La storia della Chiesa

Indice

II. Il Papato

1. Nei tristi tempi dominati dalla confusione e dalle guerre del VI e del VII secolo, quando i confini continuamente si spostavano e la pressione dei Germani, ormai vicini, si faceva sentire sempre più forte nell'interno dell'Italia, era molto difficile da parte di Roma entrare in contatto con i cattolici che abitavano nel Nord.

I rapporti erano perciò rari.

È un segno efficace della forza indistruttibile della Chiesa, se essa, anche in questo tempo di barbarie, quando per di più era guidata da personalità di nessun rilievo, non mancò ne di coraggio ne di capacità nel proseguire, in qualche modo almeno, il suo lavoro di evangelizzazione nei punti più importanti e più aperti al futuro, e vi ottenne dei risultati notevoli.

2. L'uomo che, per i suoi meriti storici, va menzionato prima di ogni altro è il Papa Gregorio Magno ( 590-604 ).

Figura che eguaglia per importanza quella dell'ultimo grande Papa del mondo antico in tramonto ( Leone Magno: § 24,5 ), egli è il primo grande Papa del mondo nuovo che sta per sorgere.

La sua opera è diventata basilare per tutto il Medioevo.

Una realtà di fatto fondamentalissima per lo sviluppo complessivo della Chiesa in Occidente erano le Chiese territoriali germaniche.

Gregorio, che era romano, riconobbe l'immenso pericolo che esse costituivano e le sue conseguenze: sulla Chiesa universale poteva gravare la minaccia della rovina.

Tanto più che la forma delle Chiese territoriali non poteva essere elusa, ne, proprio nell'interesse della cristianizzazione, vi si poteva rinunciare.

Papa Gregorio diede allora, attraverso la sua opera, l'efficace parola d'ordine per la salvezza: bisognava attuare quell'idea che già era balenata all'antichità cristiana e senza la quale non vi sarebbe stato un Medioevo e una Chiesa universale com'è oggi: una più rigida guida di tutta la gerarchia da parte del successore di Pietro.

Anche se la mietitura immediata non corrispose alla semina di questo grande uomo, dal punto di vista storico, non è certo azzardato affermare che già in questo primo Gregorio traluce la grande idea di un regno cristiano occidentale, molto tempo prima che Carlo Magno o Gregorio VII concepissero il loro programma.

È di particolare importanza religiosa per la storia della Chiesa il fatto che, in una situazione di disperata debolezza politica - anche se per nulla priva di saggezza politica ed economico-amministrativa - un'idea nuova, spiritualizzata, di Roma sia stata concepita ed essenzialmente sostenuta dalle forze della fede.

3. Epoca caotica quella in cui si trovava allora l'Italia.

Erano appena passati pochi decenni da quando Giustiniano, con una guerra durata diciotto anni ( 535-553 ), aveva strappato l'Italia ai Goti ariani, annientandoli.

Roma era stata ripetutamente assediata.134

In quel tempo furono nuovamente riuniti gli Imperi d'Oriente e d'Occidente.

Nel 554 un governatore bizantino ( esarca ) venne a Ravenna, come capo politico del Paese ( anche del Papa ).

Tale carica rimase in vita per circa 200 anni.

Ma già nel 568 irrompevano in Italia i Longobardi ariani ( l'ultima stirpe puramente germanica che si stanziò in territorio romano ), minacciando continuamente Roma e pertanto l'indipendenza del Papa.

Per un secolo e mezzo fu costante il pericolo che il Papa potesse divenire un vescovo territoriale longobardo.

4. Quando si cerchi la fonte che possa spiegare la caratteristica della personalità di Gregorio I, la formazione del suo programma in questa epoca e la possibilità dei suoi successi, la si trova nella sua romanità.

Romanità qui non significa tanto cultura romana, quanto piuttosto sapienza romana e alta umanità; egli voleva che i sudditi fossero trattati come liberi: « Noi uomini siamo per natura tutti uguali ».

