La storia della Chiesa

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III. Carlo Imperatore

1. a) Il potere politico di Carlo, quando egli salì al trono, non era tanto solido da potergli permettere di agire in maniera indipendente in ogni caso anche nella sfera immediata del territorio governato dal Papa, nello Stato della Chiesa.

I Longobardi erano là sempre ancora concorrenti del potere franco e vicini pericolosi del Papa.

La decisione dipendeva dalla posizione che il protettore franco avrebbe preso nei loro confronti, cioè se fosse stato fedele all'alleanza di Pipino o se invece non fosse ritornato alla politica favorevole ai Longobardi, adottata da Carlo Martello.

Per quest'ultima inclinò Carlo Magno in un primo tempo, sposando Ermengarda, figlia di Desiderio, rè dei Longobardi, matrimonio che ne le aspre parole di Papa Stefano,165 ne il suo anatema valsero a impedire.

D'altra parte Roma era divisa fra i due poteri politici germanici: sotto il debole Stefano III ( 768-772 ) il partito franco e longobardo si fecero una guerra sanguinosa.

b) Questa situazione cambiò di colpo con l'improvvisa morte di Carlomanno, il fratello maggiore di Carlo, nell'anno 771.

Carlo, diventato sovrano assoluto, mutò politica.

Dopo un anno di matrimonio, rimandò a Pavia la principessa longobarda.

Il nuovo papa Adriano I, insigne per pietà e prudenza, riconosce l'imperativo del momento e ripiega cautamente verso la politica dell'alleanza di Stefano II.

La vedova di Carlomanno era fuggita coi suoi figli alla corte di Desiderio.

Ai Longobardi si offriva l'occasione propizia per turbare nello stesso tempo la pericolosa unità franca e la sua alleanza con Roma.

Ma il Papa ricusò di legittimare, con l'unzione, la pretesa politica dei figli di Carlomanno e di elevarli alla dignità di rè.

Quando infine Desiderio mosse contro Roma e ogni altra trattativa sembrò vana, il Papa decise di chiamare in aiuto Carlo, il rè dei Franchi e « Patricius Romanorum ».

Per prima cosa egli fece esaminare sul posto, dai suoi legati, le rimostranze del Papa, tentò di placare Desiderio per vie pacifiche - offrendogli perfino un'alta somma di denaro, a titolo di risarcimento - ma questi tentativi fallirono e Carlo si decise per la guerra.

c) Mentre Pavia viene assediata, egli si dirige inaspettatamente verso Roma, per celebrare la Pasqua ( 774 ) nella città eterna.

Il mercoledì dopo Pasqua egli rinnova la promessa di suo padre ( la cosiddetta donazione di Pipino, § 39,3c ).

Dai giorni di Pipino però le condizioni erano cambiate.

Colui che si obbliga qui, sotto, giuramento, alla difesa della Chiesa contro i Longobardi e alla restituzione dei territori sottratti a san Pietro, pochi mesi dopo la caduta di Pavia ( giugno 774 ), si pone sul capo la corona ferrea dei Longobardi, senza curarsi dei sentimenti del Papa.

In modo significativo Carlo taglia corto con la riluttanza finora dimostrata di fronte ai titoli romani ( accanto al titolo di rè dei Franchi e dei Longobardi quello di « Patricius Romanorum »); e si guarda bene dal « restituire » la maggior parte dei territori voluti dal Papa.

Il nuovo patrizio si riteneva evidentemente qualcosa di più che detentore di un potere delegato; al titolo di « patrizio » egli diede un nuovo contenuto: il patronato si trasforma in predominio politico.

2. Tutto ciò acquista tutta la sua importanza e diviene sufficientemente trasparente nella sua imponente forza storica ( ma anche nel suo complicato intreccio di molteplici forze ), non appena studiarne l'idea di fondo che Carlo aveva della sua condizione di sovrano e dalla quale poi, più o meno, si può dedurre tutto il resto: l'ideale imperiale di Carlo.

a) L'idea dell'Impero romano non era del tutto tramontata in Occidente ( § 34 ).

