La storia della Chiesa

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§ 91. Il papato della controriforma

Le chiese cattoliche nazionali

Il duplice titolo di questo paragrafo non designa soltanto dei dati di fatto storici che solo casualmente coesistono e pertanto vanno insieme presentati; i due fattori sono fatalmente connessi; nonostante forti, anzi fortissime tensioni, la loro interdipendenza è di vitale necessità.

I. L'attività dei Papi

1. a) La riforma cattolica, con la creazione di nuovi valori cattolici o con l'attivazione di altri antichi, aveva contemporaneamente rinvigorito anche la coscienza cattolico-ecclesiale.

Quando questa entrava in collisione con le forze o gli istituti della Riforma si aveva quasi naturalmente un atteggiamento controriformistico.

Quando poi tale atteggiamento veniva intenzionalmente attuato e quindi prendeva forma in misure particolari, ci troviamo di fronte all'ampliarsi della riforma cattolica interna in vera e propria Controriforma.

Come stadio preliminare di questo mutamento può valere tutto il complesso dell'opposizione politica all'innovazione come anche gli inizi di alleanze politico-cattoliche, che più tardi divennero un fattore decisivo della Controriforma.

All'interno della sfera ecclesiastico-religiosa questo passaggio cosciente è caratterizzato dall'istituzione dell'Inquisizione romana nel 1542.

Fondatore ne fu il napoletano Carata, in cui aveva trovato forte eco il fanatismo dell'Inquisizione spagnola.

Ignazio, spagnolo, vi collaborò.

Questa Inquisizione era il mezzo per stroncare eventuali tentativi di eresia in Italia e anche in Spagna.

Purtroppo, questa fu un'istituzione terribile.

Per fortuna le implicazioni dei papi con il funzionamento di questo tribunale furono di diversa entità.

L'Inquisizione entrò vigorosamente in azione quando il suo fondatore, ormai settantanovenne e animato da un rigido fanatismo, salì al soglio papale con il nome di Paolo IV ( 1555-59 ), succedendo a Marcello II, già card. Cervini, ch'era stato legato nel primo periodo del Tridentino, umanista di raffinata cultura, la cui elezione aveva provocato un sospiro di sollievo e che Dio chiamò a sé appena dopo 22 giorni di pontificato.

Il nuovo papa era la durezza in persona.

In opposizione alle istanze di Seripando, l'Inquisizione - come afferma lo stesso cardinale - usò brutalmente una disumana violenza, nello spirito del suo fondatore del quale si ricordano queste spaventose parole: « Qualora mio figlio stesso fosse eretico, raccoglierei io stesso la legna per farlo bruciare ».

A proposito del processo contro il cardinale Morone, che fu ingiustamente tenuto prigioniero per due anni e che, dopo la morte di Paolo IV, brillantemente riabilitato, riacquistò la libertà, egli pensava che « una vera e propria procedura penale non è necessaria; il papa sa come stanno le cose, egli è il vero giudice che può senz'altro pronunciare la sentenza ».

b) Questo papa ebbe una smisurata coscienza del pontificato; come Innocenze III nel XIII secolo, anch'egli rivendicò a sé la pienezza del potere, anche sulle potenze politiche, in pieno secolo XVI, e quando già, nell'impero, i protestanti si erano affermati contro l'imperatore e i suoi alleati.

Pressoché inverosimile suona la bolla del 1559, firmata anche da 31 cardinali, contenente la dichiarazione assoluta che il papa « detiene la pienezza del potere su popoli e imperi e giudica tutti », una bolla che rinnovava tutte le precedenti sanzioni contro gli eretici; essa fissava per tutti gli apostati il decadimento da cariche, onori, potere, corona, facendoli passare al primo occupante cattolico.

In formulazioni esorbitanti veniva escluso dalla dignità pontificia un eventuale Pontifex Romanus che avesse rinnegato la fede e che non fosse ancora stato promotus.

