La storia della Chiesa

Indice

§ 43. La pietà nel primo medioevo

1. Già dai primi tempi della Chiesa, poi in misura sempre crescente nel periodo del primo Medioevo, abbiamo potuto costatare come l'organizzazione ecclesiastica fosse un fattore decisivo di ogni evangelizzazione.

Essa soltanto garantiva alla cura pastorale durata e regolarità.

Ciononostante, stando al Vangelo, anche per i vari tentativi di cristianizzazione precedentemente delineati, così dispersi nello spazio e nel tempo e inseriti in condizioni ambientali di culture tanto diverse, si pone l'interrogativo decisivo: a che profondità il Cristianesimo penetrò, come fede e morale, in questi popoli?

È noto, che nella missione tra i Danesi, spesso fu conferito il battesimo dietro semplice richiesta; che molto spesso ci si faceva battezzare non per amore di Cristo, ma per vantaggi terreni ( per esempio per ricevere la promessa veste battesimale ).

Parlando in generale, è quasi sicuro che nell'opera di evangelizzazione condotta nel primo Medioevo, solo in maniera relativa si può parlare di un vero intimo rinnovamento cristiano dei popoli germanici e slavi.

Ciò risulta sia dalle relazioni di san Bonifacio. sia da quanto siamo venuti dicendo.

Sullo stato della cristianizzazione fra i Germani del Nord, per questo tempo ci forniscono alcuni dati le saghe islandesi.

Il sistema del duello vendicativo (holmgang) che prendeva molto alla leggera l'omicidio, un concetto assai massiccio dell'onore, che valorizzava soprattutto la forza fisica e il coraggio, rimasero in uso anche dopo la conversione e dopo che le prescrizioni dell'holmgang erano state eliminate.

Assassinio e omicidio sembrano le cose più comuni del mondo.197

Il riscatto in denaro, per gravi trasgressioni ( compreso l'omicidio ) ha un ruolo importante.198

Il nuovo modo di pensare e di sentire essenziale per un autentico Cristianesimo è difficile da costatare, eccetto che nel fatto, per esempio, di temere l'ira dell'arcangelo Michele se si svolgono lavori campestri nel giorno della sua festa ( anche questo può però essere combinato con l'estorsione e la vendetta di sangue ).

Un istinto quasi indomabile per la vendetta anche rompendo la parola data si afferma sempre di nuovo.

Tutto sommato, il Cristianesimo crebbe molto lentamente in profondità.

Nonostante le eccezioni esistenti, si può dedurre, come regola generale, dal decorso storico, che il messaggio cristiano prende piede e si libera dalle tradizionali concezioni pagano-superstiziose tanto più difficilmente quanto più lontano si trova dai territori della civiltà antica e dalla antica ecclesialità in essi radicata e quanto meno esso fu fecondato dalle sue irradiazioni.

( Non vanno dimenticati naturalmente neppure gli svantaggi che anche quella civiltà racchiudeva in sé per il Cristianesimo ).

Lo storico della Chiesa si trova anche qui dinanzi al problema decisivo: sopravvivenza della superstizione germanica e slava o suo superamento attraverso il messaggio di fede del Cristianesimo?

La problematica qui insita o, meglio, la sua insufficiente soluzione gravano in molteplici forme sulla pietà popolare di tutto il Medioevo.

2. Non sono però solo manifestazioni tra i Germani e gli Slavi che pongono tali problemi a chi si pone a considerare la storia della Chiesa.

Anche i disordini che caratterizzano il « saeculum obscurum » nelle Chiese cristiane d'antica data, specialmente a Roma, spingono direttamente a simili considerazioni.

A quale profondità poteva essere penetrato l'annuncio cristiano, se condizioni di tal genere furono possibili, per lungo tempo e pubblicamente, nel supremo sacerdozio?

Se non si vuole lasciare la risposta in balìa all'arbitrio soggettivo, sarà necessario chiedersi quali siano le caratteristiche della pietà cristiana.

Per il Medioevo si possono riconoscere tre centri d'interesse: i pellegrinaggi, la messa e la penitenza.

a) Non è così, come generalmente si crede, che il Vangelo conosca soltanto una spiritualità purissima, elevatissima, per esempio le beatitudini del discorso della montagna.

Il Vangelo lascia intravedere diversi livelli di pietà.

