La storia della Chiesa

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II. L'opera ecclesiastica, religiosa e sociale di Carlo

Carlo aveva riconosciuto le molteplici forze sociali, spirituali e religiose del Cristianesimo e della Chiesa; egli se ne seppe servire, con sovrana superiorità, per l'edificazione della sua opera.

1. a) Ai nuovi territori conquistati egli diede subito una organizzazione ecclesiastica.

La regione dei Sassoni fu dapprima assegnata, come terra di missione, ad alcuni vescovadi e monasteri più antichi e in seguito ebbe una serie di vescovadi propri: Brema, Minden, Verden, Paderborn, Mùnster, Halberstadt.

Qui, come in tutte le altre regioni, Carlo agiva come Signore della Chiesa; la sua volontà aveva valore di ordine anche in campo ecclesiastico.

b) Il medesimo interesse per una amministrazione ecclesiastica solidamente regolata - cioè la convinzione della straordinaria importanza della « legge della forma » per ogni iniziativa politico-spirituale che voglia avere lunga durata e imporsi alla grande massa - fu dimostrata da Carlo anche negli antichi territori del regno.

Tutte le chiese, anche quelle private, dovevano sottostare a un vescovo; i vescovadi a loro volta si dovevano riunire in circoscrizioni metropolitane.

In quel tempo Colonia, Treviri e Magonza furono elevate ad arcivescovadi; a Salisburgo fu inoltre affidata l'evangelizzazione dei nuovi territori conquistati con la vittoria sugli Avari.

( Nell'831 sotto Lodovico il Pio s'aggiungerà Amburgo-Brema, e nel 968, sotto Ottone il Grande, Magdeburgo ).

Questi sei arcivescovadi durarono per tutto il Medioevo.

Sotto di essi si trovavano, in Germania, circa 40 vescovadi.

c) Mediante concili che Carlo convocava, dirigeva, e nelle cui discussioni, sia pratiche che teologiche, egli spesso interveniva, venne fissato il quadro per una completa vita ecclesiastico-cristiana, inoltre venne stabilito il suo contenuto e instaurato un contatto più stretto tra i singoli vescovadi ( e con ciò promossa l'unità del loro spazio vitale ).

I vescovadi riebbero i beni ecclesiastici dei quali erano stati privati sotto i predecessori di Carlo, oppure fu loro offerto il risarcimento.

Inoltre Carlo provvide ad altre entrate ecclesiastiche; per esempio, per i bisogni del culto dovette essere istituita la decima.

2. Fin dall'antichità cristiana, sappiamo di lasciti a chiese e monasteri fatti in forma varia.

Ma col Medioevo germanico e agrario essi acquistano un tale influsso sulla vita storico-ecclesiastica e sul suo sviluppo, che per il Medioevo ecclesiastico possono essere definiti come aventi una parte decisiva non solo economicamente, ma anche religiosamente.

a) Se perciò Carlo, e dopo di'lui i rè tedeschi e imperatori romani vennero chiamati tutori della Chiesa, ciò significava, anche per questo aspetto, molto di più che non una semplice posizione onorifica; il titolo esprime un dominio reale sulle chiese, sulle abbazie ecc., fondate dal sovrano regnante o dai suoi predecessori, non meno che sullo Stato della Chiesa, anzi sullo stesso Papato ( fino a Gregorio VII ).

In questo quadro organizzativo, doveva fiorire, secondo il volere di Carlo, una ricca vita ecclesiastico-religiosa e intellettuale.

Nessuno si accontentava, meno di lui, della lettera dei decreti.

Egli si adoprava per la loro realizzazione attraverso un processo ordinato, del quale faceva parte anche l'indispensabile controllo attuato mediante visite.

Ce lo conferma l'istituzione dei « missi », resa stabile da Carlo.

Comunemente questi messi reali sono due: un conte e un vescovo o un abate ( espressione del potere temporale e spirituale dell'imperatore ).

La loro competenza non si limita solo alla sorveglianza, essi amministrano la giustizia e ristabiliscono l'ordine, qualora sia turbato.

Essi si interessano allo stesso modo della vita privata dei vescovi e dei sacerdoti, come dell'ordinata amministrazione della giustizia, o dell'esattezza dei pesi e delle misure.

I laici vengono esaminati sulla loro conoscenza del Credo e del Paternoster, oppure sul valore morale che essi attribuiscono al pagamento o meno delle decime.

b) Carlo curò che gli incitamenti dati venissero ulteriormente trasmessi, creò quindi delle scuole.

Presso tutte le chiese episcopali e monastiche si dovette erigerne una; la maggior parte di esse doveva dare solo le prime nozioni elementari.