La sua contrarietà nei confronti del concilio scaturiva da questo spirito ierocratico, nutrito assai largamente anche di diffidenza.

La medesima diffidenza, questa volta nei confronti degli Ordini, per esempio i gesuiti, intralciò notevolmente la strada alle nuove forze in via di formazione nella Chiesa.

Ma furono i calcoli politici che resero cieco questo papa - del resto così zelante per la purezza della fede - nei confronti del pericolo nel quale la sua alleanza con la Francia, principale appoggio dei protestanti tedeschi e alleata dei turchi, doveva trascinare il cattolicesimo.

Anche qui fu la diffidenza a guidarlo: Ferdinando, il successore di Carlo V, aveva assunto la corona imperiale senza l'intervento del legato pontificio.

Nei suoi nipoti, invece, il papa nutriva fiducia, lasciando, senza saperlo, che si dessero all'ignobile mestiere di ricattatori.

Due di loro furono creati cardinali, un terzo fu ricolmato di beni ecclesiastici.

Spinto dal nipote Carlo, uomo scostumato, senza coscienza e macchiato di sangue ( in parte indotto anche dal suo patriottismo napoletano, rischiò una guerra contro la Spagna, la principale potenza cattolica, il che suscitò il pericolo di un nuovo sacco di Roma ( questa volta fu il duca d'Alba che si spinse fin sotto le mura di Roma ).

Delle malefatte dei suoi due nipoti egli si accorse con estremo accoramento soltanto alla fine del suo pontificato.

Pio IV in seguito sistemò ogni cosa ( cap. 2 ).

c) D'altra parte Paolo IV fu un vero riformatore; procedette energicamente e fece avanzare la causa della riforma, per la quale fino allora al concilio era stato fatto effettivamente poco; intervenne energicamente contro molti abusi, soprattutto contro la simonia; tentò di obbligare i vescovi alla residenza e di vincolare ai loro monasteri i monaci « girovaghi » ( una delle piaghe più antiche, già dei tempi anteriori a san Benedetto ).

d) Anche in questo caso si può costatare come, agli effetti storici, in ultima analisi a decidere non siano le forze della sfera privata, religioso-morale, ma la struttura feconda e creatrice, oppure il suo venir meno.

Paolo IV non mancò di buoni intendimenti, ma la sua reazione unilaterale non era fatta per raggiungere lo scopo.

Il suo esagerato fanatismo nel sospettare e annientare, la sopravvalutazione delle possibilità di salvaguardare la purezza della fede usando la maniera forte, la competenza pressoché indiscriminata concessa all'Inquisizione ( essa perseguiva anche sacrilegio, immoralità e simonia; anche denunce infondate o il semplice sospetto bastavano ad avviare un processo ) e la sfiducia nel concilio generale, praticamente resero sterili i grandi desideri di riforma di questo papa.136

Egli dette prova di ignorare le più elementari ed operanti fra le leggi sociologiche e certo non ebbe fiducia nella gran legge dell'amore.

In definitiva egli ha ostacolato, in modo decisivo, la Controriforma alla quale pure tanto energicamente tendeva.

2. a) La stessa legge di necessità storica ( secondo la quale l'elemento determinante non è la volontà personale, bensì la giusta disposizione delle strutture e l'impiego adeguato delle forze oggettive rappresentate dalla società ) fu confermata in senso inverso dal pontificato del papa successivo, Pio IV Medici137 ( 1559-65 ).

Differenziandosi dallo zelo religioso del suo predecessore, egli era personalmente più incline al mondo.

Ma, accettando il dato delle realtà politiche ed ecclesiastico-politiche, impiegando le forze a disposizione ed eliminando quelle palesemente nocive, egli raggiunse non solo obiettivi d'importanza, ma addirittura la sua azione divenne decisiva, senza tuttavia essere distruttiva.

Ricominciò una politica filo-imperiale, convocò nuovamente il concilio e lo portò a termine.