Cristo predicò la migliore giustizia interiore.

Ma non limitò affatto questa interiorizzazione ad una pura spiritualità.

Quando l'emorroissa toccandogli la veste volle rubargli una forza non si trattò altro che di un atto di pietà primitivo e superstizioso.

Ma fu il Signore stesso a riconoscerlo come un atto di fede ( Mt 9,20ss ).

Questo gradino non doveva, naturalmente, rappresentare il traguardo; alla gerarchia era imposto continuamente il compito di forzare questa cristallizzazione, mediante una crescita interiorizzante.

Rimane un interrogativo centrale, vale a dire fino a che punto è stato assolto sufficientemente questo compito nei confronti dei diversi popoli e dei diversi tempi.

b) Lo sviluppo durante i primi secoli della storia della Chiesa, dimostra chiaramente che in una esagerata spiritualizzazione ( cioè in una interiorità presumibilmente pura, unilaterale ) si era riconosciuto un pericolo per la purezza della predicazione.

La lotta della Chiesa contro la gnosi, il tener ferma la dottrina della vera incarnazione di Dio unitamente a quella delle due nature ( quindi anche della piena natura umana di Cristo ), la santità del credente, come vaso dello Spirito Santo, come si esprimeva soprattutto nella concezione del martirio del sangue, il riconoscimento dell'ufficio e dei suoi detentori e la dottrina della forza oggettiva dei sacramenti, tutto richiama quella direzione.

Con la celebrazione della Cena eucaristica sulle tombe dei martiri veniva stabilita una specie di unione sacrale fra l'unico Sacrificio e sacrificante Gesù Cristo e le reliquie dei confessori.

Spontaneamente un po' del culto si estese anche al luogo dove esse giacevano, e specialmente a quei luoghi dove veniva celebrato il sacrificio eucaristico.

Perciò - continuando un'antica tradizione - le chiese, anche fuori delle solennità di culto, divennero dei luoghi sacri e venerandi.

Qui s'intersecano molte concezioni e la letteratura cristiana per lungo tempo non è stata in grado di fornirne una precisazione teologica chiara e netta.

Se si cerca, molto in generale, di riconoscere la direzione nella quale si è sviluppata la pietà a partire dall'Antichità, si potrà dire che l'interiorità neotestamentaria, fedelmente conservata, si va cercando una forma più concreta e palpabile di estrinsecazione.

Le tendenze a concezioni monofisitiche, sia palesi che nascoste, rappresentano invero una importantissima controcorrente, ma non sono in grado ne di confondere, ne di arrestare la tendenza principale.

Il problema acquista un'importanza molto più rilevante nel momento in cui il Cristianesimo diventa libero e grandi masse affluiscono alla Chiesa, e aumenta ancora una volta d'importanza quando si giunge alle conversioni collettive dei Germani.

3. Nel primo Medioevo germanico, questi problemi concernenti la formazione della pietà non furono ancora avvertiti come centrali.

Ma quasi tutte le difficoltà che si manifestarono poi, ebbero già qui il loro fondamento.

Giuoca un ruolo decisivo, nel tempo successivo, l'unione dei luoghi e delle immagini di culto con la venerazione delle reliquie, e queste a loro volta nel contesto dei pellegrinaggi.

Per una interpretazione teologico-cristiana, va rilevata la differenza tra il pellegrinaggio cristiano-antico, la « peregrinatio » greco-slava e russa, e la peregrinazione ascetica dei monaci iro-scozzesi, come predicatori.

Il pellegrinaggio nell'Occidente, che ha sommerso il Medioevo con vere correnti di fede, proviene, nonostante tutto, da un complesso di concezioni primitive, che nascondeva tentazioni pericolose, specialmente per i popoli germanici meno civili.

L'uomo moderno « infetto di razionalismo », soggiace con troppa facilità alla tentazione di scorgere nei fenomeni in discussione: pellegrinaggi, luoghi di pellegrinaggio, venerazione dei santi, delle statue e immagini o dei reliquiari e delle reliquie, solo esteriorità e di rifiutarle semplicemente, come non conformi al Vangelo.

Di fronte al passo citato da Matteo 9,20ss e agli accenni a certe forme di pietà della Chiesa antica, questa è una esagerazione poco oggettiva.

In realtà, da quando Dio si è fatto uomo nel tempo e in un determinato luogo, non è più inammissibile credere che Dio voglia santificare un luogo piuttosto che un altro.