Altre avevano degli scopi più alti, costituivano una specie di accademia o di seminario per le nuove generazioni di religiosi e di laici.163

Le più importanti furono la scuola Palatina di Aquisgrana, quella di Fulda, di San Gallo, di Gorbia e di Tours.

c) Carlo aveva un personale interesse per la cultura.

Si circondò anzitutto di validi collaboratori che egli in un primo tempo, naturalmente, cercò al di fuori del suo Paese.

I due più importanti li portò con sé dall'Italia: Paolo Diacono, lo storico dei Longobardi e Alenino ( + 804 ), che fu il suo « ministro dell'Istruzione », venuto da Parma.

Questo anglosassone portò alla corte carolingia l'intera cultura del tempo che, proprio nella Chiesa inglese, era ad un livello assai elevato.

Sebbene Alcuino non fosse uno spirito creativo, ha fatto sì che fosse conservata ai secoli futuri nel campo della dogmatica, dell'esegesi, della liturgia e di altre scienze, una grande quantità di materiale scientifico ( e con esso ricche possibilità di collegamento ).

I suoi due discepoli più famosi furono Eginardo164 e Rabano Mauro ( + 856 ).

Alcuino morì in uno dei più importanti centri della sua attività, a Tours.

d) In questo processo di rinascita spirituale, Carlo inserì vigorosamente anche i monasteri.

Bisogna anzi dire che per lui i chiostri dovevano essere non tanto centri di vita religiosa, quanto focolai di civiltà in campo economico, scientifico e artistico.

Soprattutto egli dette nuovo avvio a tutta una vasta attività di copisteria ( trascrizione di manoscritti ): quel modesto processo di inestimabile ampiezza che avrà un così grande influsso attraverso tutto il Medioevo.

Senza Carlo Magno, molti documenti della letteratura classica sarebbero andati perduti per l'umanità.

Senza quell'attività di trascrizione non si sarebbe potuto realizzare neppure la reciproca, vera presa di contatto e fecondazione spirituale, allora e nei secoli futuri, tra i singoli monasteri, singole sedi episcopali, tra espressioni diverse di vita teologica al di qua e al di là delle Alpi.

3. Questa evoluzione fu organica.

Poiché si riallacciò agli elementi positivi dell'opera precedente e li sfruttò, servendosi dell'intuizione e della forza volitiva dell'uomo geniale.

Quello che Dehio dice circa gli impulsi dati da Carlo nel campo dell'arte riveste un più ampio valore generale: « Cario Magno fece superare non solo all'arte tedesca, ma a tutta l'arte occidentale il suo punto morto, costringendo il suo popolo franco ad accogliere l'arte antica.

Il suo nome è il primo che si debba segnare nella storia dell'arte tedesca in misura più grande se si considerino gli effetti che da lui provennero.

Per tale riguardo nessun artista ha raggiunto questo non-artista ».

Certamente il risultato raggiunto fu solo un primo gradino.

E non avrebbe potuto essere diversamente in quest'epoca primitiva.

Poiché Carlo non creò una vera cultura popolare che penetrasse la massa, ma il « Rinascimento carolingio ».

La sua opera poggiava in modo troppo esclusivo sulla personalità unica dell'imperatore, così che la sua morte significò per molte delle sue creazioni la scomparsa di quasi ogni possibilità di vita.

E tuttavia, quanti germi preziosi che produrranno il loro frutto in un lontano futuro sono da essa derivati per tutto il secolo in cui durò la rinascita dell'antica civiltà latina promossa dallo spirito germanico!

Mentre il partito più forte voleva riservare queste possibilità ai soli religiosi e monaci, d'altra parte si affermarono, in certo qual modo almeno, anche le cosiddette « scuole esterne ».

Quello però che in particolar modo conferì durata almeno alla sostanza degli ammirabili impulsi di Carlo, fu la verità cristiana regolarmente annunciata e la sua presentazione nella liturgia oltre che nella teologia dei monasteri e delle scuole.

Le forze religioso-monastiche dell'interiorizzazione che da qui scaturirono ( san Benedetto di Aniano ) non vanno sottovalutate.

Poiché anche di questa vita direttamente religiosa Carlo si preoccupò, sia nei monasteri che nelle parrocchie.

È importante che egli si sia preoccupato di introdurre la regola di san Benedetto.

Per i parroci ordinò una raccolta di prediche modello, per rendere più feconda la predicazione.

Da Roma fece venire dei libri liturgici.

Alcuino rielaborò il Rituale Romanorum che in seguito fu introdotto anche a Roma e, in buona parte, è in uso ancora oggi.

La celebrazione della liturgia, come strumento importantissimo, forse il più importante, ai fini dell'educazione del popolo ancora incolto per tutta la durata del Medioevo, fu abbellita dal canto.

La pubblica penitenza per i delitti gravi fu rinnovata, la confessione fu grandemente raccomandata.

Per la trasgressione di determinati precetti della Chiesa ( per es. la proibizione di mangiar carne nei giorni di astinenza ) fu inflitta perfino la pena di morte.

