è giusto irrogare la pena a chi pecca.

Se non vuoi delirare, distingui le due cose.

Indice

11 Ambrosius, In Lc. 7, 12, 53
12 De nupt. et concup. 2,26,43
13 De nupt. et concup. 2,23,38
14 De nupt. et concup. 2, 23,38
15 Ambrosius, De paenit. 1, 2, 2
16 De nupt. et concup. 2,28,48