Inoltre, Gregorio è erede dell'arte di governo della Roma antica ( l'aveva appresa ed esercitata nella sua precedente carriera a servizio dello Stato ), la quale aveva saputo così genialmente guidare e attrarre a sé popoli di stirpe diversa e tanto lontani, pur sapientemente rispettandone le caratteristiche loro proprie; un atteggiamento che nel monaco Gregorio era stato ancora approfondito sotto l'influsso della regola di san Benedetto, così piena di moderazione.

Questa romanità però, a cui stanno particolarmente a cuore le categorie razionalmente comprensibili e dinamiche del pratico ordinare e comandare, in Gregorio è approfondita, in modo straordinario, in senso cristiano, così che essa non vive ne è feconda per virtù propria, ma in virtù dell'adempimento dei precetti cristiani apparentemente così poco concreti, fino a quello espresso in Mt 23,11 : « Chi è il maggiore fra voi, sarà vostro servo! ».

Per tutta la sua vita il romano Gregorio fu intimamente legato all'antica idea dell'Impero e al suo rappresentante, l'imperatore in Oriente.

Ma non voleva una minore indipendenza per la Chiesa.

Dalla terrazza del suo palazzo Laterano egli guidò personalmente la difesa di Roma, sua patria, contro i Longobardi.

Ma ciononostante preferì poi ( invece di obbedire alle richieste dell'imperatore e dell'esarca ) ottenere la ritirata di rè Agilulfo, pagando un alto tributo annuo.

Di fronte a nemici barbari e brutali, egli non dimenticò la sua missione sacerdotale, compiendo il tentativo di attirare anche loro alla vera fede.

Ottenne così che il figlio maggiore del ré, erede al trono, ricevesse il battesimo ( la moglie del rè Agilulfo, la principessa bavarese Teodolinda, era cattolica ).

5. La gloria di Gregorio nella storia della Chiesa è data dalla sua attività missionaria.

Fu rivolta soprattutto agli Anglosassoni.

Ma egli era ben consapevole dell'importanza e del ruolo primario dei Franchi.

Le fonti ci permettono di dire che la missione britannica mira indirettamente ai Franchi.

Gregorio infatti, nello stesso anno in cui cominciò la missione d'Inghilterra ( 595 ), scrisse al rè d'Austrasia Chilperico II le prof etiche parole: « Come la dignità reale supera tutti gli altri uomini, così lo splendore del Regno ( dei Franchi ) è superiore a tutti gli altri regni ».

a) Dando egli a quel popolo, oltre il Mare del Nord, una Chiesa strettamente legata con il centro, con Roma, creò due poli dai quali scaturì una vita cristiano-cattolico-religiosa, che investì come una corrente le frapposte terre germaniche e così preparò, in modo decisivo, il grande lavoro del futuro.

Vera guida di uomini, egli sapeva benissimo che una trasformazione interiore, una vera conversione di interi popoli, non può ottenersi con la violenza, ne dall'oggi al domani.

Egli quindi sostenne il principio genuinamente cattolico che si debbono accettare, nei limiti del lecito, gli usi tradizionali dei popoli, e, invece di eliminarli, riempirli di spirito cristiano: « Strappare tutto ai popoli incolti non è possibile.

Chiunque voglia raggiungere una cima sale a grado a grado, e non tutto in un colpo ».

Questa costatazione delle poche possibilità spirituali-psicologiche esistenti nell'evangelizzazione, lo indussero per esempio, a permettere delle immagini sacre come mezzo d'istruzione ( non però la loro venerazione religiosa ) per gli incolti che non sapevano leggere ( Calvino, nel suo zelo puritanistico, non riuscirà a comprendere questi suoi sani accorgimenti ).

b) Su questa linea si pone anche il sapiente adattarsi da parte di Gregorio alla situazione ecclesiastico-territoriale dei popoli germanici.

Nonostante gli abusi in parte inauditi che si verificavano nella Chiesa merovingia ( simonia nella distribuzione delle sedi episcopali, immoralità del clero ecc. ), egli rispettò i diritti dei rè nella convocazione dei concili e nella attuazione dei loro decreti.

Egli cercò di ottenere la necessaria riforma con loro e servendosi di loro.

Non di sua iniziativa - come avrebbero fatto molti dei suoi predecessori e successori - nominò il vescovo di Arles Vicario Apostolico, ma dopo esserne stato richiesto dal rè Childeberto.