Per quanto molte concezioni di esso in particolare fossero indeterminate e ben poco « romane », tuttavia esse erano presenti come potenza molteplice, anche giuridicamente già formata.

Nel regno dei Franchi c'era l'idea imperiale, d'interpretazione cristiana, già nella espressione « Imperium Christianum ».

Ora si era formato un ambito di sovranità che si riteneva imperiale specialmente per il fatto di racchiudere, nella sua potente estensione, più di un « paese » ( territori italici, spagnoli, avari ).

Lo stesso Carlo intese se stesso come detentore di un potere universale nell'Occidente, che comprendeva pure Roma.

Il termine « universale » non è da intendere ne in senso antico, ne in senso bizantino, i quali, entrambi, riconoscevano solo un sovrano universale.

Il concetto indica l'unità di dominio di quel territorio che chiamiamo, press'a poco Occidente.

Bisanzio e la sua sfera d'azione furono espressamente riconosciuti ( problema dei due imperatori ).

b) Questo regno del sovrano franco trovava unità con la Chiesa romana e in essa, che a sua volta, era stretta in unità nel regno franco.

Ora l'elemento religioso che per sua natura ( e più intensamente poi, attraverso l'unzione fatta dal Papa ), apparteneva al regno franco, ricevette per mezzo di Carlo, un considerevole aumento.

Esso era il frutto storicamente conseguente delle forme preparate dal sistema della Chiesa nazionale franca.

Secondo il modello di questa organizzazione, Carlo aveva impostato anche i suoi rapporti col Papa, come supremo capo della Chiesa.

Come sappiamo meglio a partire da Bonifacio, è il principe colui che guida.

Solo che la problematica insita in questo rapporto Principe-Sacerdote, Stato-Chiesa aveva acquistato tutt'altra portata con la potenza di Carlo, che era vertiginosamente cresciuta e a causa della sua straordinaria personalità.

c) Fu un'ascesa naturale e l'espressione di un reale dinamismo di forze, che fece avanzare il rè franco da « Patricius Romanorum » a Imperatore romano.

E questa elevazione fu, a sua volta, della massima importanza per la Chiesa.

Quando Papa Leone III, nella notte di Natale dell'anno 800 incoronò Carlo, vestito dei tradizionali abiti imperiali, e questi, acclamato Imperatore,165a negli anni successivi, in maniera sempre crescente, ne portò il titolo ( inoltre l'iscrizione del sigillo imperiale « Renovatio imperii Romani » ), tutto questo rappresentò un passo verso il compimento dell'unità esterna della Chiesa, fuori della molteplicità delle Chiese nazionali, territoriali.

3. Ciò che significò per il Papa, in modo concreto e immediato, l'incoronazione dell'Imperatore nel Natale dell'800, risulta dal modo in cui essa fu preparata.

La situazione personale del Papa era precaria.

Dopo essere stato eletto all'unanimità ( 795 ), si era comportato, nei confronti di Carlo, come i suoi predecessori si comportavano verso gli imperatori bizantini e i loro esarchi.

Aveva inviato al grande rè franco non solo i protocolli dell'elezione, ma anche le chiavi per accedere alla tomba di S. Pietro e il vessillo della città di Roma.

Egli datava i suoi decreti ( come nei tempi passati secondo gli anni di governo del sovrano bizantino ) secondo quelli di Carlo.

a) Esisteva però in Roma un forte gruppo di nemici personali del Papa, che miravano ( non escludendo la maniera forte ) alla sua deposizione.

Il Papa aveva bisogno della protezione del Principe dei Franchi.

Nell'anno 799 riuscì a rifugiarsi a Paderborn, presso Carlo, che egli « adorò » secondo una antichissima usanza.

Carlo fece accompagnare il Papa a Roma da Grandi franchi.

Poiché le accuse che gli venivano mosse ( di spergiuro e immoralità ) non si poterono sufficientemente confutare, il Papa si purificò, prestando un giuramento, in seguito al quale Carlo - nel frattempo arrivato a Roma - punì gli oppositori del Papa, come rei di lesa maestà.

