Il libero arbitrio

Dio l'uomo e il libero arbitrio

La prescienza divina e il libero arbitrio

1.1 - Necessità libertà colpa

E. - Mi è stato apoditticamente dimostrato che la libera volontà è da includere fra i beni, e certamente non infimi.

Perciò siamo costretti anche ad ammettere che ci è stata data da Dio e che doveva esser data.

Ora dunque, se lo ritieni opportuno, vorrei conoscere da te da chi proviene quel movimento per cui la volontà si muove in senso opposto al bene universale e non diveniente e si muove verso i beni particolari, estranei o infimi, tutti divenienti.

A. - Che bisogno di saperlo?

E. - Perché se è stata data nella condizione che tale movimento le sia naturale, per necessità si muove verso questi beni e non è possibile rilevar colpa dove domina la necessità naturale.

A. - E ti piace o dispiace questo movimento?

E. - Mi dispiace.

A. - Dunque lo riprovi.

E. - Sì, lo riprovo.

A. - Dunque riprovi un movimento spirituale incolpevole.

E. - Non riprovo un movimento spirituale incolpevole, ma non so se è colpa volgersi ai beni divenienti abbandonando il bene non diveniente.

A. - Dunque riprovi ciò che non sai.

E. - Non cavillare sulle parole.

Ho detto: " non so se è colpa ", per far comprendere che è innegabilmente colpa.

Col termine " non so ", ho ironizzato il dubbio su di un argomento così evidente.

A. - Cerca di comprendere una verità tanto certa che ti ha costretto a dimenticare così presto il tuo discorso di poco fa.

Se il movimento proviene da natura o necessità, non può assolutamente esser colpevole.

Tu invece lo ritieni colpevole con tanta certezza che hai ritenuto di dover fare dell'ironia sul dubbio circa un argomento tanto evidente.

Perché dunque hai ritenuto di dover affermare innegabilmente o per lo meno opinativamente un tema che tu stesso dimostri innegabilmente falso.

Hai detto: " Se la libera volontà è stata data nella condizione che tale movimento le sia naturale, per necessità si volge verso questi beni e non è possibile rilevare colpa dove domina la necessità naturale ".

Non avresti dovuto dubitare neanche un po' che non è stata data con questa condizione, dal momento che non dubiti che il movimento stesso è colpevole.

E. - Io ho detto che è colpevole il movimento in sé e che per questo mi dispiace e non posso dubitare che è da riprovarsi.

In quanto all'anima, che da tale movimento viene fatta precipitare dal bene non diveniente a quelli divenienti, non dico che è da incolparsi, se la sua condizione è tale che vi si muova per necessità.

1.2 - Il movimento al peccato è libero …

A. - Ma di chi è questo movimento che ritieni certamente colpevole?

E. - Adesso capisco che è nella coscienza, ma non so di chi sia.

A. - Ma affermeresti che la coscienza non si muove con quel movimento?

E. - No.

A. - Diresti allora che non è della pietra il movimento con cui si muove la pietra?

E bada che non sto parlando del movimento con cui la muoviamo noi o è mossa da un agente esterno, come nel caso in cui viene lanciata in alto, ma di quello di cui per propria tendenza descrive la parabola e cade.

E. - Non affermo certamente che non è della pietra, ma che le è naturale, il movimento con cui essa, come dici, descrive la parabola e scende al basso.

Se l'anima ha anch'essa un tale movimento, esso è certamente naturale e non sarebbe moralmente riprovevole per il fatto che si muove per natura, perché, anche se si muove alla perdizione, vi è spinta dalla condizionatezza della propria natura.

Ora, poiché non abbiamo dubbi che questo movimento è colpevole, si deve innegabilmente affermare che non è naturale.

Dunque non è assimilabile al movimento con cui la pietra si muove secondo natura.

A. - Abbiamo concluso qualche cosa nelle due dispute precedenti?

E. - Certo.

A. - Suppongo che te lo ricordi.

Nella prima è stato accertato che soltanto con la propria volontà la coscienza diviene schiava della passione e conseguentemente che non può subire costrizione a tale stato di abiezione né da un essere superiore oppure eguale perché sarebbe ingiustizia, né da un inferiore perché esso non ne sarebbe capace.