Egli peraltro trovò il modo atto di abituare i Germani alla speciale autorità del Papa, così per esempio quando fece avere allo stesso rè la chiave per accedere alla tomba del Principe degli Apostoli con incastonata una reliquia di quella catena che avrebbe tenuto legato Pietro quando era prigioniero.

Sostenuto dal segreto potere della venerazione dei Germani per san Pietro, Gregorio acquistò un'autorità paterna che, senza ostentazione di paternalismo, da ai potenti rè dei barbari il nome di « figli » e, se è necessario, come tali li riprende.

Così si comportò anche con la Chiesa visigota di Spagna che, poco prima dell'inizio del suo pontificato, si era convertita dall'Arianesimo alla fede cattolica.

Al suo amico Leandro di Siviglia mandò il pallio e al rè Recaredo, quale segno di riconoscenza per la devozione dichiaratagli, delle preziose reliquie e uno scritto riguardante i doveri di un rè cristiano.

Ma egli non mise mai in pericolo il primato di giurisdizione papale, avanzando delle pretese inopportune o addirittura dispotiche.

6. a) In tal modo egli indirizzò la missione per quell'unica strada feconda che, a benedizione del Cristianesimo, non avrebbe mai dovuto abbandonare: invece di rigida uniformità, secondo l'esempio della madre Chiesa romana, egli concesse e predicò ampio e saggio adattamento affinché la fede cristiana s'incarnasse veramente nel pensiero e nella vita dei nuovi popoli che s'incontravano con Cristo.

Di questo spirito sono permeate le parole rivolte da Gregorio ad Agostino di Canterbury: « Tu conosci, o fratello, le abitudini della Chiesa romana, nella quale sei stato educato e che tu possa sempre amare.

È mio desiderio però, che se tu trovassi qualcosa nella Chiesa romana o gallica o altra ancora che potesse piacere di più a Dio onnipotente, lo scelga con cura e lo introduca nella Chiesa degli Angli, ancora giovane nella fede …

Infatti, non i costumi sono graditi per il loro luogo d'origine, bensì i luoghi d'origine per i loro costumi.

Perciò prendi da tutte le Chiese quanto c'è di buono, di religioso, di giusto … ».

b) Gregorio era un pastore d'anime di grande statura.

Lo documenta già quanto è stato detto, in riferimento piuttosto alla costruzione concreta esterna e alla fondazione formale ( naturalmente anche agli atteggiamenti spirituali di fondo, che le guidano ).

Ma soprattutto è da rilevare in lui - come accennato - l'uomo dalla inferiore vita religiosa.

Le radici più profonde della sua forza sono da ricercarsi nella sua pietà, vale a dire, nella sua fede.

Erede di una ricca famiglia, egli aveva abbandonato la sua brillante carriera per entrare ( per così dire in varie tappe135 ) nel monastero ( benedettino? ) che lui stesso aveva fondato nel suo palazzo.

Già verso il 575 aveva preso parte alla vita monastica di comunità; ma solo dopo essere ritornato dall'apocrisariato135a, e dopo aver fondato altri sei monasteri nei suoi latifondi siciliani rinunciò, nell'anno 587, ai suoi diritti patrimoniali, ancora cospicui, e divenne monaco definitivamente.

È necessario rendersi conto di cosa ciò significasse.

Monasteri in Roma! Nella Roma dei templi e degli anfiteatri, nella Roma già dominatrice del mondo, monaci che disprezzano o fuggono il mondo!

E da un monastero esce, con l'animo adorno di tutte le nobili tradizioni della romanità, colui che salva Roma, colui che crea la Chiesa medievale!

L'amalgama tra ascesi e cura d'anime non era tipico ne per il monachesimo antico, ne per quello contemporaneo; lo fu invece per il Papa-monaco Gregorio.

Egli diede al monachesimo l'incarico provvidenziale della missione, che Benedetto non prevedeva come attività specifica dei suoi monaci.

c) Lo spirito di ascesi è testimoniato anche dai suoi scritti parte dei quali hanno dominato tutto il Medioevo e lo hanno reso fecondo in vari modi ( per esempio la sua Regola Pastorale per il clero, le sue omelie, oltre 800 lettere ).