Due giorni dopo si ebbe l'incoronazione.

E per quanto Carlo potesse avere ancora una idea poco chiara della dignità imperiale, è certo però che egli si sentì superiore di fronte al Papa, e questo sia nella continuazione dei precedenti diritti sulla Chiesa nazionale, come nell'adozione o nell'imitazione dell'esempio bizantino.

A Papa Leone perciò, dopo l'elevazione di Carlo alla dignità imperiale, rimase veramente solo il posto del Mosè orante.

b) In particolare, è l'interpretazione di questa incoronazione che incontra rilevanti difficoltà.

È difficile presupporre già delle tendenze « papaliste » in quel Papa il cui diretto predecessore, pochissimo tempo prima, aveva corso il pericolo di diventare suddito e vescovo di corte del rè dei Longobardi e che ora poteva rimanere nella propria città solo sotto protezione di Carlo.

Tuttavia, se il Principe dei Franchi era stato elevato alla dignità imperiale, ciò doveva condurre, col tempo, alla liberazione del Papato dalla pressione politico-ecclesiastica della Roma d'Oriente; doveva giungere a compimento la linea iniziata da Stefano, allorché nel 753 aveva abbandonato, a Pavia, i legati romano-orientali e la corte longobarda per recarsi da Pipino e stringere con lui l'alleanza coi Franchi.

D'altra parte, l'accordo dei due poteri e l'incoronazione non significò affatto, naturalmente, che il concetto di imperatore e di impero fosse identico in Papa Leone e Carlo Magno.

La concezione di Carlo mirava alla completa inclusione nella sua sfera di potere imperiale anche dell'ambito ecclesiastico ( esclusa la parte sacramentale ).

Necessariamente perciò il programma del Papa non poteva, in ultima analisi, collimare con quello dell'Imperatore.

Ma questo, altro non significa, se non che l'unione, che si stava operando, fu fin dall'inizio intimamente tesa e contraddittoria.

c) Certo è, in ogni caso, che ora, Natale 800 - come era già successo per l'unzione e l'incoronazione di Pipino da parte del Papa - il supremo potere ecclesiastico elevò legittimandolo, il potere temporale.

Da ciò poteva abbastanza facilmente svilupparsi, da parte romana, l'idea di una « translatto » dell'Impero al sovrano franco.

In effetti, già i Papi della fine del IX secolo « elevano » i « loro » Imperatori, mediante privilegio apostolico.

Ma esiste anche un altro aspetto: è l'esitazione di Carlo di fronte all'incoronazione.

Non è facile da spiegarsi interamente.

Egli infatti già in precedenza era a conoscenza dell'imminente elevazione e l'aveva accettata.

Che cosa, dunque, non gli andava a genio?

In che cosa il Papa e i Romani non accondiscesero ai suoi desideri?

Nel fatto in se stesso? Oppure l'elevazione a imperatore gli sembrava ancora troppo pericolosa, tenuto conto di Bisanzio?

Comunque, dopo la caduta dell'imperatrice Irene, Carlo ambì un riconoscimento da parte di Bisanzio; esso venne nell'812.

Questo significò che Bisanzio, costretta dalla necessità, in pratica rinunciò alla tesi secondo la quale vi poteva essere solo un Impero. I romani orientali, nella loro coscienza di sé, non rinunciarono mai a questa pretesa.

Gli Imperatori d'Occidente rimasero per loro degli usurpatori ( sotto, § 45 ); essi rifiutarono la teoria dei due imperatori.

4. Il fatto che, in particolare, diede l'impronta a tutto lo sviluppo successivo fu il carattere sacrale ( per nulla chiaro ) della dignità imperiale.