D'altro canto però, non si può negare che, nell'ansia di raggiungere la beatitudine in un determinato luogo, presso una determinata reliquia o statua, potrebbe celarsi un pericolo per la fede, che è la sola che da la salvezza; e che spesso la salvezza fu effettivamente vista e cercata in una maniera troppo concreta.

Se non si vuole giudicare in modo farisaico, si dovrà sempre rilevare quanto costasse a quei pellegrini la loro devozione.

C'è da arrossire dinanzi alle loro imprese, che pur sono estrinsecazioni del fervore religioso.

Ma poi c'è qualcos'altro da osservare.

I molti ammonimenti che son giunti sino a noi e che riguardano i pericoli morali del pellegrinare, anche nel primo Medioevo, sembra che alludano già al piacere d'avventura ( motivo frequente nei « pellegrini » ); non si può purtroppo negare che le forme di pietà grossolanamente abusive che troveremo nel Medioevo, si siano sviluppate organicamente dai pellegrinaggi del primo e dell'alto Medioevo, che non escludevano tra l'altro, l'unione con l'utile economico e col denaro.

I cluniacensi, per esempio, assumevano l'amministrazione dei beni dei pellegrini ( e qui il vantaggio era da tutte e due le parti ) o ricevevano laute offerte per ottenere, con l'orazione, un felice ritorno a casa; essi costruirono dei grandi ospizi nei luoghi di pellegrinaggio i quali - nonostante fossero ispirati dalla carità cristiana per il prossimo - rappresentavano spesso anche un « buon affare ».

Casi simili si potrebbero documentare a centinaia.

4. Una forma fondamentale di pietà medioevale è il culto di « sacre » immagini.

In certo modo esso fa già parte delle forme sopra menzionate.

Le opinioni sul suo valore mutarono nel corso dei secoli.

Visto nel suo insieme, il problema fu sentito in Oriente in maniera diversa che in Occidente; anche qui invero c'imbattiamo in qualche posizione critica ( § 40,II,4d ) che non ha mai assunto le proporzioni di una questione scottante; il culto delle immagini si impose semplicemente, e come una corrente molto ampia della pietà.

In Oriente invece si lottò violentemente per ottenere la liceità.

a) Per quanto riguarda il vero oggetto del dissidio vanno distinte due cose:

1) se sia permesso rappresentare in immagine persone sante, specialmente il Signore stesso ( la rappresentazione del Padre non è oggetto di discussione );

2) se tali immagini possano essere venerate.

In Oriente esisteva il culto delle immagini sin dal IV secolo, nonostante il vescovo Epifanie di Salamina ( fine del IV secolo ) l'avesse espressamente rifiutato; dai tre dotti Cappadoci ( Gregorio Nazianzeno, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa ) esso fu giustificato.

Fu data al tempo stesso quella interpretazione decisiva dell'uso di immagini sacre che, poco dopo, troveremo in Occidente in Gregorio I e che fu data per tutto il Medioevo fino a Tommaso d'Aquino e poi nuovamente dal Tridentino: la pia immagine è un mezzo per istruire sul significato dell'annuncio di salvezza coloro che non sanno leggere; esse raccontano loro la storia sacra, rafforzano il ricordo, elevano la pietà ( per esempio nella forma diffusa della cosiddetta Bibbia dei poveri ).

Da tutto ciò è nettamente da distinguere l'« adoratio » delle immagini.

b) Però in Oriente, dall'inizio del VI secolo, il valore della immagine sacra detta « icona » fu concepito anche in modo più reale, cioè come immagine staccata dal suo modello, nella quale dunque è presente qualcosa dell'originale sacro o addirittura divino.

La concezione base non corrisponde soltanto a un'espressione platonico-neoplatonica, bensì anche ad un modo di pensare sacramentale, e più specificamente liturgico, quale l'Occidente non è riuscito a raggiungere, anche se, a questo proposito, va ricordata l'enorme importanza del pensare medievale in simboli.199

Il grande ruolo che detengono le immagini dei santi nel culto greco-ortodosso ( iconostasi, parete divisoria tra il coro e lo spazio destinato al popolo )200 illustra questa concezione più concreta.

