Perchè un Dio uomo?  

XIV. La sua morte supera la grandezza e il numero di tutti i peccati

Bosone - Ti prego ora d'insegnarmi come la sua morte superi il numero e la grandezza di tutti i peccati, proprio perché hai dimostrato che un solo peccato - che stimiamo piccolissimo - è così grande che non lo si dovrebbe commettere neppure se con un solo sguardo contrario alla volontà di Dio si potesse preservare dalla distruzione totale una infinità di mondi pieni di creature come lo è questo nostro.

Anselmo - Se questo uomo fosse qui presente e tu sapessi chi egli è e ti si dicesse: "se non ucciderai quest'uomo, perirà tutto il mondo e tutto ciò che non è Dio", lo uccideresti tu, per conservare tutte le altre creature?

Bosone - Non lo farei anche se mi presentassero un numero infinito di mondi.

Anselmo - E che cosa faresti se ti dicessero: "O lo uccidi o tutti i peccati del mondo verranno sopra di te"?

Bosone - Risponderei che preferisco caricarmi tutti gli altri peccati, non solo quelli che furono o che saranno commessi in questo mondo ma anche quelli che il pensiero vi può aggiungere, piuttosto che questo solo.

E penso che dovrei rispondere così non solo per la sua uccisione, ma anche per la più piccola ferita che gli possa venir inflitta.

Anselmo - Giudichi bene.

Ma, dimmi, perché il tuo cuore giudica così, ispirandoti più orrore per il solo peccato di ferire quest'uomo che non per tutti gli altri che possono essere pensati, dal momento che tutti i peccati senza eccezione si commettono contro di lui?

Bosone - Perché il peccato che viene commesso contro la sua persona, supera immensamente tutti gli altri, che possono essere pensati indipendentemente dalla sua persona.

Anselmo - Che dici del fatto che spesso uno accetta più volentieri di subire qualche danno nella propria persona pur di evitare di subirne di maggiori nei beni?

Bosone - Che Dio non ha bisogno di questa pazienza dal momento che ogni cosa è sottomessa al suo potere, come hai già risposto a una mia precedente domanda.

Anselmo - Rispondi bene.

Dunque comprendiamo che al peccato che danneggia la vita corporale di quest'uomo non può essere paragonata nessuna immensità o moltitudine di peccati non commessi sulla persona di Dio.

Bosone - É evidente.

Anselmo - Quanto buono ti sembra dunque quest'uomo, la cui uccisione è così iniqua?

Bosone - Se ogni bene è buono tanto quanto è iniqua la sua distruzione, quest'uomo è incomparabilmente più buono di quanto non siano detestabili tutti quei peccati a cui la sua morte è senza alcun confronto superiore.

Anselmo - Dici la verità.

Anzi rifletti che i peccati sono tanto più odiosi quanto più sono cattivi, e che questa vita è tanto più amabile quanto più è eccellente.

Da qui la conclusione che questa vita è più amabile di quanto i peccati siano odiosi.

Bosone - Mi è impossibile non capire.

Anselmo - Pensi che un bene sì grande e tanto amabile possa essere sufficiente a pagare ciò che è dovuto per i peccati di tutto il mondo?

Bosone - Anzi può infinitamente di più.

Anselmo - Vedi dunque come questa vita vince tutti i peccati, se è data per essi.

Bosone - É chiaro.

Anselmo - Dunque, se dare la propria vita è accettare la morte, come il dono di questa vita supera tutti i peccati degli uomini, così anche l'accettazione della morte.

Bosone - É evidente che è così per tutti i peccati che non hanno per oggetto la persona di Dio.

XV. La sua morte cancella anche i peccai di coloro che l'uccisero

Bosone - Però ora mi si presenta un'altra cosa da domandare.

Infatti, se la sua uccisione è tanto cattiva quanto è buona la sua vita, come può la sua morte superare e cancellare i peccati di coloro che l'hanno ucciso?

Oppure se cancella il peccato di qualcuno di loro, come può cancellare anche i peccati degli altri uomini?

Crediamo infatti che molti fra essi si sono salvati e che innumerevoli altri si salvano.

Anselmo - Risolve la questione l'Apostolo quando dice: "Se l'avessero conosciuta ( la sapienza ), mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria" ( 1 Cor 2,8 ).

C'è infatti una grandissima differenza tra il peccato commesso coscientemente e il peccato fatto per ignoranza, per cui un male che nessuno potrebbe mai commettere scientemente data la sua estrema gravità, diventerebbe perdonabile se commesso nell'ignoranza.

Certamente nessun uomo potrebbe mai, almeno coscientemente, volere l'uccisione di Dio; quindi coloro che l'uccisero senza saperlo non caddero in quell'infinito peccato, non paragonabile a nessun altro.

Quando infatti abbiamo cercato di conoscere la bontà della sua vita, non abbiamo considerato questo peccato come fatto per ignoranza, ma come fatto scientemente, il che nessuno mai fece, né avrebbe potuto farlo.

Bosone - Hai mostrato con la ragione come gli uccisori del Cristo possano arrivare al perdono del loro peccato.

Anselmo - Cosa domandi ancora?

Ora vedi come una necessità ragionata mostri che la città superna deve essere completata dagli uomini, come questo non può avvenire senza remissione dei peccati e come l'uomo non può averla se non per opera di un uomo che sia nello stesso tempo anche Dio e che con la sua morte riconcili a Dio gli uomini peccatori.

Con chiarezza dunque scopriamo il Cristo, che confessiamo Dio e uomo, morto per noi.

Conosciuto questo senza dubbio alcuno, non si può dubitare, anche se non siamo in grado di capirne sempre le ragioni, che tutto ciò ch'egli dice è certo perché Dio non può mentire, e che quanto egli ha fatto è fatto sapientemente.

Bosone - Quanto dici è vero e non dubito affatto che quanto egli disse sia vero e che quanto egli ha fatto sia fatto ragionevolmente.