Inoltre, lasciando dispiegare le grandi personalità che gli si offrivano, favorendo l'opera di altri e dandole unità d'indirizzo, egli iniziò la Controriforma politico-ecclesiastica in senso vero e proprio ( cap. II ): Canisio guadagnò alla causa il duca di Baviera Alberto V ( sguardo generale e cap. II,3 ); il cardinale Stanislao Hosius salvò il cattolicesimo nello Ermiand.

Il processo a carico dei due nipoti di Paolo IV, che si concluse sotto di lui con la loro condanna a morte, acquista una grande rilevanza storica, perché pose veramente fine nella storia del papato al nepotismo politico.

b) Anche se lo stesso Pio IV, con zelo poco ecclesiastico, protesse smodatamente i suoi nipoti e ne nominò due cardinali, quando erano quasi ancora bambini, procurò tuttavia in uno di essi un santo che doveva assumere un'importanza enorme per il rinnovamento interno della Chiesa: Carlo Borromeo ( 1538-84; a 21 anni segretario di stato del papa, a partire dal 1561 arcivescovo di Milano, ordinato sacerdote nel 1563 ), rappresentante esemplare e precursore di una forma religioso-caritativa intessuta di eroico servizio pastorale.

Dopo la morte di Pio IV ( 1565; dopo che gli era riuscita l'elezione di Pio V, il santo ), visse nella sua sede episcopale di Milano.

Nell'applicazione delle riforme tridentine, che da Roma aveva fatto introdurre nella sua diocesi, egli irradiò la sua azione oltre i confini diocesani in tutta l'Italia settentrionale ( compreso il Canton Ticino e la Valtellina che faceva parte dell'Engadina ).

Le sue cure erano volte soprattutto ai futuri sacerdoti ( fondazione di seminari, sussidi a studenti ) e alla concomitante organizzazione di scuole, alla costruzione di chiese e alla solennità e al decoro delle sacre funzioni ( in quell'epoca uno dei mezzi pastorali più importanti del rinnovamento cattolico interno ).

Per tradurre in vita i decreti di riforma e per garantirne la crescita, egli tenne il sinodi diocesani e 5 sinodi provinciali.

Quanto fossero radicati gli abusi che bisognava eliminare, lo dimostra l'opposizione che ebbe da superare anche il santo cardinale-arcivescovo, dedito soltanto al servizio del prossimo; tale opposizione si acuì fino a raggiungere le proporzioni di un tentato assassinio contro di lui, organizzato da alcuni esponenti dell'ordine degli umiliati ( sciolto da Pio V ), completamente mondanizzato.

c) Le opere di riforma del santo erano sostenute da una intensa vita di preghiera e di sacrificio ( influsso dei gesuiti ), il cui centro era dato dalla meditazione del Crocifisso.

Gregorio XIII ebbe perfino motivo di costringerlo a mitigare la sua asperrima vita ascetica.

La maggior parte delle sue entrate la destinava a scopi caritativi.

Come buon pastore, egli, sprezzante della morte, si dedicò agli ammalati durante la peste del 1576.

Il suo eroismo però non oscurò minimamente il suo fascino personale ( = cerchia di Filippo Neri e Matteo Giberti ).

A Roma, accanto alla sua attività ecclesiastica di riforma, egli si occupò di studi culturali e scientifici, eliminando però da essi tutto ciò che era paganizzante.

Tutte le personalità di maggior rilievo frequentavano la sua casa,138 mantenne strette relazioni con il Palestrina.

Qui abbiamo nuovamente un umanesimo sublimato in senso cristiano e cattolico così come lo abbiamo già incontrato in Giustiniani, Contarmi e Cervini.

Morì appena quarantaseienne nel 1584.

3. a) In Pio V ( Ghislieri 1566-72 ) rivive il più severo indirizzo curiale sotteso da una coscienza di dominatore.

Ma siffatto atteggiamento e il rigore a lui familiari da quando era inquisitore generale li ritroviamo ora sensibilmente mutati ( anche in rapporto a Paolo IV ) in una coscienza di responsabilità decisamente religiosa e di carattere eroico.