Rimane dunque che sia suo personale questo movimento, con cui volge dal Creatore alla creatura la volontà di godere.

Quindi tale movimento, se si deve attribuire a colpa, non è naturale ma volontario.

A te è sembrato degno di scherno chi ne dubita.

Esso dunque è simile al movimento con cui la pietra si muove dall'alto al basso per il fatto che come questo è proprio della pietra, così quello lo è dello spirito.

È diverso tuttavia perché la pietra non ha la facoltà di arrestare il movimento con cui discende al basso, mentre lo spirito, purché non lo voglia, non è mosso in maniera che, abbandonate le cose superiori, scelga le inferiori.

Pertanto quel movimento è naturale per la pietra, questo volontario per lo spirito.

Quindi se qualcuno dicesse che la pietra pecca perché col suo peso tende al basso, non dirò che è più stolto della pietra stessa, ma è certamente giudicato un idiota.

Al contrario si giudica di peccato la coscienza quando si può provare che, abbandonati i beni superiori, preferisce nel godimento gli inferiori.

Pertanto che bisogno si ha di indagare da chi deriva questo movimento?

Con esso appunto la volontà si volge dal bene non diveniente al bene diveniente.

Per questo dobbiamo ammettere che è soltanto della coscienza, è volontario e perciò colpevole.

Inoltre ogni utile regola in materia ha per scopo che, represso efficacemente questo movimento, volgiamo la nostra volontà dal flusso delle cose temporali al godimento del bene eterno.

1.3 - … perché dipende dalla volontà

E. - Veggo e in certo senso tocco e afferro la verità delle tue parole.

Infatti con intima certezza non sono tanto cosciente di altro che di avere la volontà e che da essa soli mosso a godere di un qualche cosa.

E non trovo altro da dir veramente mio, se non è mia la volontà con cui voglio e non voglio.

Dunque se agisco male, a chi attribuirlo se non a me?

Mi ha creato un Dio buono e posso compiere una buona azione soltanto mediante la volontà, dunque è evidente che per questo mi è stata data da un Dio buono.

Se il movimento con cui la volontà si volge qua e là non fosse volontario e posto in nostro potere, non si dovrebbe approvare l'uomo quando torce verso l'alto il perno, per così dire, del volere e non si dovrebbe riprovare, quando lo torce verso il basso.

Anzi non si dovrebbe affatto ammonire a voler col disprezzo delle cose terrene conseguire le eterne, a non voler vivere male e volere vivere bene.

Invece chi pensa che l'uomo non ne deve essere ammonito, si deve radiare dal numero degli uomini.

2.4 - Il problema della libertà umana e prescienza divina

Stando così le cose, mi turba in modo indicibile il problema della compossibilità che Dio abbia la prescienza di tutti i futuri e che noi non pecchiamo per necessità.

Chi dicesse che può verificarsi un evento senza che Dio ne abbia prescienza, tenta con folle empietà di demolire la prescienza di Dio.

Pertanto Dio ha avuto prescienza che il primo uomo avrebbe peccato.

Me lo deve necessariamente concedere chiunque ammette con me che Dio ha prescienza di tutti i futuri.

Se dunque è così, non dico che non creerebbe l'uomo dal momento che lo ha creato buono.

Così pure non potrebbe nuocere a Dio il peccato di chi ha creato buono.

Che anzi se aveva mostrato la sua bontà nel crearlo, mostra la sua giustizia nel punirlo, la sua misericordia nel liberarlo.

Non dico dunque che non lo creerebbe, ma dico che dal momento che aveva avuto prescienza del suo peccato, era necessario avvenisse ciò di cui aveva prescienza che sarebbe avvenuto.

Quindi come può esser libera la volontà dove si verifica una tanto ineluttabile necessità?

2.5 - Errori sulla Provvidenza e la vita

A. - Hai picchiato con ardore.

La bontà di Dio ci assista ed apra a noi che picchiamo.

Tuttavia sono portato a credere che la maggior parte degli uomini sono tormentati dal problema perché indagano non religiosamente e sono più facili alla scusa che alla confessione dei propri peccati.

Alcuni per leggerezza ritengono che non v'è una divina provvidenza a reggere le cose umane e mentre affidano il proprio essere spirituale e fisico alle sorti del caso, si abbandonano alle passioni per esserne feriti e dilaniati.