Nella lotta per le immagini delI'VIII e IX secolo, lo stesso interesse giunge ad una rappresentazione pregnante dal punto di vista di storia della Chiesa.

c) Questa disputa per la venerazione delle immagini durò, con alcune interruzioni, più di un secolo.

L'aveva accesa un divieto, emanato dall'imperatore Leone III nel 730, di venerare le immagini.

Fu un fatto che nell'impero bizantino turbò profondamente anche le più umili classi del popolo e che ci pone dinanzi a degli enigmi storicamente quasi irrisolvibili.

Alcune delle forze iconoclaste contribuenti in maggiore o minor grado, le possiamo ben riconoscere: l'Islam; i Giudei molto influenti nelle province asiatiche; tendenze cesaropapiste dell'Imperatore che, nel contesto di un vasto disegno politico, si diressero contro l'influsso del monachesimo sulla Chiesa, sullo Stato e sulla cultura; infine una « certa tendenza monofisita » ( von Campenhausen ).

La lotta non si limitò affatto al campo esclusivamente teologico o religioso.

In essa si inserì l'atteggiamento politico e politico-ecclesiastico antiromano dell'Imperatore.

Le misure fiscali adottate contro i possedimenti pontifici nell'Italia meridionale e in Sicilia che equivalsero a vere confische ( 721-732 ), l'incorporazione del Sud-Italia e dell'Illiria nel patriarcato di Costantinopoli dovettero indurre i Papi a cedere nella contesa delle immagini.

Difensori delle iconi, e di conseguenza vittime della contesa, furono i monaci.

Il culto delle immagini fu difeso da Giovanni Damasceno ( + intorno al 754 ) e dal secondo Niceno nel 787.

Questo concilio del resto si è espresso in maniera molto sobria ( come più tardi in modo ancora più riservato e chiaro il Tridentino ) sulle immagini di Gesù, di Maria e degli angeli: « Quanto più spesso vengono considerate, muovono colui che contempla alla meditazione e alla venerazione; non è però permessa una vera adorazione ( latria ), la quale conviene soltanto alla natura divina ».

« L'onore dell'Immagine infatti è diretto a chi vi è rappresentato e chi venera un'immagine, venera in realtà implicitamente colui che vi è figurato ».

d) La decisione del secondo Niceno nel 787 in favore del culto delle immagini aveva composto la contesa solo in senso fondamentale dogmatico; in realtà passarono ancora dei decenni prima che tutto si acquietasse.

Infine la vittoria dei sostenitori delle immagini fu completa.

Purtroppo il lungo diverbio ha favorito molto l'allontanamento fra Oriente e Occidente, anche fra la Nuova-Roma e il suo Patriarca da una parte e la Vecchia-Roma e il suo Papa dall'altra ( anche l'opposizione di Carlo Magno, gioca in questa situazione ).

È vero che allora non si giunse ancora alla scissione definitiva, ma essa era già preparata in maniera così radicale che i torbidi foziani del secolo successivo trovarono il terreno pronto e, attraverso di essi, il futuro realizzarsi della separazione - per quanto sia un fatto impressionante - appare solo come una logica conseguenza storica.

5. In ogni tempo la santa Messa ha costituito il centro del culto cattolico; ma la sua essenza e il suo valore non sono stati sempre riconosciuti così chiaramente come oggi.

a) Nel primo Medioevo, come già abbiamo accennato, non veniva celebrata quotidianamente; la cristianizzazione della vita feriale cominciò solo più tardi.

Nel tardo Medioevo e nell'Età Moderna un'eccessiva moltiplicazione di Messe ebbe conseguenze ancora più funeste.

È importante il fatto che proprio la devozione alla Messa dimostra una forte ( e pericolosa ) dipendenza dal culto delle reliquie e dei Santi.

La presenza di Dio nei suoi Santi operatori di miracoli entrò in una certa concorrenza con la presenza di Cristo nella Messa.

All'immediatezza dell'intervento divino nel culto dei Santi si contrapponeva l'ascondimento sacramentale di Cristo sotto le specie del pane e del vino.

I Santi e le loro reliquie divennero i soccorritori nelle necessità e nei bisogni della vita, mentre l'efficacia invisibile della Messa viene rapportata all'aldilà pure invisibile; questo, naturalmente, tradisce un modo di vedere molto materiale.

Il pensiero della salvezza della propria anima e della salvezza degli appartenenti alla stessa stirpe, rimane per secoli il motivo dominante della devozione della Messa.