Pio V fu un santo ( il primo papa santo dell'età moderna ): « Può governare soltanto colui che governa se stesso secondo le leggi di Cristo … ».

Per lui, infatti ( come per Carlo Borromeo ), il Crocifisso è al centro della pietà ( insieme con la filiale devozione a Maria ).

Con Pio V si attua quel definitivo mutamento del programma pontificio di origine medievale, secolarizzato poi nel periodo del rinascimento, in quanto egli non vede più la politica come un fine principale o come fine a se stessa ( cap. 6 ) e in modo particolare non tollera che essa sia posta a servizio di un egoismo dinastico-secolare.

Talvolta la sua visione soprannaturale sembra fargli perdere il senso della realtà; egli, per es., riteneva superflue le fortezze nello stato pontificio: « Le armi della Chiesa sono la preghiera, il digiuno e la Sacra Scrittura ».

Si poté ironizzare sulle sue intenzioni di fare di Roma un monastero.

Ma noi riconosciamo in lui « finalmente l'ideale di un papa religioso nel pieno senso della parola » ( Seppeit ).

Di conseguenza, non c'era per lui alcuna cosa « impossibile » in questioni di riforma ecclesiastica; diresse perciò il suo attacco sia contro la venalità nelle cariche curiali, sia contro tutti i gravi abusi che si verificavano negli Ordini.

Per l'attuazione della riforma dovevano servire le visite; si preoccupò molto di una regolata formazione del clero secolare, applicò a Roma i decreti tridentini e in tutta la Chiesa cercò di appianare loro la strada con disposizioni adeguate.

b) L'Occidente politicamente era da lungo tempo diviso.

Ma la Santa Sede dimostrò una giusta comprensione del pericolo comune, che con i turchi minacciava la civiltà occidentale e cercò di ovviarlo operando una politica disinteressata ( Pastor ).

Alleata con la Spagna e con navi veneziane ( la Lega ) riuscì nel 1571 a riportare la vittoria di Lepanto sotto Juan d'Austria ( « il giorno di battaglia più felice che la cristianità abbia mai avuto », Ranke ).

Purtroppo, già nel 1573, Venezia concludeva una vergognosa pace separata coi turchi.

c) Se pertanto l'Inquisizione romana e Paolo IV segnano Vinizio, e Pio IV il passaggio decisivo alla Controriforma cattolica, Pio V ne rappresenta l'apogeo.

Nonostante tutte le reazioni, i molti importanti inizi di riforma si sono in certo qual modo consolidati; ora sono unificati nel centro pontificio e questo centro è guidato da un Ignazio, da un Canisio, da un Borromeo e da Pio V: ha inizio il secolo dei santi.

4. a) Il programma imponeva ora di incrementare ancor più quella concentrazione delle forze nel papato e con esse di attuare la riforma cattolica e la Controriforma in grande stile, in maniera sistematica e ad ampio raggio, anche fuori d'Italia.

Gregario XIII ( Boncompagni, 1572-85; riforma del calendario nel 1582 ), giurista e abile organizzatore, il quale sotto l'influsso dei gesuiti, del Borromeo e seguendo il modello di Pio V, a 37 anni, da uomo di mondo era diventato riformatore religioso, che anche personalmente visse dignitosamente, pieno di zelo religioso e assiduo nelle sue pratiche religiose,139 perseguì questo scopo durante un lungo, illustre pontificato.

b) Il pericolo incombente sulla Chiesa raggiunse soltanto allora il suo culmine; esso non proveniva dal luteranesimo, ma dal calvinismo che stava guadagnando la Francia, la Polonia, l'Ungheria; il ritorno della Svezia alla Chiesa cattolica, che allora sembrava prossimo, non si attuò più.

Tutta l'Europa a nord delle Alpi doveva dunque diventare protestante? Era la grande crisi.

Ma fu proprio questa che, mettendo in movimento le estreme energie della Chiesa, suggellò la sua salvezza.