Ma ti chiedo di dimostrarmi perché mai le realtà della fede cristiana, le quali non appaiono agli infedeli né necessarie né possibili, sono necessarie e possibili.

E questo non perché tu abbia a consolidarmi nella fede, ma per darmi la soddisfazione d'intendere quelle verità cui sono già solidamente attaccato.

XVI. Dalla massa peccatrice Dio assume una natura umana senza peccato.

Salvezza di Adamo e di Eva

Bosone - Come mi hai spiegato con ragioni i quesiti precedenti, così ti domando di spiegarmi con la ragione ciò che ora ti chiederò.

E anzitutto come Dio dalla massa peccatrice, cioè dal genere umano tutto infetto dal peccato abbia assunto un uomo senza peccato, come un pane azimo da una massa fermentata.

Infatti sebbene la concezione di quell'uomo sia pura e senza la macchia del carnale diletto, tuttavia la Vergine dalla quale è stato assunto fu concepita "nell'iniquità e sua madre la concepì nel peccato" ( cf Sal 51,7 ) e nacque con il peccato originale, avendo anch'essa peccato in Adamo "nel quale tutti peccarono" ( Rm 5,12 ).

Anselmo - Dal momento che abbiamo accertato che quell'uomo è Dio e riconciliatore dei peccatori, non v'è alcun dubbio che sia completamente immune dal peccato.

Ora questo non è possibile se non nel caso che egli sia stato assunto senza peccato dalla massa peccatrice.

Se tuttavia non riusciamo a capire per quale ragione la sapienza di Dio abbia fatto questo, non dobbiamo meravigliarci, ma accettare con rispetto che ci sia qualcosa di incomprensibile nelle profondità di sì grande avvenimento.

In verità, Dio ha restaurato la natura umana più mirabilmente che non l'abbia creata.

Entrambi i fatti sono ugualmente facili per Dio.

Ma l'uomo prima di esistere non si era reso indegno con il peccato di ricevere l'esistenza; invece dopo la sua creazione con il peccato meritò di perdere ciò che era e ciò per cui era stato fatto.

Tuttavia non perse del tutto ciò che era, affinché ci fosse uno che potesse essere punito o a cui Dio potesse usare misericordia: due cose impossibili se l'uomo fosse stato ridotto al nulla.

Dio dunque ha agito più mirabilmente restaurando l'uomo che creandolo, perché la riabilitazione del peccatore è contro ogni merito, mentre la creazione non riguarda un peccatore né è contro il merito.

Per di più, quale grandezza non rappresenta l'unione di Dio e dell'uomo per cui, pur rimanendo in tutta l'integrità delle due nature, colui che è Dio è nello stesso tempo anche uomo?

Chi dunque oserà anche solamente pensare che l'umana intelligenza possa penetrare la sapienza con cui fu fatta questa opera inscrutabile?

Bosone - Riconosco che nessun uomo può spiegare perfettamente in questa vita un sì grande mistero, e non ti chiedo certo di fare quello che nessun uomo può fare, ma solamente quello che puoi.

Mi persuaderai meglio che in questo mistero si nascondono ragioni più profonde, mostrandomi che ne vedi qualcuna, più che provando con il silenzio che la tua intelligenza non ne scorge alcuna.

Anselmo - Vedo che non posso liberarmi dalla tua importunità; però se potrò in qualche modo mostrare ciò che domandi, rendiamo grazie a Dio.

Se non ne avrò la capacità, dovrai accontentarti delle prove già date.

Stabilita infatti la necessità che Dio si faccia uomo, non è possibile dubitare che gli manchi la sapienza e la potenza per farlo senza assumere il peccato.

Bosone - Lo ammetto volentieri.

Anselmo - Occorre certamente che la redenzione operata da Cristo non sia di vantaggio solamente a coloro che vivevano in quel tempo, ma anche agli altri.

Poniamo infatti il caso che ci sia un re contro il quale tutti gli abitanti di una sua città peccarono tanto gravemente che nessuno di loro può evitare la condanna a morte, a eccezione di uno solo, che pure è della loro stirpe.

Quest'unico innocente gode tanto credito presso il re da poter riconciliare con il re tutti coloro che avranno confidenza nel suo consiglio e d'altra parte ha tanto amore verso i colpevoli da volerlo fare.

Questo l'otterrà compiendo un servizio che piacerà molto al re e che egli compirà nel giorno stabilito dalla volontà del re.

E siccome tutti coloro che vogliono essere riconciliati non possono radunarsi per quel giorno, il re concede, data la grandezza del servizio, che vengano assolti da ogni colpa passata anche tutti coloro che sia prima che dopo avranno proclamato la loro volontà di ottenere perdono in virtù dell'azione che sarà compiuta in quel giorno e di aderire al patto che verrà stabilito.

Il re concede anche che, se dopo questo primo perdono accade loro di peccare di nuovo, ricevano ancora il perdono in virtù di questo stesso accordo, se vorranno correggersi e dare una degna soddisfazione.

Nessuno può entrare nel suo palazzo prima che sia compiuta l'azione che li deve liberare dalla colpa.

Secondo questa parabola, non potendo tutti gli uomini che dovevano salvarsi essere presenti quando Cristo compì la redenzione, venne data alla sua morte tanta potenza che i suoi effetti si possano estendere nel tempo e nello spazio anche a coloro che non vi erano presenti.

Che la sua morte non debba essere di aiuto solo ai presenti lo si arguisce facilmente dal fatto che non potevano esservi presenti tanti individui quanti sono necessari alla costruzione della città superna; e questo anche nella ipotesi che fossero stati ammessi alla redenzione tutti quelli che vivevano in quel momento, dovunque si trovassero.

I diavoli infatti, che gli uomini devono sostituire, sono più numerosi degli uomini che vivevano in quel giorno.

Né si deve credere che dalla creazione dell'uomo ci sia stato qualche lasso di tempo durante il quale questo mondo, adorno di tante creature fatte per l'uomo, non abbia contato fra le cose che gli appartenevano qualche individuo del genere umano che potesse arrivare al fine per cui fu creato.