L'introduzione della solennità di Ognissanti e la sua diffusione, per opera del monachesimo cluniacense, riprendono questo pensiero e gli conferiscono una straordinaria popolarità.

Il suggestivo pensiero della morte rende la Messa un mezzo ardentemente desiderato e diviene motivo di fondazione di numerosi monasteri e chiese.

Anche la sepoltura nelle chiese e nelle immediate vicinanze, risulta dallo stesso insieme di motivi: si vuole aver parte ai suffragi delle Messe che vengono qui celebrate dopo la propria morte.

A questo riguardo si giunse spesso ad aspre tensioni tra clero secolare e monachesimo al quale il popolo preferiva confidare le sue preoccupazioni per l'aldilà.

b) Il clero, naturalmente, non si accontenta di questa stima popolare per la Messa.

Soprattutto la tarda età carolingia fa il tentativo di elaborare, servendosi di illustrazioni allegoriche, la relazione tra la Passione di Cristo e la Messa.

Questo procedimento però, estremamente pericoloso nel suo simbolismo artificiale, non serve tuttavia allo scopo: testi e cerimonie della messa vengono « compresi » solo insufficientemente.

Ne ritualizzazioni ne mistificazioni vengono evitate.

Per l'evoluzione futura è di importanza fondamentale il fatto che non si riuscì a comprendere completamente l'Eucarestia nella sua sacramentalità e a dischiuderla alla comprensione generale.

Si giunse invece a concentrare l'interesse sul problema all'efficacia della Messa ( il quale trova una soluzione per molti aspetti problematica ) e sulla presenza reale di Cristo, la cui sovraccentuazione oscurò l'unità indissolubile tra sacrificio e Sacramento dell'Altare.

c) Nell'intento di voler definire più esattamente la presenza reale, si contrapponevano due concezioni, le quali, originariamente, risalgono all'antichità cristiana.

Infatti, già Ambrogio e Agostino avevano intrapreso dei tentativi di soluzione tipicamente differenti, anche se non contraddittori.

Mentre il grande vescovo di Milano prendeva più in considerazione il risultato della consacrazione, il vescovo di Ippona, nel senso di Gv 6,48ss, metteva maggiormente in rilievo il carattere religioso-dinamico del processo di trasformazione e del modo di esistere sacramentale di Cristo.

Nella semplificazione medievale lo stesso problema, già verso la metà del IX secolo, portò a una controversia tra i monaci Pascasio Radberto ( + intorno all'856 ) e Ratrammo di Gorbia ( + 868 ).

Se il primo, seguendo la linea di sant'Ambrogio, giunse all'identificazione del Cristo eucaristico con quello storico, il secondo invece mise talmente in evidenza il carattere simbolico-spirituale del modo d'esser sacramentale, che la realtà della transustanziazione sembrò essere negata.

La controversia ebbe la sua continuazione nell'XI secolo tra Lanfranco di Bec e Berengario di Tours ( + 1088 ) che negava la presenza reale di Cristo nel Sacramento.

In questa occasione però, si rese anche evidente che anche la corrente realistica non era del tutto priva di pericolose unilateralità.

Il suo pericolo consisteva nel concetto di realtà grossolanamente materiale che si esprime nella formula di professione presentata a Berengario nel 1059 dal cardinale Umberto.201

Da questa controversia iniziò l'elevazione dell'ostia e del calice dopo la Consacrazione.

A ciò parallela sorse l'adorazione del Sacramento dell'altare; l'inginocchiarsi alla consacrazione e alla comunione prese il posto dello stare in piedi in uso sin dai tempi del cristianesimo primitivo.

Nella liturgia della Messa andava sempre più affermandosi il rito romano, le particolarità nazionali scomparvero a poco a poco.

d) Una forma più intensa di culto eucaristico sorse soltanto nel XIII secolo ( § 67 ).

Ma ciò non significa che la pietà medievale ( nonostante Francesco e Tommaso d'Aquino ) fosse diventata, in senso autentico, veramente sacramentale.

Il tardo Medioevo e poi la Riforma ci ripresenteranno, con deprimente insistenza, questo fatto.

6. a) La pietà medievale è decisamente caratterizzata, infine, dalla realtà penitenziale.

Essa è strettamente connessa al pellegrinaggio e alla Messa.