Gregorio capì quale forza fossero i gesuiti; fu egli a dare l'avvio alla loro opera più gloriosa, essi divennero la forza principale per mezzo della quale egli raggiunse una folgorante espansione dello spirito cattolico in tutta l'Europa.

Accanto ad essi lavorava, a nord delle Alpi, l'ordine dei cappuccini; santa Teresa riformava il Carmelo; Filippo Neri fondava l'Oratorio; le Nunziature pontificie vennero costituite in organismi stabili e accresciute ( Lucerna, Graz, Colonia ) e ad esse furono affidati non più soltanto compiti diplomatici, ma anche religiosi ( l'organizzazione completa l'avremo sotto Sisto V ); esse infatti resero possibile una più esatta conoscenza delle condizioni dei diversi paesi e quindi un'azione più aderente da parte delle congregazioni cardinalizie romane, che proprio allora presero uno sviluppo eccezionale.

Fu istituita un'apposita congregazione per gli affari tedeschi; tra i promotori vi furono i cardinali Hosius e Otto von Waldburg ( + 1573 ), ufficialmente, lo scopo era quello di mantenere e di aumentare in Germania gli esigui resti della religione cattolica.

Una delle opere più importanti - poiché concerne le basi stesse dell'edificio ecclesiastico - fu la fondazione e la riorganizzazione di seminari-modello nazionali in Roma: nuova dotazione e quindi sistemazione definitiva del Collegium Romanum, ricostruzione della Gregoriana e del Germanicum (-importante, data la scarsità di sacerdoti-), fondazione del Collegio Inglese nel 1579 ( i suoi martiri ); tutti diretti dai gesuiti.

Già prima ancora del Collegio Inglese dei gesuiti a Roma, era stato istituito a Douai ( Francia settentrionale ) un seminario missionario per l'Inghilterra; più tardi altri ne sorsero anche in Spagna e in Portogallo.

Tutti assieme essi impedirono la completa estirpazione del cattolicesimo in Inghilterra.

Conforme all'ideale missionario qui messo in atto, Gregorio XIII favorì anche le missioni nei paesi d'oltremare.

In Germania furono istituiti collegi nelle città di Vienna, Olmutz, Praga, Braunsberg, Fulda, Dillingen.

c) Il successo non fu unitario: in Polonia strepitoso, in Germania rilevante.

Qui vanno considerate come forze particolari:

1) i duchi di Baviera Alberto V e i suoi figli Guglielmo V ed Ernesto ( 1554-1612 );

2) Giulio Echter von Mespeibrunn ( + 1617 ) dal 1572 principe-vescovo di Wiirzburg.

La situazione da lui trovata era catastrofica; riorganizzò tutto da capo, prendendosi cura anche dei futuri sacerdoti, della loro istruzione e delle chiese; fondò pure un'università e l'Ospedale che esiste tutt'oggi;

3) gli Asburgo, a partire da Rodolfo II ( 1576-1612 ), sebbene quest'ultimo non fosse riuscito nel tentativo di una Controriforma nei suoi territori ereditari austriaci.

Sulla lotta tra cattolici e calvinisti in Francia si veda quanto abbiamo già detto nel § 83,II,5.

d) Per una riflessione più alta e in particolare religiosa della storia, il solo successo non può mai costituire la piena giustificazione dei mezzi impiegati.

Per il cristianesimo e la valutazione della sua storia questa distinzione è necessaria.

Essa non va dimenticata neppure, quando si voglia enunciare un giudizio complessivo da un punto di vista cristiano delle sorprendenti realizzazioni ecclesiastiche del pontificato di Gregorio XIII.

Bisogna anzi cercar di capire che, nonostante quanto è stato detto, questo governo non fu così intensamente animato da spirito religioso come quello del suo santo predecessore.

