La storia della Chiesa

Indice

§ 114. Il Concilio Vaticano I

1. Il pontificato di Pio IX ( 1846-78 ) è caratterizzato da grandi avvenimenti:

1) tramonta lo Stato pontificio;

2) nel cosiddetto Sillabo si effettua una chiarificazione di principio sui rapporti fra Chiesa e civiltà moderna e fra Chiesa e Stato moderno nella forma di un deciso, anche se ancora indifferenziato, rifiuto;

3) nel Vaticano I vengono definiti nuovamente, e in rapporto allo spirito del tempo, i princìpi della fede e

4) viene proclamata l'infallibilità del papa e il suo sommo episcopato.

I punti 1, 2 e 4 non hanno soltanto il significato di avvenimenti importanti, ma decisivi per la storia.

Con essi non si conclude un'epoca storica, ma un intero ciclo della storia ecclesiastica.

Che si faccia durare questo ciclo fino al 1930, deriva unicamente dal fatto che soltanto i grandi avvenimenti di quegli anni - lotta contro il modernismo, compilazione del nuovo Codice di Diritto canonico, Patti Lateranensi - segnano la conclusione di quei fenomeni d'importanza storica.

Le questioni accennate sotto i numeri 2 e 3 saranno trattate ( § 117 ) per una migliore connessione storico-dottrinale, congiuntamente alla lotta conclusiva per la purezza della dottrina ( § 113 ).

Qui ci soffermeremo soprattutto sull'infallibilità pontificia definita dal Vaticano I.

2. La lotta verteva sulla questione se il papa, di per sé, da solo, senza consultazione e decisione di un concilio ecumenico, godesse della infallibilità pontificia in materia di fede.

Tale questione ha avuto uno sviluppo storico assai lungo.

Nell'antichità essa era inalveata nella costituzione dei patriarcati ( collegialità di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, con il riconoscimento di un primato non di onore soltanto ).

Assai presto però si fece avvertire l'opposizione della Chiesa orientale; poiché l'Occidente sembrava interpretare il primato in maniera troppo assolutistica, vale a dire troppo giuridica, essa si rifiutò di essere « schiava » di Roma.

Sebbene l'Oriente dopo la scissione del 1054 non si considerasse completamente e definitivamente separato ( Chiese orientali, § 121 ss ) e benché molti fattori che causarono la separazione fossero di carattere extrateologico, la scissione è rimasta fino ai nostri giorni; la coscienza che Roma aveva di sé si sviluppò in maniera isolata dalle Sedi orientali.

In Occidente la lotta per le investiture ebbe quale conseguenza un forte sviluppo del potere papale; attraverso l'idea conciliare e la chiesa di stato esso fu di volta in volta assai limitato, mentre al tempo stesso venne esasperato con estrema tensione insoluta dal curialismo.

Dopo aver superato diverse tappe episcopaliste a tendenza antipapale, ora, nonostante tutti i movimenti particolaristici, il potere ecclesiastico del papa era talmente cresciuto che si poteva giungere ad una definizione dogmatica.

La scienza teologica, invero, non si era ancora decisa, in generale, per l'infallibilità: persino per J. A. Mohler il curialismo, così come lo presentavano De Maistre e F. Walter nel suo Diritto ecclesiastico, era pura indimostrata teoria; anche lo studioso di diritto ecclesiastico J. Fr. von Schuite ( + 1914 ), come pure Dollinger e la cerchia dei suoi discepoli, con le loro obiezioni non possono ne venir ignorati ne presi alla leggera, qualora si intenda condurre un'indagine sui dati storici.

Ma la tendenza vera e propria delle opinioni teologiche da lungo tempo seguiva la direzione della dottrina che si sarebbe poi affermata al Vaticano I.

Anche il Diritto Canonico la sosteneva.

In Germania il canonista George Philips ( + 1872 ) l'aveva insegnata a Monaco ( dove fu professore dal 1834 ) come antitesi al febronianismo.

Proprio nel paese del gallicanesimo essa era penetrata nella coscienza comune ad opera di De Maistre e Lamennais.

