La storia della Chiesa

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§ 13. Culto religioso dei martiri

1. La dottrina della comunione dei santi è una verità fondamentale della fede cristiana ( Gv 15,1ss; molti passi in san Paolo: Rm 12,5; 1 Cor 10,16s; 2 Cor 13,13; Ef 4,16; il terz'ultimo articolo del Simbolo ).

Poiché in questa comunione, secondo la Scrittura, ciascuno sostiene e aiuta l'altro ( Gal 6,2; inoltre Col 1,24 ), questa dottrina è al tempo stesso, espressione di un altro concetto centrale del messaggio cristiano, il concetto della mediazione che, nella sua funzione sostanziale e nella sua autonomia, è realtà soltanto nell'arco mediatore Gesù Cristo; ma in forma subordinata e come puro dono, sottende tutta la realtà del Cristianesimo.

La viva coscienza di questo dato di fatto ci si presenta con particolare chiarezza nel fenomeno dell'alta stima che circonda il martirio cristiano.

Divenne anche il mezzo che valse ad approfondire e a tener desta la fede nella comunione spirituale in Cristo, nella vicendevole responsabilità e nel reciproco spirituale vantaggio.

Il culto dei martiri è inoltre una delle radici che hanno fatto fiorire la venerazione dei santi.

Quanto più questi due concetti divennero importanti, in seguito, per la vita religiosa nella Chiesa, tanto più è importante rendersi conto delle basi su cui poggiano.

Il culto religioso dei martiri è una delle espressioni più significative della pietà cattolica nei primi secoli.

I commoventi, autentici atti dei martiri, la penetrante e seria trattazione del tema da parte degli scrittori cristiani, come i numerosi graffiti sulle pareti delle catacombe, ci mostrano quale grande funzione abbia esercitato il martirio e il culto dei martiri nella vita spirituale dei cristiani a partire dal II secolo.

2. Per quanto vari fossero i motivi che indussero i pagani alla persecuzione dei cristiani, in fondo e oggettivamente a cominciare dalla persecuzione di Nerone, fu sempre la fede cristiana contro cui effettivamente fu diretta l'ostilità.42

Coloro che, pur tra sanguinose torture, sostennero la loro fede o la sigillarono con la morte, divennero per questo dei testimoni particolarmente significativi e importanti del Signore, testimoni della sua dottrina e della sua vittoria sull'avversario; si chiamarono perciò col nome greco di « testimoni »: martiri.

La morte cruenta del martire, di conseguenza, non era nemmeno per i cristiani una sconfitta; al contrario era in senso vero e proprio la vittoria su tutto ciò che si opponeva ostilmente al regno di Dio, la vittoria sullo Stato ingiustamente persecutore, sul paganesimo e soprattutto sugli autori di questo, i demoni.

3. Per questo motivo i martiri furono ritenuti strumenti particolarmente favoriti dalla grazia; ad essi si attribuì un privilegiato posto di fiducia presso Dio; i martiri erano fatti degni, attraverso i loro patimenti, di aver parte al trionfo di Cristo.

Essi col loro sangue avevano « testimoniato » Cristo come salvatore del mondo, essendo immacolati erano già scampati al giudizio e un giorno sarebbero ricomparsi al giudizio finale per giudicare col Cristo.

Per questo si circondavano di speciale venerazione anche i loro resti mortali.

Di qui sorse il culto dei martiri.

Ancora mentre erano in vita, coloro che avevano subito il carcere o punizioni corporali godevano, nella Chiesa, di una posizione particolare.

Secondo Tertulliano e altri scrittori ecclesiastici essi mediavano la riconciliazione a coloro che erano caduti e non avevano la pace con la Chiesa.

La comunità cristiana di Smirne, in uno scritto dell'anno 156, rendeva noto il martirio del suo Vescovo Policarpo il quale ancora sul rogo avrebbe pregato così: « Io Ti glorifico per avermi concesso questo giorno e quest'ora, che io fra i tuoi martiri possa aver parte al calice del tuo Cristo ».

Nello stesso scritto la Chiesa assicura di voler commemorare ogni anno il giorno della morte del Vescovo sulla sua tomba.

Tali solenni commemorazioni venivano tenute in un primo tempo per prominenti personalità ecclesiastiche, come i Papi Callisto ( + 222 ), Ponziano ( + 235 ), Fabiano ( + 250 ) e anche per il presbitero Ippolito ( + 235 ).

In secondo luogo s'incominciò a onorare i « confessori », i quali per quanto non avessero sofferto una morte violenta, si erano però avvicinati, con la carcerazione ed altri patimenti, al martirio vero e proprio.

4. a) Una particolare importanza acquistarono le tombe nelle quali a Roma molti martiri erano sepolti: le catacombe.

Il loro impiego non è stato provocato dalla persecuzione; anche la supposizione che per lo più esse fossero usate per i servizi divini e le assemblee, è stato un errore: gli stretti corridoi con taluni piccoli allargamenti a forma di cappella non potevano ospitare folti gruppi di fedeli.

È probabile che talvolta vi venisse amministrato il battesimo.

Questi luoghi di sepoltura, come tutti gli altri, erano pienamente tutelati dalla legge romana.

Il nome « catacombe » deriva dai luoghi cristiani di sepoltura a Roma che si trovavano ad catacumbas ( nelle arenarie ).

b) Dopo la liberazione ( nel IV secolo quindi ) la venerazione delle reliquie in forma di culto delle tombe dei martiri aumentò notevolmente.

In quel tempo si eressero in misura crescente chiese a mausoleo; lì poteva ora radunarsi tutta la comunità, per la celebrazione eucaristica, attorno alla tomba del martire o sopra di essa.

c) Il numero dei martiri è stato spesso esagerato in passato; in tempi più recenti, in seguito ad un'analisi troppo critica delle fonti, è stato spesso sottovalutato.

Non si possono dare delle indicazioni numericamente esatte.

Prima del 250 il numero, tutto sommato, non fu considerevole, conformemente al modo asistematico e inconseguente della persecuzione; a partire da Decio esso invece cominciò ad aumentare.

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42 A ciò non contraddice il fatto che lo Stato ( specialmente prima di Decio ) non fosse sempre del tutto consapevole di ciò, anzi volesse annientare non la fede in quanto tale, ma la presunta ostilità dei cristiani nei confronti dello Stato.