Negando i giudizi di Dio e imbrogliando quelli dell'uomo, presumono di ribattere col patrocinio della fortuna i loro accusatori.

Ma nelle pitture sono soliti rappresentarla bendata per apparire migliori di lei, da cui, a sentir loro, sono governati, ovvero per confessare che anche essi con la medesima cecità pensano e sostengono tali teorie.

E forse si può anche concedere loro non illogicamente che passano tutta la vita in balia dei casi perché nel passarla cadono.

Ma contro questa opinione piena di un errore assai sciocco e insensato è stato discusso sufficientemente, secondo me, nel nostro secondo discorso.

Altri invece non osano negare che la Provvidenza regge la vita umana, ma preferiscono ritenerla con esecrando errore o impotente o ingiusta o perversa piuttosto che confessare i propri peccati con un implorante atto di pietà.

Ma si supponga che costoro, nel pensare all'ottimo, giustissimo e potentissimo, si lascino indurre a credere che la bontà, giustizia e potenza di Dio è infinitamente più grande e perfetta di qualsiasi oggetto del loro pensiero.

Riflettendo poi su se stessi, comprendano di dover ringraziare Dio, anche se avesse deciso che fossero un essere inferiore a quel che sono e dall'intimo della coscienza gridino: Ho detto: Signore, abbi pietà di me, guarisci la mia anima perché ho peccato contro di te. ( Sal 41,5 )

Allora attraverso il sicuro sentiero della divina misericordia sarebbero introdotti nella sapienza, in maniera che non s'insuperbiscano di aver trovato, non si agitino per non aver trovato, diventino più esercitati nella intuizione, se conseguono scienza, e se non la conseguono più umili nella ricerca.

Tu che, ne sono certo, hai già questa convinzione, osserva con quanta facilità posso rispondere su un problema tanto importante, quando tu per primo avrai risposto un po' alle mie domande.

3.6 - Prescienza non è determinismo

Certamente ti turba, e te ne stupisci, come non siano opposti e contrastanti i temi che Dio sia presciente di tutti i futuri e che noi pecchiamo non per necessità ma per volontà.

Se Dio, tu dici, è presciente, che un individuo peccherà, è necessario che pecchi; se poi è necessario, non si ha nel peccare l'arbitrio della volontà ma una ineluttabile e determinata necessità.

Temi, cioè, che con questo argomento si tragga la conclusione: O blasfemamente si afferma che Dio non è presciente di tutti i futuri ovvero, se questo non si può affermare, si deve ammettere che non si pecca per volontà ma per necessità.

O c'è altro che ti turba?

E. - Per ora no.

A. - Dunque, secondo te, tutti gli avvenimenti, di cui Dio è presciente, non avvengono per volontà ma per necessità?

E. - Sì, proprio.

A. - Svegliati finalmente, rifletti un po' su te stesso e dimmi, se ti è possibile, quale volontà avrai domani, di peccare o di agire rettamente?

E. - Non lo so.

A. - E pensi che neanche Dio lo sappia?

E. - Non potrei pensarlo proprio.

A. - Se dunque conosce la tua volontà di domani ed ha prescienza dei voleri futuri di tutti gli uomini che sono e che saranno, a più forte ragione ha prescienza di come agirà con i giusti e gli empi.

E. - Certamente, se affermo che Dio è presciente delle mie azioni, con molto maggior sicurezza posso dire che è presciente delle proprie e che prevederà con assoluta certezza ciò che farà.

A. - E allora non ti preoccupi della obiezione che egli farà tutto ciò che farà non per volontà ma per necessità, se tutto ciò di cui Dio è presciente avviene per necessità e non per volontà?

E. - Quando affermavo che per necessità si verificano tutti gli eventi, di cui Dio è presciente, intendevo parlare di quelli che avvengono nella sua creatura e non di quelli che avvengono in lui perché questi non avvengono, ma sono eterni.

A. - Dunque Dio non agisce nella sua creatura.

E. - Ha stabilito una volta per sempre come si deve svolgere l'ordine dell'universo che ha creato poiché non governa con un nuovo atto del volere.