Manca naturalmente l'alta e profonda spiritualità della teologia della Chiesa antica.

Le opere di Gregorio, sia per il contenuto che per la forma, sono di un livello alquanto modesto ( anche se gli antichi monaci dalla loro soffocante allegoria sapevano trarre, più di noi, ogni sorta di nutrimento vigoroso e sano ).

La forza religiosa è indubbiamente grande e si esprime in forme che erano proprio adatte ai popoli del tempo ( compresi i monaci ).

7. a) Al carattere di Gregorio corrispose la sua organizzazione del Papato, come ideale rappresentante del quale egli passò alla storia.

Il tratto particolare del suo pontificato consiste nel fatto che egli, da una parte, sta completamente sulla linea che va da Leone Magno a Gregorio VII, dall'altra, invece, sembra contraddire in punti essenziali questo autorevole orientamento storico.

È interessante a questo proposito la disputa di Gregorio con Giovanni il Digiunatore ( 595 ) che, essendo vescovo di Costantinopoli, si era aggiunto il titolo di « Patriarca ecumenico ».

Il titolo come tale non era nuovo.

Quale espressione della dignità del patriarca della capitale dell'Impero, che figurava di rango superiore ai patriarchi di Alessandria e di Antiochia, era stato per lungo tempo tollerato perfino a Roma e da Gregorio, di temperamento contrario a quello di Leone Magno.

Ma il titolo poteva anche essere inteso nel senso di « episcopus universalis », cosa che implicava una insopportabile limitazione del primato romano.

Contro questo, Gregorio protesta in uno scritto al patriarca Giovanni, di cui era amico e che del resto stimava moltissimo per la sua pietà.

In esso egli rivendica il primato del ministero di Pietro, rifiuta però nello stesso tempo il titolo di vescovo universale come termine di autoesaltazione ingiusta e priva di carità.

In opposizione alla prassi bizantina e nel senso genuino della prima lettera di san Pietro ( 1 Pt 5,1-3 ), e fedele alla propria esortazione al suo clero ( « servire più che dominare » ) Gregorio chiamava se stesso piuttosto « Servus servorum Dei ».

Anche questa designazione, che da allora in poi divenne propria dei vescovi romani, non è affatto nuova, ne aveva un significato preciso.

Già Leone Magno aveva caratterizzato il suo ufficio come « servitus » e perfino il potente dominatore della Chiesa, l'imperatore Giustiniano, credeva di doversi ritenere « ultimus servus minimus ».

Ma per Gregorio la denominazione è più che una formula di devozione o un'esaltazione per vie traverse del suo ufficio.

Della sua portata ci informa una lettera da lui scritta nel 598 al Patriarca Eulogio di Alessandria.

Qui non rifiuta soltanto anche per sé il titolo di « universalis papa », ma con tutta chiarezza non vuole neppure sentire la frase « come voi avete ordinato » che Eulogio aveva usata in uno scritto nei confronti di Gregorio.

Poiché - così precisa Gregorio - « egli non ha ordinato, ma si è solo preoccupato di segnalare al patriarca quello che sembrava utile ».

Il primato - e anche lui, come i suoi predecessori, si attiene ad esso, - di conseguenza, secondo il pensiero di Gregorio, è da esercitarsi a guisa di servizio e non di dominio.

Gregorio regna sulla Chiesa, in quanto serve i fratelli ( Lc 22,26ss ).

b) Da questa comprensione caratteristica per Gregorio del « servus servorum Dei » è da distinguersi quell'altra, secondo la quale il Papa serve la Chiesa, regnando.

È necessario tener presente questa importante distinzione se vogliamo capire l'intima tensione fra la storia e la rivelazione, nello sviluppo dell'idea di primato da Gregorio I fino a Gregorio VII, - dal primo Papa monaco che, anche per il successore di Pietro, rifiutava il titolo « universalis papa » come superba presunzione che degrada i fratelli nell'ufficio, fino all'altro monaco sulla cattedra del Principe degli Apostoli, che, nonostante l'incontestabile umiltà e l'insuperabile sollecitudine, nel suo famoso Dictatus Papae ( § 48,4 a ), reclama lo stesso titolo come diritto esclusivo del Papa.