Sembra infatti sconveniente che Dio abbia permesso che anche per un solo istante il genere umano e le cose che creò per coloro che dovranno riempire la città superna siano esistite quasi invano.

Avremmo infatti l'impressione che la loro esistenza sia vana fino a quando non le vedessimo sussistere per colui per il quale soprattutto furono create.

Bosone - Con un ragionamento appropriato, a cui nulla sembra opporsi, dimostri che dopo la creazione dell’uomo non ci fu mai alcun momento in cui non siano esistiti degli individui inclusi in quella riconciliazione, senza la quale ogni uomo sarebbe stato creato invano.

Anzi possiamo concludere che ciò non solo è conveniente ma anche necessario, perché se questo è più conveniente e più ragionevole dell'opposto - e cioè che per un certo tempo non ci sia stato nessuno nel quale si potesse realizzare il fine per il quale Dio creò l'uomo - e se nulla si oppone alla ragione data, è necessario che ci sia sempre stato qualcuno partecipe della predetta riconciliazione.

Conseguentemente non si deve dubitare che Adamo ed Eva facciano parte della redenzione, nonostante che l'autorità divina non lo dica espressamente.

Anselmo - Sembra incredibile che quando Dio li creò e immutabilmente decise di fare discendere da loro tutti gli uomini che voleva portare nella città celeste abbia escluso da questo disegno loro due.

Bosone - Anzi si deve credere che li abbia creati proprio perché fossero tra coloro per i quali furono fatti.

Anselmo - Ragioni bene.

Però, prima della morte di Cristo nessuna anima poté entrare nel paradiso celeste, come ho detto prima parlando del palazzo del re.

Bosone - Così crediamo.

Anselmo - La Vergine poi, dalla quale è stato assunto l'uomo di cui parliamo, fu del numero di coloro che vennero da lui purificati dal peccato prima della sua nascita; ed egli fu assunto dalla Vergine già purificata.

Bosone - Quello che esponi mi piacerebbe molto, se non lasciasse fraintendere che quest'uomo, che deve essere immune dal peccato per se stesso, lo sia invece per la madre e che non sia mondo per virtù propria ma per quella della madre.

Anselmo - Non è così; e poiché la purezza della madre, che lo rende puro, proviene da lui, anch'egli è puro per se stesso e da se stesso.

Bosone - Basta su questo argomento. Tuttavia mi sembra che ci sia ancora qualcosa d'altro da chiedere.

Abbiamo detto prima che quell'uomo non doveva necessariamente morire e ora vediamo che sua madre divenne pura per la sua futura morte.

Ora se tale morte non ci fosse stata, egli non avrebbe potuto nascere da lei.

Quindi come si può affermare che non morì necessariamente colui che non ebbe l'esistenza che per morire?

Se infatti non avesse dovuto morire, la Vergine dalla quale fu assunto non sarebbe stata pura, poiché non poté ottenere questa purezza che credendo alla verità della sua morte; ed egli d'altronde non poté essere assunto da lei in altra maniera.

Perciò se, dopo essere stato assunto dalla Vergine, non morì necessariamente, egli poté anche non essere assunto dalla Vergine dopo esserlo stato: il che è impossibile.

Anselmo - Se tu avessi meditato bene ciò che prima è stato detto, penso che vi avresti trovato la soluzione di questa questione.

Bosone - Non vedo come.

Anselmo - Mentre cercavamo se poteva mentire, non abbiamo forse dimostrato che ci sono due poteri a proposito della bugia: uno di voler mentire, l'altro di mentire? e non abbiamo dimostrato che egli è degno di lode per la giustizia con cui rispettò la verità quando, pur avendo il potere di mentire, si donò da se stesso il potere di non voler mentire?

Bosone - É cosi.

Anselmo - Così pure nei riguardi della vita, c'è il potere di conservarla e il potere di volerla conservare.

Quando dunque si domanda se questo Dio-uomo potesse conservare la propria vita così da non morire mai, non si può dubitare che sempre abbia avuto il potere di conservarla, sebbene non abbia potuto voler conservarla così da non morire mai.

E siccome ebbe da se stesso la volontà di non potere, donò la sua vita non per necessità ma per libero potere.

Bosone - Il potere di mentire e il potere di conservare la vita non furono perfettamente uguali.

Infatti nel primo caso abbiamo che se voleva poteva mentire; qui invece anche se volesse non morire, non lo potrebbe, come non potrebbe non essere ciò che è.

Infatti è uomo proprio per morire e per la fede in questa morte futura può essere assunto dalla Vergine, come hai detto prima.

Anselmo - Così come pensi che non poté non morire o che morì per necessità perché non poté non essere ciò che era, così puoi affermare che non poté volere di non morire o che volle morire per necessità poiché non poté non essere ciò che era, perché si fece uomo non tanto per morire quanto per volere morire.

Quindi come non devi dire che non poté voler non morire o che volle morire per necessità, così non si deve dire che non poté non morire o che morì per necessità.

Bosone - Al contrario, dal momento che morire e voler morire si fondano sulla medesima ragione, sembra che ambedue le cose siano imposte dalla necessità.

Anselmo - Chi fu a voler spontaneamente farsi uomo per morire con la stessa volontà immutabile, e per rendere pura, mediante la fede in questa realtà, la Vergine dalla quale quell'uomo sarebbe stato preso?

Bosone - Dio, il Figlio di Dio.

Anselmo - E non abbiamo già dimostrato che la volontà di Dio non è spinta da alcuna necessità, ma che anche quando si dice che fa qualcosa per necessità si mantiene nella sua libera immutabilità?

Bosone - Sì, questo è stato dimostrato.

Vediamo però che ciò che Dio immutabilmente vuole non può non accadere, anzi avviene necessariamente.

Quindi se Dio volle che quell'uomo morisse, egli non poté non morire.