Per un'esauriente presa di posizione teologica, l'elenco prammatico dei fatti storici da solo non basta, così come in tante altre questioni in cui il divino penetra nella storia, quindi nella sfera umana e con ciò anche nell'area del peccato.

Ci troviamo ad uno dei punti in cui risulta con particolare evidenza che la storia della Chiesa è una scienza teologica.

In molte aspre controversie, ha preso forma l'equivoco di un primato inteso in senso giuridico-assolutistico.

In realtà invece bisogna interpretare tutte le dichiarazioni e le future definizioni relative all'ufficio ecclesiastico in maniera ecclesiologico-globale e in accordo con le parole della Scrittura, cioè il primato va inteso in senso pneumatologico, come continuazione dell'ufficio di Pietro e come diaconia.

Senza immettere nell'analisi storica della Chiesa l'idea dogmatica del Corpus Christi mysticiim e dell'assistenza dello Spirito Santo promessa alla Chiesa, non si giunge ad una soddisfacente comprensione.

Lo dimostra il decorso delle discussioni nel Vaticano I, con l'agguerrita opposizione pur sempre fedele alla Chiesa ( cfr n. 5 ).

Riguardo ai princìpi fondamentali dell'indagine storico-ecclesiastica, che, in questo tema spinoso, mettono a particolare prova sia la loro solidità sia la loro utilità, dobbiamo ricordare che è sempre vero che Dio, anche nella storia della sua Chiesa, scrive diritto su righe storte.

3. a) L'utilità di un concilio generale per quell'epoca non può sollevare alcun dubbio.

Il mutamento generale, operatesi nella Chiesa dopo il Concilio di Trento, era talmente profondo, che era opportuno fare il punto della situazione e trarre le conclusioni, sia per il presente sia per il futuro.

Tuttavia l'annuncio dell'imminente apertura di un concilio provocò, insieme a vivo entusiasmo, anche notevole apprensione.221

L'opinione pubblica non era favorevole a priori all'accettazione pacifica delle dichiarazioni del concilio.

La severa e indiscriminata condanna di ogni fede nel progresso, della libertà di parola e di stampa nel « Sillabo » ( v. § 117, II, 5 ) aveva talmente prevenuto la maggior parte del mondo intellettuale e politico ( e, in parte, anche cattolico ) d'Europa contro il papa e la sua « gretta » curia, che soltanto una leale informazione sui preparativi e in modo particolare sui dibattiti in seno al concilio stesso avrebbe forse potuto garantire un corretto atteggiamento degli a-cattolici.

Questo non avvenne.

Anzi, dopo i preparativi tenuti assolutamente segreti, ai vescovi consultori fu imposto sotto pena di peccato grave il silenzio assoluto sullo svolgimento del concilio.

« Il risultato finale non fu ne segreto ne pubblico, ma un'atmosfera dominata da voci e da sospetti, da storielle e insinuazioni che non potevano ne essere confermate ne smentite » ( Butier ).

Il fatto stesso che la bolla Aeterni patris ( 1868 ), con la quale il papa invitava i vescovi al concilio,222 non rendesse noti gli argomenti da trattare accrebbe lo stato d'incertezza.

Si aggiunga che la bolla di convocazione non era firmata, come per il Concilio di Trento, dal concistoro dei cardinali e che, a differenza di quanto era sempre avvenuto, gli Stati o i prìncipi non erano invitati.

La colpa, in gran parte, fu del mondo non cattolico, soprattutto in Germania.

Il liberalismo, che stava già concentrando le sue forze contro il cattolicesimo ( Kulturkampf ), si eresse a difensore non chiamato della libertà dei cattolici, dei fedeli, del clero e dei vescovi, che diceva minacciati dall'oscurantismo della tirannia clericale.

b) Ciò che alimentava maggiormente l'ostilità era il sospetto che stesse per definirsi l'infallibilità pontificia.

Anche nel mondo cattolico si determinò a questo riguardo una violenta opposizione.