Dai laici fu richiesto un minimo di istruzione religiosa.

La carità fu organizzata ( le leggi di Carlo prescrivono con precisione che una parte dei beni ecclesiastici debba essere impiegata per i poveri ).

4. Per queste diverse attività ebbero grande importanza i cinque viaggi di Carlo in Italia, quattro dei quali lo portarono a Roma.

Roma, nonostante le incursioni dei Goti e dei Longobardi, era ancora sempre l'urbe, soffusa di uno splendore unico nel suo genere dal punto di vista artistico, religioso-liturgico e perfino politico.

Si conservavano ancora i molti templi, palazzi e altre magnifiche creazioni dell'arte antica in marmo e bronzo.

Ravenna presentava il sublime fascino dei suoi mosaici, nei quali poteva venir ammirata anche una parte della dignità imperiale della Roma orientale elevata su di un piano sociale.

Nelle chiese di queste città la liturgia dispiegava una magnificenza e una solennità diverse da quelle del Nord rurale.

Per il Dominatore geniale che veniva dalle corti dell'Austrasia, tutto ciò dovette apparire come il contatto con una nuova vita.

Senza queste visite, nelle quali anche la civiltà altamente evoluta dell'Oriente ( Ravenna ) influenzò il plasmatore dell'Occidente in divenire, non sarebbe sorta la Cattedrale di Aquisgrana che doveva essere, come santa Sofia a Bisanzio, la chiesa di corte e la chiesa nazionale di Carlo ( modello immediato: san Vitale a Ravenna ).

Anche l'impressione che questi viaggi lasciarono sul seguito di Carlo non va sottovalutata.

a) Non c'è bisogno di sottolineare quanti « vantaggi » l'Imperatore abbia apportato alla Chiesa con le decisioni già menzionate.

Gli alti titoli religiosi che gli venivano riconosciuti, e dei quali parleremo in seguito, sono anche un riconoscimento per questo aspetto della sua opera.

Ma già nel regno merovingio, iniziando da Clodoveo, si erano poste le basi per un certo con-diritto di decisione in campo ecclesiastico.

Dopo il battesimo, i rè franchi figuravano come i difensori nati della fede cattolica.

Quando poi vescovi franchi e lo stesso papa Stefano II unsero Pipino, quel compito divenne, al di là degli accordi giuridici presi, un « diritto » oggettivamente sacrale.

Carlo intese la sua opera proprio in questo senso, vale a dire come un mandato particolare, anzi immediato da Dio, di guidare il popolo cristiano.

E in ciò, come già abbiamo detto, egli non fu soltanto servitore della Chiesa, ma ne fu il signore, e talvolta lo fu in maniera pesante.

b) Senza dubbio, anche questa ostinata inclusione della Chiesa nel programma generale di Carlo aveva in sé, dal punto di vista storico, una profonda giustificazione.

Con la idea del regno universale ( occidentale ) per grazia di Dio, Carlo diede a uno degli scopi principali della Chiesa medievale ( quello di creare una unità cristiana occidentale ), per la prima volta, una configurazione universale.

E tale fatto si dimostrò in seguito di tale portata e così indispensabile per l'attività della Chiesa medievale da attenuare storicamente il peso delle arbitrarie soperchierie.

Inoltre: partendo dalla concezione di una Monarchia universale, dovette a Carlo sembrare impossibile una netta distinzione fra potere religioso e potere politico.

D'altra parte, tra i Papi dell'epoca non ci fu una personalità che fosse stata capace di assumersi il gigantesco compito che era necessario risolvere e alla cui soluzione era orientata l'azione di Carlo, a prescindere dal fatto che essi non avevano a disposizione i mezzi politici ed economici che sarebbero stati necessari.

c) Questa giustificazione generale e profonda deve essere delimitata attraverso alcune considerazioni.

Carlo conferì di propria iniziativa quasi tutte le sedi vescovili e le abbazie ( anche a laici ).

È vero che esigeva moltissimo dai candidati ( sottoposti a severi e ripetuti esami ), ma ciò che egli soprattutto esigeva dall'investito era il servizio allo Stato ( chiamata sotto le armi; partecipazione personale alla guerra; ospitalità al rè durante i viaggi ).

Eppure Carlo non fu un rappresentante del cesaropapismo ( § 21,4ss ).

Egli non voleva calpestare i diritti della Chiesa, ma inserirli nello Stato per il bene della totalità.

Basandosi su Agostino, egli voleva che la Chiesa e il mondo si potessero trovare nell'unità della « civìtas Dei », nella quale alla sfera spirituale spetta il primato su quella temporale.

Qui incontriamo importanti affinità con la concezione papale.

Nel rivolgimento che verrà, per esempio in Gregorio VII, esse si esplicheranno in favore della ierocrazia papale.