Merita attenzione, in modo speciale, perché fu proprio la giovane cristianità celto-germanica che le fece subire la sua trasformazione specificamente medioevale.

Come abbiamo già accennato, erano stati gli iro-scozzesi, seguiti dagli anglosassoni, ad adattare arditamente l'istituzione della penitenza della Chiesa primitiva alle esigenze del nuovo campo di missione.

Questo adattamento fu inevitabile perché la penitenza canonica di vecchio stile, con la soverchia accentuazione degli imperativi posti alla vita dei cristiani era divenuta pressoché impossibile.

Era neccessario soprattutto abbandonare l'antico principio della « poenitentia una », cioè della irrepetibilità della penitenza una volta concessa, come pure delle profonde conseguenze dell'ingresso nella condizione di pubblico penitente.

L'antica penitenza ecclesiastica si era avvicinata « all'utopica meta » ( Poschmann ) di costituire una specie di rinuncia al mondo, di tipo monastico: il penitente si obbligava - anche passato il vero e proprio periodo della penitenza - a rinunciare alle relazioni matrimoniali ( o all'unione matrimoniale ) e a rivestire cariche pubbliche ( ufficiale, giudice ecc. ).

b) La struttura canonica, così circoscritta, dell'antica penitenza, venne decisamente mutata con la pratica dei libri penitenziali ( dalI'VIII secolo nel continente in seguito a precedenti sviluppi celtico-insulari ).

La scomparsa della penitenza unica e delle sue conseguenze per tutta la vita, portò all'abolizione del carattere pubblico dello stato di penitente; l'ingresso in quest'ultimo non fu più sinonimo di scomunica e la riconciliazione finale assunse un altro significato.

In avvenire i cristiani ogni qual volta avessero peccato, avrebbero confessato la loro mancanza al sacerdote o al vescovo, avrebbero accettato la penitenza loro giuridicamente imposta, assolta la quale, dopo un atto di riconciliazione segreta, sarebbe stato loro permesso di partecipare all'Eucaristia.

Se la penitenza avesse dovuto prolungarsi per un periodo piuttosto lungo, la riconciliazione sarebbe avvenuta ancor prima che quella fosse conclusa.

Penitenza pubblica e privata continuarono a sussistere una accanto all'altra, quella privata però andò sempre più prendendo il sopravvento.

c) Questo mutamento fece sì che ora passasse in primo piano la confessione.

Se in passato essa comportava solo la confessione dei peccati prima di essere accolti nello stato fondamentalmente pubblico di penitenti, la confessio dalI'VIII secolo in poi passa a significare la penitenza ecclesiastica in genere.

L'evoluzione portò anche a un progressivo dileguarsi della distinzione fra « confessio » e « reconciliatio », che in principio si manteneva ancora, finché a partire da circa l'anno 1000 confessione e assoluzione furono ridotte ad un unico atto.

Riguardo alla necessità della penitenza, ci sì attenne all'antico principio che obbligava a confessare ogni « peccato mortale ».

Molto presto però la Chiesa rese obbligatoria la confessione, a intervalli regolari, per tutti i cristiani.

( Crodegango di Metz, nel territorio della sua diretta giurisdizione, la esigeva due volte l'anno, in diverse parti della Gallia, intorno al 900 si parla di un triplice obbligo della confessione ).

Lo sviluppo ha la sua conclusione con le disposizioni del IV Concilio Lateranense ( 1215 ) che prescrive per tutta la Chiesa la confessione annuale.

Una prova del sorgere della confessione più frequente sono anche i confessori dei prìncipi che compaiono nelI'VIII secolo.

d) Si è definito l'aspetto della penitenza come era descritta nei libri penitenziali « penitenza a tariffa ».

Di fatto l'oggetto principale della nuova pratica consisteva nel raggiungere, con la misura punitiva, un massimo di corrispondenza tra peccato e penitenza, e in questo intento si cercava di tener conto anche delle minime particolarità.

I pericoli di una tale concezione della penitenza appaiono evidenti: il peccato fu cosalizzato e perdette in serietà per quanto lo si trattasse con tanta esattezza, prescrivendo opere di penitenza in genere molto dure; la moralità finì nei binari di una casistica che col suo legalismo minacciava seriamente lo sviluppo dell'interiorità e della vita di grazia.