In Germania fu soprattutto il dotto storico della Chiesa, professore a Monaco, Ignazio Dóllinger ( + 1890 ), che in una lunga serie di articoli, di opuscoli e discorsi si dichiarò apertamente contro l'infallibilità.

Anche i vescovi tedeschi, riuniti a Fulda, ricorsero al papa con un'istanza.

Il loro atteggiamento, tuttavia, fu ben diverso da quello di Dóllinger: questi era contrario all'infallibilità in se stessa, i vescovi tedeschi invece ritenevano inopportuna, per il momento, la sua definizione.

E questo rimase anche il punto di vista della grande maggioranza di coloro che nel Concilio stesso si dichiararono contrari.

I moventi della opposizione erano vari: si temevano reazioni politico-ecclesiastiche da parte degli Stati ( così i vescovi tedeschi ), oppure uno scisma fra i cattolici fedeli alla Chiesa ( così soprattutto il vescovo di Orléans, Dupan-loup ).

Infatti, in un tempo in cui le idee liberali si respiravano, per così dire, con l'aria e in cui, com'è già stato mostrato, l'episcopalismo e il gallicanesimo erano radicati anche negli animi fedeli alla Chiesa, l'adesione a questo dogma era molto più difficile di quanto lo sarebbe ai nostri giorni.

Ci fu però, anche fra i vescovi, un gruppo di avversari convinti della dottrina dell'infallibilità stessa ( cap. 5 ).

Tali furono, per es., il vescovo di Magonza Keffeler ( 1811-77 ), il vescovo di Rottenburg Giuseppe von Hefele ( 1809-83 ) il famoso storico della Chiesa, e il cardinale Guidi, arcivescovo di Bologna; la loro opposizione non aveva soltanto degli intenti tattici, ma scaturiva da considerazioni di fatto.

Questi uomini tuttavia non vollero mai prestar mano ad uno scisma; e per amore dell'unità finirono con l'accettare il dogma, non appena il Concilio lo ebbe definito.223

4. Il Concilio aveva già davanti a sé un precedente di grande importanza nei confronti del magistero papale: la solenne proclamazione del dogma dell''Immacolata Concezione di Maria avvenuta nel 1854.

Se è vero che i vescovi si erano in precedenza pronunciati sull'argomento e che il dogma era stato promulgato alla presenza di 200 prìncipi della Chiesa, tuttavia, sia l'esame del tema sia la definizione erano stati compiuti soltanto dal papa.

Ad essi non aveva cooperato alcun concilio.

Ciò costituiva un fatto della massima importanza: esso presupponeva in modo assoluto l'infallibilità del pontefice nelle questioni dottrinali.

D'altronde, il fatto che questo dogma sia stato accettato allora senza alcuna opposizione, dimostra realmente che la dottrina dell'infallibilità papale era ormai penetrata nella coscienza di tutta la Chiesa.

5. a) Il Concilio fu aperto l'8 dicembre 1869.

Prendevano parte alle sedute in media 700 prelati con diritto di voto, un terzo dei quali proveniente dall'Italia.

La questione dell'infallibilità pontificia divenne tema delle discussioni conciliari in base ad una proposta, in favore della quale erano state raccolte 480 firme.

Il concilio si trovava quindi, su questo punto, diviso in due parti, ciascuna delle quali teneva le proprie sedute particolari e faceva una solerte propaganda per le proprie opinioni.

Dei 17 vescovi tedeschi 13 erano all'opposizione, come pure un terzo circa dei francesi ( Dupanloup ), e alcuni vescovi nordamericani.

Alla formulazione che l'infallibilità conviene al papa « di per se stessa e non in seguito al consenso della Chiesa » l'opposizione era quasi totale.

b) Decisiva di fatto, anche se non sul piano formale, fu la 85° sessione plenaria.

In essa su 601 votanti, 451 votarono sì; 62 sì « condizionato », 88 no.

Poiché un ultimo attacco della minoranza al Concilio, appelli all'opinione pubblica ( discorso e opuscolo dell'arcivescovo di Parigi e lo scritto in latino di Hefele sulla questione di Onorio, § 27, III ) e al papa ( deputazione di 6 vescovi, tra i quali Ketteler ) non fecero che rendere evidente la decisione incondizionata del pontefice di arrivare alla definizione, l'opposizione, per spirito di devozione e di fedeltà alla Chiesa, preferì lasciare il concilio.