Anselmo - Dal fatto che il Figlio di Dio assunse la natura umana con la volontà di morire tu tiri la conclusione che quell'uomo non poteva non morire.

Bosone - É ciò che intendo.

Anselmo - Da ciò che è stato detto però non segue anche che il Figlio di Dio e l'uomo assunto costituiscono una sola persona, così che lo stesso è Dio e uomo, Figlio di Dio e figlio della Vergine?

Bosone - Sì.

Anselmo - Quindi questo stesso uomo per la sua volontà non poté non morire, e morì.

Bosone - Non lo posso negare.

Anselmo - Poiché dunque la volontà di Dio non fa nulla per necessità ma tutto liberamente, e la volontà di quello fu volontà di Dio, egli non morì per necessità ma spontaneamente.

Bosone - Non posso obiettare alle tue argomentazioni.

Infatti non posso in alcun modo dimostrare la debolezza delle premesse che poni e delle conclusioni che ne tiri.

Però mi ritorna sempre l'obiezione che ho esposto: se volesse non morire non lo potrebbe, come non può non essere ciò che era.

Infatti doveva veramente morire, altrimenti se non avesse dovuto veramente morire non ci sarebbe stata quella vera fede nella sua futura morte per cui la Vergine, dalla quale nacque, e molti altri sono stati purificati dal peccato.

Se non fosse stata vera, non sarebbe servita a nulla.

Quindi se poté non morire, poté fare che non fosse vero ciò che era vero.

Anselmo - E perché prima che morisse era vero che doveva morire?

Bosone - Perché egli lo volle spontaneamente e con immutabile volontà.

Anselmo - Se, come dici, non poté non morire, perché doveva veramente morire e doveva veramente morire perché lo volle spontaneamente e immutabilmente, ne segue che non poteva non morire per il solo motivo che con volontà immutabile volle morire.

Bosone - É così. Ma qualunque sia la causa, rimane tuttavia vero che non poté non morire e che fu necessario che morisse.

Anselmo - T'attacchi troppo a un nonnulla e, come si suol dire, cerchi il nodo nel giunco.

Bosone - Ti sei dimenticato che cosa ho obiettato alle tue scuse al principio di questa nostra disputa?

Non ti ho chiesto spiegazioni per i dotti, ma per me e per quelli che lo domandavano con me.

Sopporta dunque che io chieda, spinto dalla lentezza e dalla pochezza della nostra intelligenza, e continua ad accontentare me e tutti gli altri anche nelle domande puerili, come hai fatto fin qui.

XVII. In Dio non c'è necessità o impossibilità

Significato dei termini: necessità obligante e necessità non obbligante

Anselmo - Abbiamo già detto che parliamo impropriamente quando affermiamo che Dio non può fare una cosa o che la fa necessariamente, perché ogni necessità e impossibilità è sottoposta alla sua volontà, e la sua volontà non è sottomessa a nessuna impossibilità o necessità.

Nessuna cosa infatti è necessaria o impossibile se non perché egli la volle tale; che poi egli voglia o non voglia una cosa per necessità o impossibilità è contrario al vero.

Quindi dal momento che fa tutto ciò che vuole e solamente ciò che vuole, nessuna specie di necessità o di impossibilità previene il suo volere o non volere, il suo fare o non fare, sebbene voglia e faccia immutabilmente molte cose.

Quando Dio compie una cosa, dopo che essa è compiuta, non può fare che non sia compiuta e rimane sempre vero che è stata fatta; tuttavia parlando rettamente non si dice che a Dio è impossibile far sì che ciò che è passato non sia passato.

Qui infatti non agisce la necessità di non fare o la impossibilità di fare, ma la sola volontà di Dio che, essendo la stessa verità, vuole che la verità sia sempre immutabile come effettivamente lo è.

Allo stesso modo, se egli si propone in modo immutabile di fare una cosa, sebbene ciò che egli si propone non possa non essere futuro, prima che avvenga, tuttavia in lui non c'è alcuna necessità di fare o impossibilità di non fare, perché solo la volontà agisce in lui.

Ogni volta che si dice "Dio non può" non si nega a Dio alcun potere, ma si indica una insuperabile potenza e forza.

Dicendo ch'egli non può fare una cosa s'intende solamente dire che nulla può indurlo a farla.

É usuale il dire che una cosa ha un dato potere, non perché lo ha essa ma un'altra; o che una cosa non ha un dato potere, non perché l'impotenza sia in essa ma altrove.

Così diciamo: "Quest'uomo può essere vinto", invece di "qualcuno può vincerlo"; e "quello non può essere vinto" invece di "nessuno può vincerlo".

A rigor di termini il poter essere vinti non è un potere ma una impotenza; e il poter non essere vinti non è impotenza ma potenza.

Se diciamo che Dio fa qualcosa per necessità non è perché in lui ci sia qualche necessità, ma perché essa c'è in un altro, come ho detto a proposito dell'impotenza parlando della frase "Dio non può".

Infatti ogni necessità è o una coazione o un impedimento, e queste due forme di necessità si scambiano fra di loro a titolo contrario, come il necessario e l'impossibile.

Tutto ciò che esiste per forza è impossibilitato a non esistere e tutto ciò che non esiste per forza è impossibilitato a esistere; come del resto ciò che necessariamente esiste è impossibile che non esista e ciò che necessariamente non esiste è impossibile che esista.

Dicendo che necessariamente questa cosa è o non è in Dio, non intendiamo dire che ci sia in lui una necessità che lo obbliga o lo impedisce, ma che in tutte le altre cose c'è una necessità che impedisce loro di agire e le costringe a non fare qualcosa di contrario a ciò che s'è detto di Dio.

Così quando affermiamo che necessariamente Dio dice sempre la verità e che mai dice il falso, non s'intende esprimere altro che in lui v'è tale impegno nel rispettare la verità che necessariamente nulla può far sì che egli non dica la verità o dica il falso.