Agli imperatori medioevali esso veniva conferito dalla Chiesa con cerimonie e preghiere particolari ( l'imperatore più tardi fungerà da diacono nella messa d'incoronazione; la liturgia dell'incoronazione in molte cose è affine a quella della consacrazione episcopale; l'imperatore dopo l'unzione era incardinato chierico di san Pietro ); da essa gli veniva riconosciuto espressamente ( in maniera diversa e molto difficile da definirsi dal punto di vista giuridico ).166

a) In Carlo Magno l'elemento sacrale, come vedremo più avanti, fu costitutivo della sua idea imperiale.

Gli era già stato ampiamente confermato dalla cristianità e dalla Chiesa.

Nell'indirizzo di omaggio del prete Catulfo dopo la vittoria sui Longobardi nel 775, Carlo era stato formalmente chiamato « Vicario di Dio » che, in sua vece, ha da guidare e da sorvegliare « tutti i mèmbri »; il Papa invece, essendo soltanto Vicario di Cristo, verrebbe al secondo posto.

La medesima coscienza si esprime nei titoli che Carlo preferiva farsi dare dagli ecclesiastici della sua corte: « predicatore », « ufficiale di Dio », « Vicarius Dei », o « David » coi quali viene chiaramente ripreso il motivo del re-sacerdote.

A ciò corrisponde una serie di denominazioni con cui Carlo viene designato sia prima che dopo l'800: « Guida del popolo cristiano », « signore e padre, rè e sacerdote, sovrano di tutti i cristiani ».

Per Alcuino egli è la vera guida della « cìvitas Dei », al quale è affidata la direziono della « Ecclesia universalis » di tutti i cristiani latini e nella cui mano perciò sono messe le « due spade» ( ! ); Smaragdo ( + verso 830 ), un maestro della scuola monastica di Castellion, ed altri, vedono in lui perfino il Vicario di Cristo, e i vescovi del concilio di Magonza nell'813 lo esaltano come « giudice della vera religione ».

Considerato tutto questo, al Papa rimane soltanto la funzione di Metropolita o di Patriarca della Chiesa imperiale franca.

Quelle denominazioni non erano dei vuoti titoli; esse concretizzavano in un nome sia l'effettivo rapporto di Carlo con la Chiesa, sia il suo grandioso programma di governo, il quale, come « Imperium christianum » univa la sfera temporale e quella spirituale come una unità compatta sotto la sua guida.

I paralleli con il Costantino storico divengono ancora più chiari, se pensiamo che Carlo nella sistemazione della sua residenza ad Aquisgrana, anche nel cerimoniale di corte e nel simbolismo di stato, si attenne in larga misura al modello della metropoli bizantina.

Le fonti franche di questi importanti decenni prima della fine del secolo, ci informano persino che per Aquisgrana era previsto, accanto alla cattedrale e al « sacrum palatium » del rè, un terzo edificio col nome significativo di « Luterano » Eginardo, riferendosi al suo impiego, lo chiama esplicitamente « casa del Pontefice » -.

La copia della « nuova-Roma » eseguita da Carlo e dai suoi Franchi tradisce benissimo la tendenza all'imitazione realizzante ( Ullmann ).

Traspare perfino un certo desiderio di « trasferire » la « Roma-antica » ad Aquisgrana quando scrittori franchi celebrano la residenza reale come « ventura » o « secunda Roma ».

Su questo sfondo, ancora del tutto confuso, si colloca l'atto memorabile dell'incoronazione di Carlo Magno.

L'erezione di questo nuovo Impero fu, in sommo grado, un fatto d'importanza universale, basilare per tutto il Medioevo.

La seconda grande potenza dell'Occidente medioevale, accanto e prima del Papato, l'Impero romano cristiano occidentale universale, ora esisteva.

b) Questo nuovo impero tuttavia doveva ora incominciare a realizzare il significato insito nella sua « idea ».

Questa idea, come le circostanze del suo rinnovamento importava già in partenza, come è già stato detto, una unione reciproca così stretta fra Impero e Chiesa che con ciò si erano gettate anche le fondamenta per le tendenze rivalizzanti, molto forti e radicate: l'Imperatore doveva proteggere la Chiesa.