A. - E non rende felice nessuno?

E. - Ma sì.

A. - Ma ve lo rende nel momento in cui quegli diviene felice.

E. - Sì.

A. - Dunque, ad esempio, se fra un anno diverrai felice, fra un anno ti renderà felice.

E. - Sì.

A. - Quindi sa oggi ciò che farà fra un anno.

E. - Ma sempre l'ha saputo ed io sono d'accordo che anche ora lo prevede, se così avverrà.

3.7 - Il volere è volere anche se preescito

A. - Ma, scusa, tu non sei una sua creatura o la tua felicità non avverrà in te?

E. - Certo, sono sua creatura e in me avverrà che sarò felice.

A. - Dunque non per volontà ma per necessità avverrà in te con l'azione di Dio la felicità.

E. - La sua volontà per me è necessità.

A. - Dunque sarai felice contro la tua volontà.

E. - Se fosse in mio potere esser felice, già lo sarei di certo; lo voglio anche ora e non lo sono perché non io ma egli mi rende felice.

A. - Assai bene dal tuo intimo grida la verità.

Puoi infatti avere coscienza che è in nostro potere soltanto quello che possiamo realizzare quando lo vogliamo.

Pertanto nulla è così in nostro potere che la volontà stessa.

Senza alcun intervallo essa è disponibile nell'atto che si vuole.

Si può perciò ben dire: " S'invecchia non per volontà ma per necessità, ci si ammala non per volontà ma per necessità, si muore non per volontà ma per necessità ", e così via per casi del genere.

Ma chi, anche se pazzo, oserebbe dire: " Non si vuole con la volontà "?

Pertanto anche se Dio ha prescienza dei nostri voleri futuri, non ne segue che vogliamo qualche cosa senza volontà.

Quando hai detto, riguardo alla felicità, che non divieni felice da te, l'hai detto come se io lo negassi.

Ma io dico che, quando diverrai felice, lo diverrai perché lo vuoi e non perché non lo vuoi.

Dunque Dio è presciente della futura tua felicità e può verificarsi soltanto l'evento, di cui egli è presciente, altrimenti non sarebbe prescienza.

Tuttavia non siamo per questo fatto condizionati a pensare che diverrai felice senza volerlo.

Sarebbe proprio assurdo e lontano dalla verità.

Come poi la prescienza di Dio, che anche oggi è certa della tua futura felicità, non ti toglie il volere della felicità, così ugualmente un volere colpevole, se qualcuno in futuro si verificherà in te, è ugualmente volere, anche se Dio è stato presciente che si sarebbe verificato.

3.8 - Volere è in nostro potere

Pensa, ti prego, con quanta cecità si dica: " Se Dio ha avuto prescienza di un futuro mio volere, è ineluttabile che io voglia ciò di cui, ha avuto prescienza perché non può avvenire se non quello di cui ha avuto prescienza.

Se dunque è ineluttabile, si deve ammettere che io lo voglio non per volontà ma per necessità ".

O singolare stoltezza! Come dunque è possibile che avvenga soltanto l'evento, di cui Dio ha avuto prescienza, se non si dà il volere che egli ha preveduto avvenisse?

Tralascio l'altro pregiudizio, egualmente mostruoso, che, come ho detto, il medesimo tizio potrebbe esprimere così: " È necessario che io voglia così ".

Egli tenta in effetti di demolire la volontà sostituendole la necessità.

Se infatti è necessità che voglia, con che cosa vorrà se non v'è volontà?

E se non dicesse così, ma che egli non ha in potere la volontà perché è necessità che voglia, gli si può rispondere col tema che hai esposto, quando ho chiesto se puoi esser felice contro volontà.

Hai risposto che saresti già felice se tu ne avessi il potere.

Hai detto appunto che lo volevi, ma ancora non potevi.

Ed io ho soggiunto che la verità gridava dal tuo intimo.

Infatti possiamo dire di non avere il potere soltanto se non è presente in noi l'atto del volere; nell'atto poi che vogliamo, se ci manca la volontà, evidentemente non vogliamo.

E se è assurdo che non vogliamo quando vogliamo, è evidentemente presente in chi vuole la volontà ed è in potere soltanto l'atto che è presente in chi vuole.

Dunque la nostra volontà non sarebbe volontà se non fosse in nostro potere.

Effettivamente perché è in nostro potere, è per noi libera.

Non è appunto per noi libero ciò che non abbiamo in nostro potere e non può non esserlo ciò che abbiamo in potere.