E quindi quando affermiamo che quell'uomo, il quale, come abbiamo detto, per l'unità della persona si identifica con il Figlio di Dio, con Dio, non poté non morire o voler non morire dopo essere nato dalla Vergine, non intendiamo asserire in lui l'esistenza d'una impossibilità a conservare o a voler conservare la sua vita immortale, ma piuttosto l'immutabilità della sua volontà per la quale spontaneamente si fece uomo e attraverso la perseveranza in essa poté morire senza che nulla potesse cambiare tale volontà.

Se potesse voler mentire o ingannare o cambiare un volere che antecedentemente volle immutabile, si dovrebbe parlare piuttosto di impotenza che di potenza.

E se, come ho già detto, quando uno si propone di far spontaneamente una cosa buona e in seguito con la stessa volontà compie ciò che si è proposto, sebbene possa esservi costretto nel caso che si rifiuti di mantenere la promessa, non si deve affermare che compie ciò che fa per necessità, ma piuttosto per quella libera volontà con cui ha promesso.

Infatti non si deve dire che una cosa è compiuta per necessità o non è compiuta per impossibilità, quando né la necessità né la impossibilità compie qualcosa ma la sola volontà.

E se così avviene per l'uomo, molto più la necessità o l'impossibilità non si devono neppure nominare nei riguardi di Dio, il quale fa solamente quello che vuole, e la cui volontà non può essere costretta o impedita da alcuna forza.

Per questo c'era in Cristo la diversità delle nature e l'unità della persona, perché ciò che era necessario per la restaurazione dell'uomo fosse compiuto dalla natura divina, se non lo poteva l'umana, e ciò che era indegno della natura divina fosse realizzato da quella umana; così pure che non ci fossero due individui distinti, ma uno solo che esistendo perfettamente in ambedue le nature pagasse con la natura umana ciò che questa doveva e con la divina potesse fare ciò che era utile.

La stessa Vergine infine, che venne purificata per la fede affinché l'umanità dell'uomo-Dio potesse essere assunta da lei, credette ch'egli sarebbe morto perché lo volle, come aveva imparato dal profeta che aveva detto di lui: " É stato offerto perché volle " ( Is 53,7 ).

Quindi, essendo la sua fede vera, era necessario che l'avvenimento futuro fosse conforme alla sua fede.

E se ti turba ancora la parola "era necessario", pensa che la verità della fede della Vergine non fu la causa per la quale egli spontaneamente morì, ma piuttosto quella fede fu vera perché quello doveva avvenire.

Se perciò dico: " Era necessario che morisse per la sua sola volontà perché la fede e la profezia, che precedettero, furono vere" è come se dicessi: "Fu necessario che così avvenisse perché così sarebbe avvenuto".

Ora una necessità di tale specie non costringe una cosa all'esistenza, ma l'esistenza d'una cosa pone la necessità di esistenza.

C'è infatti una necessità antecedente che è causa dell'esistenza di una cosa, e c'è una necessità susseguente che è causata da una cosa.

Indichiamo una necessità antecedente e causante quando diciamo che il cielo è mosso perché è necessario che venga mosso; indichiamo al contrario una necessità susseguente e non causante quando dico che parli necessariamente perché parli.

Infatti quando dico questo, intendo dire che nulla può far sì che tu non stia parlando mentre stai parlando, e non che ci sia qualcosa che ti costringe a parlare.

Infatti la violenza della condizione naturale costringe il cielo a girare, mentre nessuna necessità ti costringe a parlare.

Dovunque c’è una necessità antecedente ce n'è anche una susseguente; però dove ce n'è una susseguente non ce n’è per ciò stesso una antecedente.

Possiamo infatti dire che è necessario che il cielo giri perché di fatto gira; ma non è ugualmente vero che tu parli necessariamente per il fatto che parli.

Questa necessità susseguente corre attraverso ogni tempo in questo modo: ciò che è stato è necessario che sia stato; ciò che è, è necessario che sia e che abbia dovuto essere.

Questa è quella necessità di cui parla Aristotele nel trattato sulle proposizioni singolari e future, e che sembra distruggere una delle proposizioni contrarie e stabilire che tutto esiste per necessità.

E siccome furono vere la fede e la profezia che riguardavano il Cristo, il quale doveva volontariamente e non necessariamente morire, bisognava che così avvenisse in virtù di questa necessità susseguente e non causante.

Per questa si fece uomo; per questa compì e patì tutto quello che fece e patì; per questa volle tutto quanto volle.

Quindi questi fatti avvennero necessariamente perché sarebbero avvenuti perché avvennero; avvennero perché avvennero.

Se vuoi conoscere la vera necessità di tutto ciò che fece e patì, sappi che tutto avvenne necessariamente perché lo volle.

Però la sua volontà non fu preceduta da alcuna necessità. Se dunque questi fatti si compirono perché lui volle, se egli non avesse voluto non si sarebbero verificati.

Conseguentemente nessuno gli tolse l'anima, ma lui stesso se ne spogliò e di nuovo la prese, perché aveva il potere "di dare la sua anima e di riprenderla" come egli stesso dice ( Gv 10,18 ).

Bosone - Mi hai accontentato, dimostrandomi che non si può provare che egli abbia subito la morte per necessità, e non mi pento d'essermi mostrato importuno per fartelo fare.

Anselmo - Penso d'avere mostrato con una ragione sicura come Dio abbia assunto dalla massa peccatrice una natura umana senza peccato.

Ma, a mio avviso, non si deve negare che ne esiste un'altra oltre quella che abbiamo esposto, tenendo pure presente che Dio può fare ciò che l'intelligenza dell'uomo non può comprendere.

Ma siccome la ragione esposta mi sembra sufficiente e siccome, se ne volessi cercare un'altra, dovrei di necessità spiegare che cosa è il peccato originale e come si propaga dai primi uomini a tutto il genere umano - eccezion fatta per l'uomo di cui parliamo - e sfiorare certe altre questioni che da sole reclamano un trattato, accontentiamoci di quella esposta e proseguiamo a spiegare quanto ci rimane dell'opera cominciata.