Infine subentrò uno spostamento di coscienza per il quale la penitenza venne ad identificarsi con la riparazione e la soddisfazione, cosa che doveva avere come conseguenza un notevole oscuramento della remissione sacramentale, concessa per grazia.

Tutti questi pericoli divennero acuti per il fatto che molto presto l'elemento quantitativo tariffario incominciò a crescere rigogliosamente.

Nonostante un relativo alleggerimento, le imposizioni penitenziali ( cioè il digiuno, la preghiera, l'elemosina, scomunica temporanea o a vita, divieto di portare armi, penitenze corporali ecc. ) si fecero così pesanti, da poter crescere fino a diventare insopportabili.

Talora si credeva bene di poter assolvere a una penitenza prolungata, sostituendola con opere penitenziali più rigorose, ma più corte.

L'autonomia del principio quantitativo favorì lo svilupparsi di cavillosi sistemi di « redenzioni » i cui giochi con i numeri semplicemente spaventano.

Ancora più grave fu il fatto che col tempo si passò a sostituire e rispettivamente abbreviare l'attuazione personale della penitenza con l'opera di terzi, facendo celebrare Messe o pagando in denaro.

Secondo l'ordine penitenziale del rè Edgar d'Inghilterra ( 959-75 ) un magnate poteva ridurre una penitenza di sette anni a tre giorni, se per lui digiunavano per tre giorni dapprima 12 uomini e poi ancora 120 uomini tre giorni per sette volte. 202

Le reazioni contro i libri penitenziali dell'era carolingia erano perciò giustificate, ma soltanto sotto Gregorio VII si riuscì ad abolirli.

La loro eliminazione, purtroppo, non fu in grado di cancellare i loro princìpi che continuarono in molteplici forme a vivere nella pratica della confessione.

7. Nel primo millennio furono ottimamente elaborati i primi elementi di una dottrina dei sacramenti mediante definizioni riguardanti sacramenti singoli: Battesimo ed Eucaristia.

Ad una dottrina precisa però si contrapponeva il contenuto del termine « sacramentum », impreciso e comprendente tutti i misteri di fede cristiani.

La precisazione a « segno efficace della grazia » si ebbe soltanto nella prima Scolastica, dapprima per opera di Ugo di S. Vittore ( + 1141 ) e Pietro Lombardo ( + verso il 1160 ).

Fino allora, di conseguenza, non si parlava neppure soltanto di sette, ma di molti sacramenti ( come per esempio la consacrazione dei religiosi o la lavanda dei piedi ).

L'evoluzione fino al numero di sette si impose anche in Oriente ( specialmente da Lione, 1245 ) anche presso i nestoriani e monofisiti.203

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197 Con particolare chiarezza ciò si manifesta nella « Saga di Njais », dove accanto al Cristianesimo stanno la vendetta del sangue, l'azione incendiaria e il suicidio senza che sia avvertito alcun contrasto ( Manda, XI secolo ).
198 Questa riflessione deve tener conto naturalmente che l'oro a quel tempo rappresentava qualcosa di diverso, « di più genuino » che nella successiva economia finanziaria.
199 Cfr. le visioni di sant'Ildegarda ( § 50,V ).
Il primo esempio di questo genere ci viene già dal primo cristianesimo: l'interpretazione cristologica del serpente di bronzo eretto da Mosè.
Come simbolo del Signore crocifisso, non era una contraddizione al primo comandamento.
200 Riscontrabile per la prima volta per la Hagia Sophia nel 563.
201 « Il vero corpo del Signore viene toccato sensibilmente dalle mani del sacerdote, spezzato e frantumato ( atteri ) dai denti dei fedeli, non solo sacramentalmente, bensì realmente ».
202 Le « redenzioni » erano care specialmente agli anglosassoni.
Troviamo degli esempi in Beda ( + 736 ) e nei libri penitenziali attribuiti in passato esclusivamente a sant'Egberto di York ( + 766 ).
Quest'ultimo dice per esempio: un giorno di digiuno a pane e acqua è sostituito da 50 salmi recitati in ginocchio o 70 in piedi, oppure da 200 genuflessioni, un denaro e tre elemosine ai poveri, o da 50 colpi di verga durante l'inverno, 100 in autunno e primavera, 150 in estate.
203 Per l'Oriente però resta sempre di straordinaria importanza la fede nella croce dispensatrice di vita.