Conseguentemente noi non possiamo negare che Dio è presciente di tutti i futuri e tuttavia che noi vogliamo ciò che vogliamo.

Se egli è presciente di un atto del nostro volere, esso sarà quello di cui è presciente.

Sarà dunque un atto del volere perché di un atto del volere è presciente.

Tuttavia non sarebbe atto del volere se non fosse in potere.

Quindi è presciente anche del potere.

Dunque non mi si sottrae il potere a causa della sua prescienza, anzi esso sarà più sicuro perché egli, la cui prescienza non s'inganna, ha avuto prescienza che l'avrò.

E. - A questo punto non nego più che necessariamente avvengono tutti gli eventi di cui Dio ha prescienza e che ha prescienza dei nostri peccati in maniera che rimanga libera la nostra volontà e posta in nostro potere.

4.9 - Obiezione su prescienza non determinante

A. - Che cosa ti angustia dunque?

Ma forse, dimentico del risultato della nostra prima indagine, vorrai affermare che non si pecca per costrizione di altro essere, sia superiore che inferiore o eguale, ma per volontà?

E. - Non oso affermare qualche cosa di simile.

Tuttavia, lo confesso, non veggo ancora in che modo non si escludano questi due termini, la prescienza divina dei nostri peccati e il nostro libero arbitrio nel peccare.

Dobbiamo infatti innegabilmente ammettere che Dio è giusto e previdente.

Ma vorrei sapere con quale giustizia punisca peccati che si commettono per necessità, o come non per necessità si verifichino eventi, di cui ha prescienza che avvengano, o come non si debba imputare al Creatore tutto ciò che nella sua creatura avviene per necessità.

4.10 - Prescienza non è costrizione

A. - Per quale motivo ti sembra che il nostro libero arbitrio sia opposto alla prescienza di Dio?

Perché è prescienza ovvero perché è prescienza di Dio?

E. - Perché è di Dio piuttosto.

A. - Dunque se tu avessi prescienza che un tizio peccherà, non sarebbe necessario che pecchi?

E. - Anzi sarebbe necessario che pecchi.

La mia non sarebbe prescienza se non avessi prescienza di eventi certi.

A. - Dunque non perché è prescienza di Dio, è necessario che avvengano gli eventi, di cui è presciente, ma perché è prescienza e tale non sarebbe se non preconosce eventi certi.

E. - D'accordo; ma a che scopo questo discorso?

A. - Perché, salvo errore, tu non costringeresti ineluttabilmente a peccare quel tizio, del quale prevedi che peccherà e la tua prescienza non lo costringe a peccare, sebbene senza dubbio peccherà.

Altrimenti non avresti prescienza che peccherà.

Come dunque non sono opposti questi due termini, che tu per tua prescienza sai ciò che un altro compirà con la propria volontà, così Dio, sebbene non costringe nessuno a peccare, prevede però coloro che per propria volontà peccheranno.

4.11 - Prescienza e giustizia di Dio

Perché dunque non dovrebbe punire con la giustizia le azioni che con la prescienza non condiziona a verificarsi?

Come tu infatti con la tua memoria non determini che si siano avverati gli avvenimenti passati, così Dio con la sua prescienza non determina che si debbano avverare gli eventi futuri.

E come tu ricordi alcune azioni che hai compiute e tuttavia non tutte le cose che ricordi sono azioni che hai compiute, così Dio ha prescienza di tutte le cose, di cui è autore, ma non è autore di tutte le cose, di cui ha prescienza.

È poi giusto punitore di tutte le azioni, di cui non è ingiusto autore.

Dunque dal momento che Dio non effettua gli eventi futuri che conosce, cerca di comprendere con quale giustizia Dio punisce i peccati.

Se pertanto non dovesse retribuire la pena a coloro che peccano perché prevede che peccheranno, non dovrebbe neanche retribuire il premio a coloro che agiscono bene perché prevede egualmente che agiranno bene.

Ammettiamo piuttosto che è di pertinenza della sua prescienza che non gli sfugga un qualsiasi evento futuro e della sua giustizia che il peccato, poiché si commette mediante la volontà, non avvenga senza esser punito dal suo giudizio, come non è determinato ad avvenire dalla sua prescienza.

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