Carlo Magno, « il sublime imperatore incoronato da Dio » era fortemente cosciente di questa straordinaria dignità, come dovere, e, più ancora, come diritto.

Questa concezione trovò la sua espressione più simbolica nel diritto dell'Imperatore a confermare l'elezione del Papa; il Papa eletto, prima della sua incoronazione, doveva prestare giuramento di fedeltà all'Imperatore ( in esso era implicito il diritto imperiale di giurisdizione suprema e di controllo sull'amministrazione pontificia ).

A ciò faceva riscontro da parte del Papa il diritto di incoronare l'Imperatore e di conferirgli pertanto, realmente, la dignità imperiale e con ciò la possibilità di esprimere il suo parere sul merito del candidato alla incoronazione, di conferirgli il supremo potere politico o di rifiutarglielo.

I tentativi degli imperatori di liberare la loro dignità da un vincolo giuridico col Papato ebbero il loro inizio già con Carlo Magno, quando ad Aquisgrana fece imporre la corona a suo figlio senza l'intervento del Papa.

Ma non raggiunsero lo scopo.

L'unione Impero-Papato, sia per la lunga preparazione ( Bonifacio - Pipino - Zaccaria - Stefano ), che per la prima realizzazione nell'anno 800, era troppo forte nel senso di un vero, reciproco radicamento.

In linea con ciò, Lodovico nell'816 si fece incoronare nuovamente dal Papa.

5. Tuttavia ben presto fu chiaro che questo Impero occidentale che riuniva in sé tanti elementi politici ed ecclesiastici, quindi questa unione del Papato e dell'Impero nel senso accennato, costituiva una pesante ipoteca per il suo sviluppo storico, sia in campo ecclesiastico, che politico.

Due potenze con reciproche pretese che erano per buona parte le stesse, dipendenti una dall'altra, senza una precisa formulazione delle rispettive competenze, si trovavano una di fronte all'altra: necessariamente si doveva giungere a delle contese.

Il concetto fondamentale della dignità sacrale dell'Imperatore fu ben presto inteso dalle due parti in maniera essenzialmente diversa: « incoronato da Dio » significava agli occhi dell'Imperatore un ufficio promanante direttamente da Dio; mentre la curia lo intendeva come funzione di difensore della Chiesa, conferita dal Papa e da lui sorvegliata nell'esercizio.

Tuttavia, anche in questa concorrenza si manifestava l'elemento comune che ne costituiva il fondamento.

Il tutto era fondato in un'unità polare di tensione.

L'insieme delle due forze « Imperium » e « Sacerdotium » non era un accostamento artificiale ed estremo.

Era bensì l'espressione di un logico sviluppo all'insegna dell'unità, che le stava alla base, della fede cristiana della Chiesa latina e dei popoli da essa e in essa cristianizzati.

All'insegna di quest'unità si costituì l'Occidente cristiano; il suo vigore proveniva dall'energia vitale di entrambe le componenti e dalla loro collaborazione.

Quando un giorno ( già a partire dal XIII secolo ) questo insieme essenziale verrà seriamente turbato, qualcosa di fondamentale nel Medioevo non sarà più in ordine e non si annuncerà come un temporaneo turbamento funzionale, ma come disordine di base.

Ciò spiega ancora una volta che la divisione minacciante il tutto, non venne affatto per caso, oppure per malintenzione o miopia dei singoli responsabili, sia del potere pontificio o di quello imperiale.

Ci imbattiamo qui, piuttosto, in un punto particolare e basilare, con l'intrinseca tragicità della fusione medievale di ecclesiastico e temporale.

Il fatto che tutti e due i poteri servissero insieme la stessa struttura cristiana occidentale, portò quest'ultima alla unità e all'apogeo.

Ma poiché sin dall'inizio l'elemento comune non fu delimitato con sufficiente chiarezza, anzi forse non lo poté neppure essere, e si fece sempre più confuso mediante usurpazioni e tentativi di espansione da entrambe le parti ( poiché non si riusciva, o non si poteva riuscire a raggiungere una chiara unità di coordinamento nell'ambito dell'unico organismo cristiano ), da ambedue le parti fu turbato il genuino dispiegamento dei due ambiti.