In questo periodo di fondazione e sotto Carlo stesso, le tendenze accennate non significavano ancora un pericolo particolarmente grande.

Tuttavia, ciò che nel regime unitario e universale di Carlo era storicamente addirittura inevitabile, con l'andar del tempo doveva diventare molto pericoloso: era inevitabile che il libero sviluppo della vita ecclesiastica ne dovesse venire intralciato, ne potesse esser soddisfatto nelle sue giuste esigenze a causa della mescolanza dei due poteri.

La futura differenziazione delle due parti doveva rivelare che conseguenze nocive potevano, anzi dovevano sorgere dalle premesse che erano state poste da Carlo per il miglior bene della Chiesa.

Questo supera, sotto un altro aspetto, la parte avuta da Carlo nello sviluppo storico: anche la gerarchia, dal canto suo, viveva in funzione di un'idea universale di unità.

Come il sovrano Carlo se ne servì in funzione del campo culturale e politico, così il Papato più tardi, cercando di attuare il suo proprio programma ( quello di guidare direttamente tutta la realtà ), soccombette alla secolarizzazione sebbene avesse raggiunto la libertà.

d) Dal punto di vista sostanziale, assai peggiore fu il fatto che Carlo prendesse, di propria iniziativa, delle decisioni nelle controversie dogmatiche.

Si è già accennato al fatto che egli interveniva arbitrariamente nelle discussioni dei concili imperiali, da lui convocati e diretti; ma questo nel regno dei Franchi era da lungo tempo di diritto.

Più complicata è la vicenda della lotta contro le immagini, dove Carlo cercò di imporre a Papa Adriano I ( 772-795 ) i suoi errati punti di vista.

Il VII Concilio ecumenico di Nicea nel 787, al quale il Papa aveva partecipato inviando due legati, si era dichiarato favorevole alla venerazione delle immagini.

Con i cosiddetti « Libri Carolini » ( 790-92 ) e poi con il concilio di Francoforte nel 794, al quale il Papa aveva inviato due legati, Carlo rifiutò questa dottrina.

Il giudizio si fondava peraltro su di una traduzione difettosa del testo greco dei decreti del Concilio di Nicea.

D'altra parte, non va dimenticato il contesto politico-ecclesiastico: il concilio, per antica tradizione, aveva invitato sì il patriarca d'Occidente, il Papa, ma aveva volutamente trascurato il rè, l'effettivo sovrano del regno in Occidente; Carlo si sentì offeso in quei diritti che la stessa Chiesa romana non contestava all'imperatore romano d'Oriente.

Egli, d'altra parte, si presentò come il difensore della ortodossia.

In quel tempo penetrò al di qua dei Pirenei l'eresia di Felice d'Urgel, una specie di Adozionismo ( § 16 ), noto dai tempi del primo Cristianesimo.

A Roma non si era data importanza all'eresia.

Carlo invece la fece confutare da Alcuino e condannare espressamente in parecchi sinodi franchi - anche in quello di Francoforte del 794.

e) Il momento più pericoloso nella posizione politico-ecclesiastica di Carlo fu l'eccessivo orientamento verso la civiltà che egli aveva impresso alla vita della Chiesa.

Si produsse « un certo oscuramento dei compiti specificamente religiosi nel senso che la Chiesa fu vista come istituzione di civiltà e si pretese da essa, in prima linea, la promozione della scienza, dell'arte, della cultura economica, di fronte alle quali retrocedevano i suoi compiti puramente religiosi » ( Schnùrer ).

Un primo segno premonitore di una futura, anche se lontana, triste decadenza!

Qui infatti ( nonostante un vivo fervore religioso ) furono talmente sovraccentuate certe concezioni materiali della realtà religiosa e cristiana, profondamente radicate nel modo di pensare germanico, e che rappresentavano una tentazione per il popolo rozzo del primo, anzi ancora dell'alto Medioevo, che da esse si potevano sviluppare tendenze unilaterali a carattere canonistico o pelagiano.

È tuttavia necessario insistere nel sottolineare l'aspetto inevitabilmente fatale di questo sviluppo.

È difficile immaginare uno sviluppo diverso.

La funzione ecclesiastica e la funzione culturale non erano ancora divise; esiste una concezione base comune all'Imperatore e alla gerarchia, che ( nonostante l'entelechia interna molto diversa, v. sotto ) aumentò la mescolanza e con essa la reciproca tensione.

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163 La Schola palatina di Aquisgrana era destinata più per l'istruzione dei ministeriali.
Tours aveva un indirizzo teologico.
Entrambe servirono da modello per le altre scuole.
A grande importanza assursero, oltre a quelle nominate nel testo, per esempio Reichenau e Corvey.
164 Autore della Vita Caroli, scritta fra l'817 e l'830.