Dato che proprio allora la lotta contro l'innovazione riformata, a causa della esuberante forza del calvinismo, si era trasformata in una lotta per l'esistenza del cristianesimo cattolico ( almeno al di là delle Alpi ), l'irrobustita coscienza cattolica reagì in parte usando purtroppo dei metodi che, per un cristiano, non sono giustificabili.

Nella lotta contro la Riforma in Inghilterra, Gregorio favorì la rivoluzione in Irlanda, cosa che fece sì che i cattolici inglesi venissero ancor più aspramente perseguitati.

Che la notte di san Barfolomeo del 1572 non sia stata una questione esclusivamente religiosa o ecclesiastica, pur essendo in gioco anche passioni religiose, è già stato detto ( § 83,II,5b ).

Il papa non sapeva nulla del progetto.

A fatto compiuto, la corte francese annunciò che si era trattato di una punizione per un complotto di alto tradimento e di un colpo contro gli eretici.

Il papa tenne un solenne Tè Deum ed espresse le sue felicitazioni a Parigi e prese parte egli stesso alla festa di ringraziamento nella chiesa nazionale francese; fece battere una moneta commemorativa e proclamò un giubileo universale per ringraziare Dio: una reazione che rimane almeno incresciosa, anche se si tiene conto che in quel tempo, nella lotta « confessionale », la violenza venne usata in tutti i campi.

Una valutazione veramente cristiana dell'accaduto ci è fornita nel nostro tempo soprattutto da quei cattolici francesi che ancora espiano, pregando, la violenza che nella notte di san Bartolomeo fu usata nei confronti dei cristiani evangelici.

5. La situazione andò inasprendosi sempre più da parte politica, politico-ecclesiastica e confessionale.

Essa impose al nuovo papa Sisto V un nuovo corso, trovò però in lui anche la sua guida.

Forse meglio che in qualsiasi altro pontefice, si può studiare in lui la necessità e la legittimità del pensare e dell'agire politico del capo supremo della Chiesa del tempo, e insieme costatare come un tale pensare e agire possa rimanere scevro da ogni intento mondano.

a) Sisto V ( Feretri, 1585-90 ), di umilissimi natali, già da ragazzo era entrato nell'ordine dei francescani, rimanendo poi per tutta la vita un pio monaco.

Divenne predicatore famoso, condusse con fervore la riforma della vita monastica, divenne generale del suo Ordine e poi cardinale.

Nel conclave, dopo la morte di Gregorio XIII, si adoperò per la propria elezione e fu eletto all'unanimità.

Il suo breve pontificato, che si stacca nettamente dal suo generalato, fu intenso di realizzazioni.

Questo francescano, infatti, nelle vesti di papa non fu ne pastore, ne maestro, ma sovrano.

È indice della crisi, anzi del grave pericolo della situazione se si deve affermare, dopo aver preso in considerazione tutti i punti di vista, che questo fu l'atteggiamento giusto per quel tempo.

La situazione, così gravida di pericoli, rese necessaria l'azione politica.

Il fatto che Sisto V in singoli casi ( per es. nella valutazione delle pretese spagnole nei confronti delle minacce francesi ) non sia rimasto strettamente coerente ad una linea, può essere stato allora d'importanza politica per la Chiesa, ma per la storia della Chiesa non ha grande importanza.

È decisivo il fatto che l'atteggiamento, nel complesso, sia rimasto unitario e vittorioso, nell'ambito del possibile, per la causa della Chiesa, senza che ne soffrisse l'elemento religioso-cristiano.

Il pericolo si concentrava in forma esplosiva, in Francia e intorno ad essa, sia nell'ambito della grande politica e, di conseguenza, della politica ecclesiastica, sia nella vita interna della Chiesa.

Per il papato era necessario che la Francia rimanesse una grande potenza, se si voleva evitare che la Spagna ne minacciasse la libertà più di quanto aveva già fatto, avanzando le sue arroganti pratese.

Ma la Francia era un focolaio di pericoli di prim'ordine per la Chiesa.