Bosone - Come vuoi, ma a condizione che un giorno, con l'aiuto di Dio, riprenderai, come cosa dovuta, la spiegazione di questa ragione che ora non vuoi esporre.

Anselmo - Non rifiuto ciò che chiedi, perché coltivo anch'io questo desiderio.

Ma poiché non sono certo del futuro, non oso promettere e mi affido al volere divino.

XVIII. La morte di Cristo dà soddisfazione a Dio per i peccati degli uomini.

In che senso Cristo dovette e non dovette patire

Anselmo - Ma dimmi ora che cosa ti sembra si debba rispondere alla questione che hai proposto all'inizio e che ne ha richiamate molte altre.

Bosone - In poche parole la questione è questa: perché Dio si è fatto uomo per salvare con la propria morte l'uomo, quando, almeno sembra, avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato in altro modo?

E tu, rispondendo con numerose e necessarie ragioni, hai dimostrato come la restaurazione della natura umana non avrebbe dovuto essere rimandata né sarebbe potuta avvenire, se l'uomo non avesse pagato a Dio ciò che gli doveva per il peccato.

Ma il debito era così grande che per soddisfarlo, essendo obbligato solo l'uomo ma potendolo solo Dio, occorreva che quell'uomo fosse pure Dio.

Quindi era necessario che Dio assumesse l'uomo nell'unità di persona per far sì che colui che doveva pagare e non poteva secondo la sua natura, fosse personalmente identico a colui che lo poteva.

Hai poi spiegato come quell'uomo che doveva essere Dio dovesse essere assunto da una Vergine e nella persona del Figlio di Dio e come abbia potuto essere preso dalla massa peccatrice senza peccato.

Hai anche dimostrato che la vita di quest'uomo è così sublime e preziosa che può bastare a risarcire i peccati di tutto il mondo, anzi che vale infinitamente di più.

Rimane dunque da chiarire come questa vita venga data a Dio per i peccati degli uomini.

Anselmo - Se si è lasciato uccidere per la giustizia, non ha dato la sua vita per l'onore di Dio?

Bosone - Se posso comprendere ciò di cui non dubito - sebbene non veda come abbia agito ragionevolmente proprio perché poteva insieme e salvaguardare completamente la giustizia e non perdere in eterno la sua vita - confesserò che egli fece a Dio per il suo onore e liberamente un dono tale che nulla di ciò che non è Dio può reggere al confronto e soddisfare tutti i debiti di ogni uomo.

Anselmo - Non capisci che sopportando con benigna pazienza gli insulti, gli oltraggi e la morte in croce tra i ladroni per la giustizia che, come abbiamo detto, obbedendo conservava, diede un grande esempio agli uomini così da spingerli a non allontanarsi dalla giustizia che devono a Dio, nonostante tutti i disagi che possono provare?

Questo esempio egli non lo avrebbe dato se, ricorrendo alla sua potenza, avesse evitato la morte che gli veniva inflitta per una tale causa.

Bosone - Sembra che abbia dato questo esempio senza alcuna necessità, perché sappiamo che molti prima della sua venuta, e Giovanni Battista dopo la sua venuta, ma prima della sua morte, l'hanno dato a sufficienza sopportando coraggiosamente la morte per la verità.

Anselmo - Nessun uomo, all'infuori di lui, morendo, diede a Dio una cosa che non dovesse un giorno necessariamente perdere, o pagò ciò che non doveva.

Egli invece liberamente offrì al Padre ciò che nessuna necessità gli avrebbe mai fatto perdere, e pagò per i peccatori quello che non era obbligato a pagare per sé.

Perciò diede un esempio molto più grande ed efficace nel far sì che nessuno dubiti di ridare a Dio per se stesso, quando la ragione lo domanda, ciò che un giorno sicuramente dovrà abbandonare.

Egli infatti senza averne personalmente alcun bisogno e senza essere costretto a farlo per gli altri ai quali non doveva che il castigo, donò una vita così preziosa, anzi se stesso, cioè una persona si sublime e con tale volontà.

Bosone - Ti avvicini molto al mio desiderio.

Ma non impazientirti se ti chiedo una cosa, che ti può sembrare stupida, ma alla quale io non saprei rispondere se ne venissi richiesto.

Tu dici che morendo egli diede quello che non doveva.

Nessuno però potrà negare che egli ha agito in modo migliore donando un simile esempio e che questo è più gradito a Dio che il non averlo fatto; e neppure dirà che egli non avrebbe dovuto fare ciò che era migliore e ciò che capiva essere più gradito a Dio.

Come dunque affermeremo che egli non dovette dare a Dio ciò che fece e ciò che capì essere migliore e più gradito a Dio, soprattutto perché la creatura deve a Dio quanto essa è, sa, e può?

Anselmo - Benché la creatura non abbia nulla da sé, tuttavia, quando Dio le concede di fare o di non fare lecitamente una cosa, le dà la possibilità di scegliere o l'una o l'altra.

Per cui, sebbene una sia migliore dell'altra, la creatura non è obbligata in maniera determinata né all'una né all'altra; ma sia che compia quella migliore sia che compia l'altra, si deve dire che doveva fare ciò che fa.

E se compie la cosa migliore essa ha un premio in quanto liberamente dà ciò che è suo.

Per esempio, pur essendo la verginità migliore del matrimonio, nessuno dei due stati è imposto all'uomo in modo determinato, ma diciamo che sia chi usa del matrimonio sia chi preferisce conservare la verginità fa quello che deve fare.

Nessuno affermerà che non si deve scegliere la verginità o il matrimonio; ma che ciascuno deve fare ciò che preferisce prima di scegliere l'uno o l'altro stato, e se sceglie la verginità può attendere una ricompensa per il dono che liberamente offre a Dio.

Pertanto quando affermi che la creatura deve a Dio ciò che conosce come migliore e lo può attuare, se intendi "a titolo di giustizia" e non sottintendi "se Dio lo comanda" non sempre è vero.