Rimane un particolare titolo d'onore per il grande Papa di questo periodo di transizione il fatto che proprio egli, romano, seppe liberarsi, in misura così elevata, dall'involucro romano di principatus spirituale, e realizzò la semplicità e la genuinità evangelica del primato di Pietro.

Lo stesso spirito, unito a una sana politica realistica, sembra aver guidato Gregorio, quando egli, anche di fronte all'autorità dell'Imperatore, assume una posizione che s'allontana notevolmente da quella dei suoi predecessori e successori.

Dove c'è di mezzo la fede, Gregorio non cede.

Dove però si tratta di problemi - come quello sollevato dall'ingresso dei soldati nella vita monastica - che interessano allo stesso modo la sfera ecclesiastica e quella secolare o sono di competenza della "politica ecclesiastica" dell'imperatore, egli si contenta, se è necessario, di una tollerante obbedienza.

Fa notare così, con tutta chiarezza, all'imperatore Maurizio che il decreto concernente l'esclusione dei soldati dalla vita monastica contraddice alla volontà di Dio.

Con questa lucida protesta però crede di aver assolto al suo dovere.

Per il resto egli obbedisce e promulga la legge imperiale.

L'imperatore, sia come cristiano che come protettore della Chiesa, è egli stesso responsabile dinanzi a Dio del suo provvedimento.

8. Ad una personalità di questo genere doveva passare, in certo qual modo, automaticamente, la guida politica di Roma, quando scomparve il Senato.

Poiché anche la potenza esteriore del Papa s'era accresciuta, attraverso la crescente ricchezza del patrimonium Vetri, è evidente che allorquando i Longobardi s'avvicinarono, non l'esarca di Ravenna, ma l'imponente personalità del Papa fu riconosciuta come vero rappresentante dell'Impero romano d'Oriente: il prestigio politico del Papato cresce.

Attraverso il riordinamento economico del patrimonium Vetri ( possedimenti nel triangolo fra Perugia, Ceprano e Viterbo ) Gregorio ha gettato le fondamenta per il futuro Stato della Chiesa ( senza che l'idea di una tale istituzione fosse nelle sue intenzioni ).

Si può intendere ( con Erich Caspar ) lo sviluppo accennato anche nel senso che il Papa, mentre mediante l'attivazione del patrimonio ecclesiastico, supera in un primo tempo la crisi dal punto di vista economico-sociale-caritativo, senza accorgersene, diviene anche guida politica, premesso che si riconosca che in Gregorio l'elemento religioso-sacerdotale non è in nessun caso una conseguenza dell'elemento economico-politico.

Avere cereali e denaro per i bisognosi, i profughi e i prigionieri, questo era per lui lo scopo del lavoro economico.

Egli era un padre dei poveri e in questo è senz'altro il tipo del vescovo del Medioevo.

La sua vita fu tutta spesa nel lavoro.

Esso fu compiuto, lottando con un corpo che per tutta la vita fu afflitto dalla malattia.

Gregorio solo a stento poteva camminare: ma è lo spirito che vivifica, lo spirito di fede.

9. Dei successori di Gregorio sul trono pontificio abbiamo poche notizie e per di più vaghe.

Una certa fama gode unicamente Onorio I ( 625-38 ), il discepolo solerte e influente, sia in campo religioso che politico, di papa Gregorio, la cui infelice presa di posizione nella controversia monotelita ( § 27,III,2 ) portò il VI Concilio ecumenico e Leone II a ritenere ch'egli avesse « cercato di minare la purezza della fede ».

Mentre nello stesso tempo vanno preparandosi nuovi successi nell'evangelizzazione dei Germani del Nord e dell'Ovest, nel Sud-Est sorge, con l'Isiam, una potenza estremamente minacciosa.

In questo contesto dev'essere considerata la vita di Gregorio e dei suoi successori.

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134 Da quel tempo la campagna romana, già fiorente e fertile, fu abbandonata e divenne insalubre.
135 Solo un po' alla volta si sottomise a tutto il rigore della regola; alla cosiddetta observantia parva.
135a Apocrisario si chiamava a quei tempi il legato pontificio a Bisanzio.