Talvolta reagiva ad un qualsiasi cedimento della curia nei confronti delle pretese spagnole con agitazioni gallicane, fino a minacciare un concilio e addirittura un concilio nazionale e uno scisma.

C'era poi il pericolo calvinista: l'avanzata del calvinismo costituiva un problema di esistenza per la chiesa francese, da quando si presentava come possibile l'ascesa al trono del protestante Enrico IV di Navarra.

Se è vero che egli nella notte di san Bartolomeo aveva abiurato il protestantesimo, vi era poi ritornato, divenendo di nuovo capo degli Ugonotti.

Contro di lui in Francia era schierata una Lega cattolica assai appoggiata dalla Spagna.

Un altro partito cattolico, antispagnolo, parteggiava per i Navarra, cosicché tre erano i partiti che minacciavano l'unità della Francia e con essa anche la sua importanza per la Chiesa.

b) Accanto ai grandi compiti che bisognava assolvere in Spagna, Francia e Germania, non fu mai perduto di vista il grande progetto di riconquista al cattolicesimo dell'Inghilterra e dei Paesi Bassi, con l'aiuto della Spagna.

Ma poiché Sisto V si stava comportando in maniera evasiva nei confronti di Enrico di Navarra, Filippo II di Spagna dovette indugiare con il suo attacco contro l'Inghilterra.140

L'Armada si mosse troppo tardi.

E venne la sconfitta ( 1588 ).

I limiti della potenza mondiale spagnola si fecero evidenti, il peso delle sue minacce nei confronti del papato si affievolì.

Ma - da un punto di vista globale - a quale prezzo!

La potenza della Spagna decadde, ebbe inizio l'ascesa dell'Inghilterra.

Nel mondo cattolico rimasero due potenze antagoniste: la Francia e l'Austria degli Asburgo.

Entrambe cattoliche, ma, in maniera sempre crescente, nazionaliste.

I pericoli che minacciavano il papato erano evidenti.

c) Sisto V impiegò le sue inesauribili energie anche nello stato della Chiesa e nella Chiesa stessa: egli, adottando misure severissime, soffocò il banditismo, riordinò le finanze, fu l'ideatore della Roma « nuova » ( barocca ) rimasta fino ad oggi tipica,141 e trasformata « nella centrale mondiale dei pellegrinaggi ».

Egli rese più moderna l'amministrazione della Chiesa attraverso la riorganizzazione della curia.

Mentre prima tutti i cardinali presenti in Roma potevano occuparsi di tutti gli affari, egli proseguì la specializzazione, iniziata da Pio V e Gregorio XIII, in singoli dicasteri.

d) Attraverso la Riforma aveva acquistato importanza centrale il problema di un valido testo della Bibbia.

Il testo latino della Vulgata, dichiarato autentico, stava diventando vittima di un infelice abbandono.

Sisto riconobbe l'importanza del compito; si accinse ad esso però con esagerato e poco illuminato zelo; l'altissima coscienza del suo mandato gli fece credere di godere sempre dell'assistenza divina, quindi anche in questioni di critica testuale.

È naturale, pertanto, che l'edizione da lui curata con queste idee, in maniera autonoma, e manomettendo anche il testo sacro ( così Francesco Toledo S. J. ) e imposta come l'unica da usarsi, rappresentò per la Chiesa soltanto un inutile aggravio.

Indice

136 Anche l'Indice pubblicato da Paolo IV era di una severità impossibile.
Dopo la morte del papa fu abrogato.
137 Non apparteneva però alla famosa famiglia fiorentina.
138 Abitava in Vaticano: « Accademia delle Notti Vaticane ».
139 Anche il suo nepotismo si mantenne entro limiti discreti; troppa condiscendenzatuttavia dimostrò verso il figlio, che conduceva una vita sregolata.
140 Era in causa anche la preoccupazione per il destino di Maria Stuarda.
Solo la sua condanna a morte nel 1587 rese illusorie le alleanze a tale proposito.
141 Durante il suo pontificato fu terminata la basilica di S. Pietro.