Perché, come ho detto, l'uomo non deve praticare la verginità a titolo di debito, ma deve usare del matrimonio se lo preferisce.

E se la parola "dovere" ti crea delle difficoltà e non la puoi separare dall'idea di debito, sappi che come alle volte le parole "potere", "non potere" e "necessità" vengono usate non perché siano nelle cose di cui si parla, ma in altre, così qui viene usata la parola "dovere".

Così, quando si dice che i poveri devono ricevere l'elemosina dai ricchi, si intende dire che i ricchi devono fare l'elemosina ai poveri.

Infatti questo debito non lo si deve esigere dal povero ma dal ricco.

Si dice anche che Dio deve sovrastare tutte le cose non perché egli sia con ciò in qualche modo debitore, ma perché tutto deve essere a lui sottomesso.

Si dice anche che deve fare ciò che vuole, perché ciò che vuole è ciò che deve essere.

Così quando una creatura vuoi fare ciò che è in suo potere di fare o di non fare, si dice che deve farlo perché ciò che vuole è ciò che deve essere.

Così quando il Signore Gesù, come abbiamo detto, volle subire la morte, poiché era in suo potere il subirla e il non subirla, dovette fare ciò che fece in quanto dovette essere fatto ciò che volle; e non dovette farlo in quanto non c'era alcun titolo di debito.

Cioè, poiché questo stesso individuo è insieme Dio e uomo, da quando è uomo, secondo la natura umana ha ricevuto dalla natura divina ( che si distingue da quella umana ) di avere come proprio tutto ciò che aveva per cui non era in obbligo di dare se non ciò che voleva; a causa della persona invece tutto ciò che aveva lo aveva talmente da se stesso e gli era così perfettamente sufficiente che non doveva pagare niente a nessuno e non aveva bisogno di dare perché gli fosse ridonato qualcosa.

Bosone - Ora vedo chiaramente che per nessuna ragione si sottomise alla morte per l'onore di Dio a titolo di debito, come la mia ragione sembrava dimostrare, e ciò nonostante dovette fare ciò che fece.

Anselmo - É così, e quell'onore va a tutta la Trinità.

E poiché quel medesimo è Dio, Figlio di Dio, offrì sé a se stesso per il proprio onore e si offrì anche al Padre e allo Spirito Santo; cioè la sua umanità alla sua divinità che è unica e uguale per le tre persone.

Tuttavia per rimanere nella stessa verità ed esprimere più chiaramente ciò che vogliamo, abitualmente diciamo che il Figlio spontaneamente offrì se stesso al Padre.

Infatti in questo modo si parla con la massima proprietà, perché anche in una sola persona è compreso tutto Dio, a cui egli si offrì secondo l'umanità; inoltre quando si predica che in questo modo il Figlio intercede per noi presso il Padre, l'uso dei vocaboli "Padre" e "Figlio" suscita nel cuore degli uditori una certa quale immensa tenerezza.

Bosone - Lo accetto con tutto il cuore.

XIX. Quanto ragionevolmente dalla sua morte sgorghi la salvezza umana

Anselmo - Guardiamo ora, come più possiamo, quanto ragionevolmente sgorghi dalla morte dell'uomo-Dio la salvezza umana.

Bosone - A questo aspira il mio cuore.

Infatti, sebbene mi sembri di capire, voglio che tu mi faccia la tessitura delle ragioni.

Anselmo - Non c'è bisogno di spiegare quanto sia grande il dono che il Figlio spontaneamente offrì.

Bosone - È chiaro abbastanza.

Anselmo - Suppongo che non penserai che debba rimanere senza ricompensa colui che spontaneamente offre un così grande dono a Dio.

Bosone - Al contrario vedo la necessità che il Padre ricompensi il Figlio.

Altrimenti si mostrerebbe o ingiusto se non lo volesse, o impotente se non lo potesse: cose tutte estranee a Dio.

Anselmo - Colui che ricompensa qualcuno o gli dona ciò che egli non ha o gli condona ciò che potrebbe da lui esigere.

Ora prima ancora di compiere questa grande opera il Figlio possedeva tutto ciò che era del Padre, né mai ebbe un debito che gli potesse venir condonato.

Che premio dunque verrà dato a colui che non ha bisogno di nulla e al quale nulla può essere dato o condonato?

Bosone - Vedo da una parte la necessità del premio e dall'altra l'impossibilità; perché è necessario che Dio dia ciò che deve e non c'è cosa che possa essere donata.

Anselmo - Se un premio così grande e così meritato non viene dato né a lui né ad altri, sembrerà che il Figlio abbia compiuto invano un'opera così grande.

Bosone - È empio il pensarlo.

Anselmo - Dal momento dunque che il premio non può essere dato a lui, necessariamente deve essere dato a qualche altro.

Bosone - É una conclusione inevitabile.

Anselmo - Se il Figlio volesse che ciò che gli è dovuto sia dato a un altro, potrebbe il Padre legittimamente impedirglielo o negarlo a colui al quale egli lo vuol dare?

Bosone - Al contrario credo giusto e necessario che il Padre lo dia a colui al quale il Figlio lo vorrà dare, perché al Figlio è lecito dare ciò che è suo e il Padre può dare ciò che deve solo a un altro.

Anselmo - A chi più convenientemente assegnerà il frutto e il premio della sua morte se non a coloro per la salute dei quali si è fatto uomo - come la ragionevolezza della verità ci ha insegnato - e ai quali, come abbiamo detto, morendo diede l'esempio di come si muore per la giustizia?

Invano infatti sarebbero suoi imitatori, se non fossero partecipi dei suoi meriti.

O chi più giustamente costituirà eredi di un diritto del quale non ha bisogno, e della sua sovrabbondante pienezza se non i suoi parenti e fratelli - che vede consumarsi nel bisogno e nel profondo della miseria, vincolati da tanti e tali debiti - così da condonare il debito contratto con i peccati e da dare loro quello di cui i peccati li hanno privati.