L'unità medievale, che cresce grandiosamente e organicamente, porta in sé, sin dall'inizio, i germi della divisione e della futura lotta fra Imperium e Sacerdotium.

Da parte papale essi vengono sviluppati in quella concezione di Chiesa e Impero che era stata posta, sotto altri aspetti, da Leone I, Gelasio e Isidoro di Siviglia: l'ufficio sacerdotale come superiore, cosicché la pofestas imperiale sarebbe inferiore, anzi sottoposta ad essa.

L'elevazione dell'Imperatore avviene, in questa prospettiva, per volontà ( nutu ) di Dio e delle chiavi « di san Pietro ».

L'ulteriore sviluppo si svolse in armonia con l'atto dell'incoronazione compiuto a Roma nell'800.

Il nuovo Impero non diviene, come l'antico, un'entità autonoma, ma rimane vincolato al Papato.

Molto presto i Papi intenderanno poi l'incoronazione come translatio Imperii e ne dedurranno ulteriori diritti.

6. Ancora un equivoco moderno dev'essere chiarito: potere imperiale nella Chiesa, sovranità sulla gerarchia, intromissione nelle dichiarazioni dogmatiche dei Concili: tutto ciò non ha nulla a che vedere con un'opposizione contro il magistero del supremo Pontefice.

Carlo riconosce senz'altro e ovviamente la preminenza della Chiesa romana nell'ambito dottrinale: questa preminenza, stando ai « libri Carolini » - che danno istruzioni al Papa sulla questione del culto delle immagini - non è fondata su decisioni conciliari, ma su Cristo stesso; soltanto i Padri accettati dalla Chiesa romana sono da considerarsi come filo conduttore, poiché il loro giudizio sarebbe vincolante per tutti i fedeli.

Nel procedimento contro Leone, Alcuino aveva ricordato a Carlo che il Papa non può esser giudicato da alcuno.167

Questa concezione è integrata dall'alta stima dimostrata da Carlo per le tradizioni romane ( introduzione della liturgia romana, del rito battesimale romano; vestiario e condotta di vita degli ecclesiastici romani divennero norma obbligatoria per la Chiesa franca ).

7. Carlo fu un vero cristiano, quanto è stato detto lo conferma; ma anche egli non riuscì a mettere sufficientemente in pratica le concezioni morali del Cristianesimo.

Una forte sensualità e, in particolare, una diabolica crudeltà verso i nemici costituiscono delle macchie oscure nel quadro del suo carattere.

Non va dimenticato, d'altra parte, che egli fu generalmente lodato per la sua mitezza e per il suo senso della giustizia.

E nonostante i suoi difetti egli, senza del quale non sarebbe esistito l'Occidente cristiano, rimane il Grande, « l'esecutore della storia universale » ( Ranke ).

« La sua grandezza consiste nel fatto, che tutta la sua azione fu dominata dall'idea del bene di tutti » ( Hauck ).

Nell'anno 1165 Barbarossa fece solennemente esumare i resti di Carlo; ciò equivaleva, a quei tempi, a una canonizzazione.

L'antipapa Pasquale III ( 1164-68 ) eletto dall'Imperatore, acconsentì all'introduzione di un culto che però più tardi fu ridotto dalla Chiesa alla venerazione puramente locale ( ad Aquisgrana ) di beato e tollerato.

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165 « La nobile schiatta dei Franchi si abbassa ai fetenti Longobardi ».
165a Questo rappresenta un atto ordinario di riconoscimento giuridico.
166 Perfino quando la potenza imperiale era già sparita da tempo, nel tardo Medioevo, Imperatori come Carlo IV ( 1346-1378 ) e Sigismondo, tenevano al diritto di poter leggere in pubblico il Vangelo nella Messa di Natale.
167 Il famoso principio: Papa ( o sedes Romana ) a nomine iudicatur.