Bosone - Il mondo non può udire nulla di più ragionevole, dolce e desiderabile.

E questo mi riempie di tanta fiducia che non posso più dire di quanta gioia s'allieta il mio cuore.

Mi sembra infatti che Dio non rigetti alcun uomo che si avvicini a lui sotto questo nome.

Anselmo - É proprio così, purché si avvicini come si deve.

Come poi ci si debba avvicinare alla partecipazione di tanta grazia e come si debba vivere sotto di essa, ce lo insegna a ogni passo la Sacra Scrittura, che è fondata sopra la solida verità come sopra robusto fondamento - che con l'aiuto di Dio abbiamo potuto in qualche modo intravedere.

Bosone - Veramente ciò che viene edificato sopra questo fondamento ha le basi sulla solida pietra ( cf Lc 6,48 ).

Anselmo - Penso d'aver soddisfatto abbastanza alla tua questione.

Veramente uno più dotato di me lo potrebbe fare in maniera più completa.

Esistono infatti altre ragioni più profonde e più numerose di quelle che la mia o la mortale intelligenza possano comprendere intorno a questo mistero.

É chiaro anche che Dio non aveva alcun bisogno di fare quello che abbiamo spiegato, ma l'immutabile verità così esigeva.

Sebbene infatti si dica che ciò che quell'uomo fece, lo fece Dio a causa dell'unità della persona, tuttavia Dio non aveva bisogno di scendere dal cielo per vincere il diavolo né di lottare contro di lui secondo le leggi della giustizia per liberare l'uomo; ma Dio esigeva che l'uomo vincesse il diavolo e che colui che peccando aveva offeso Dio pagasse secondo giustizia.

Al diavolo, Dio non doveva che la punizione, e anche l'uomo non gli doveva che il contraccambio, cioè: essendo stato vinto da lui, doveva vincerlo a sua volta.

Però tutto quello che si esigeva dall'uomo, l'uomo lo doveva a Dio e non al diavolo.

XX. Grandezza e giustizia della misericordia di Dio

Anselmo - La misericordia di Dio che ti sembrava negata quando approfondivamo la giustizia divina e il peccato dell'uomo, la ritroviamo ora così grande e così armonizzata con la giustizia, che non la si può pensare più grande e più giusta.

Infatti quale condotta può essere più misericordiosa di quella del Padre che dice al peccatore condannato a tormenti eterni e privo di ciò che potrebbe salvarlo: "Prendi il mio Unigenito e offrilo per te"; mentre il Figlio a sua volta gli dice: "Prendimi e salvati"?

É questo che essi ci dicono quando ci chiamano e attirano alla fede cristiana.

Che cosa infatti di più giusto che colui a cui viene dato un prezzo più grande di ogni debito rimetta ogni debito, posto che il dono gli sia dato con i dovuti sentimenti?

XXI. È impossibile che il diavolo si riconcili con Dio

Anselmo - Se attentamente consideri la redenzione umana, capirai che la riconciliazione del diavolo, sulla quale mi hai interrogato, è impossibile.

Come infatti l'uomo non poté essere riconciliato che per mezzo di un uomo-Dio - che poté morire e con la sua giustizia restituire a Dio ciò che questi aveva perduto a causa del peccato dell'uomo - così gli angeli dannati non potrebbero venire salvati che da un angelo-Dio, che possa morire e che per la sua giustizia ridoni a Dio ciò che i peccati degli altri gli hanno tolto.

E come l'uomo non doveva essere rialzato da un altro uomo, che non appartenesse alla stessa schiatta benché della medesima natura; così nessun angelo deve essere salvato da un altro angelo perché, sebbene essi siano tutti della stessa natura, non sono anche della stessa schiatta come gli uomini.

Infatti gli angeli non discendono da un solo angelo, come gli uomini da un solo uomo.

C'è anche un'altra ragione che impedisce la loro restaurazione, e cioè: come caddero senza che qualcuno recasse loro danno o facilitasse la loro caduta, così devono rialzarsi senza l'aiuto di alcuno.

E questo è impossibile per loro.

Infatti non possono essere rimessi nella dignità che dovevano avere, poiché se non avessero peccato avrebbero perseverato nella verità ( cf Gv 8,44 ) senza l'aiuto altrui e con la potenza che avevano ricevuto.

Quindi se qualcuno pensasse che un giorno la redenzione del nostro Salvatore deve abbracciare anche loro, ha qui le prove con le quali può ragionevolmente convincersi che irragionevolmente si sbaglierebbe.

E questo non lo dico perché il valore della sua morte non superi in eccellenza tutti i peccati degli uomini e degli angeli, ma perché una ragione immutabile si oppone alla salvezza degli angeli caduti.

XXII. La verità del vecchio e del nuovo testamento è provata da ciò che è stato detto

Bosone - Tutto ciò che affermi mi sembra ragionevole e tale da non poter essere contraddetto da nulla.

Anzi con la soluzione della sola questione che abbiamo proposto vedo provato tutto ciò che è contenuto nel Nuovo e nel Vecchio Testamento.

Infatti tu provi apoditticamente che Dio si è fatto uomo e con metodo, che se anche venissero tolti i pochi elementi che hai preso dai nostri libri parlando, per esempio, delle tre persone di Dio e di Adamo è tale da appagare con la sola ragione non soltanto i giudei ma anche i pagani.

Ora, dal momento che lo stesso Dio-uomo fonda il Nuovo Testamento e approva il Vecchio e poiché è necessario riconoscere che egli è verace, nessuno può negare la verità di qualunque affermazione ivi contenuta.

Anselmo - Se abbiamo detto qualcosa che deve essere corretto non ricuso la correzione, purché essa sia conforme a ragione.

Se invece ciò che crediamo d'avere scoperto per le vie della ragione è confermato dalla testimonianza della verità, dobbiamo attribuirlo non a noi ma a Dio, che è benedetto nei secoli.

Così sia.

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