Con questo gesto essa confutava inequivocabilmente l'accusa di mancanza di sensus ecclesia, mossale dalla maggioranza con poco amore e con scarsa larghezza di vedute.

Si arrivò così allo scrutinio della solenne seduta del 18 luglio 1870, alla presenza del papa.

Dei 535 votanti, 533 votarono a favore, soltanto due espressero voto contrario.

Ambedue accettarono però, immediatamente, la decisione del concilio.

6. La definizione del concilio Vaticano I riconosce al papa due prerogative:

1) la pienezza dell'autorità di governo ( primato di giurisdizione o episcopato universale ) e

2) l'infallibilità.

In riferimento a 1): il papa possiede la somma dei più alti poteri di governo, ordinari e immediati, che si estendono a tutta quanta la Chiesa, a tutte le chiese, a tutti i pastori, a tutti i fedeli, non soltanto in materia di fede e di costumi, ma anche di disciplina e di governo.

( Sul rapporto fra il primato e la giurisdizione divina dei vescovi vedi sotto n. 9 ).

In riferimento a 2): « Il romano pontefice, quando parla ex ca-thedra, vale a dire quando, assolvendo il suo compito di Pastore e di Maestro di tutti i cristiani, definisce, in forza della sua suprema autorità apostolica, che una dottrina di fede e di morale deve essere creduta da tutta la Chiesa, grazie alla divina assistenza che gli è stata promessa nella persona di san Pietro, gode dell'infallibilità di cui il divin Redentore ha voluto che fosse dotata la sua Chiesa nelle definizioni dottrinali concernenti la fede e i costumi; e pertanto tali definizioni del romano pontefice, sono di per se stesse, e non in seguito al consenso della Chiesa, irriformabili ».

In questo testo è essenziale il riferimento all'infallibilità assicurata dal Signore a tutta la Chiesa.

Essa non viene annullata dalla frase conclusiva ( « di per sé, e non in seguito al consenso della Chiesa » ).

7. a) Dal punto di vista storico, la definizione dell'« universale episcopato » del papa e della sua infallibilità rappresenta la conclusione di un grandioso sviluppo, il quale aveva avuto come punto di partenza il primato di Pietro e la sua attività a Roma, e, nel corso di due millenni, aveva attraversato una serie incalcolabile di situazioni diverse ( specialmente nel Medioevo ) senza mai deflettere dal suo principio.

Il programma di Gregorio VII, ossia l'intima e salda unione di tutte le chiese con quella di Roma, riceveva ora il suo coronamento: centralizzazione assoluta di tutta l'autorità ecclesiastica nelle mani del papa.

Un'ulteriore crescita di esso non è possibile; è possibile peraltro uno sviluppo organico che veda nel papa il co-episcopo di tutti gli altri vescovi, vale a dire che ponga in essere la tensione creativa, fondata nel Vangelo, del Collegio Apostolico in modo che possa raggiungere la pienezza della sua efficacia ecclesiologica.

Il risultato negativo è stato che gallicanesimo e conciliarismo di qualsiasi forma sono stati messi al bando.

La più forte cioè delle correnti particolaristiche che aveva portato la Chiesa del XIV e del XV secolo fin sull'orlo della rovina, che aveva avuto una parte funesta nel periodo della Riforma e che dopo il XVII secolo non aveva più cessato di turbare ( con effetti solo negativi ) la Chiesa, era ormai liquidata in maniera definitiva.

Il contenuto di ciò che doveva ritenersi cattolico veniva chiaramente concentrato in un punto focale.

Era pressoché impossibile ormai che continuasse a sussistere la profonda incertezza che aveva regnato così a lungo, circa la vera dottrina della Chiesa.224

La centralizzazione della Chiesa nel papato, sancita dal Vaticano I, è dunque la reazione finale contro tutte le correnti antipapali manifestatesi nel corso di sette secoli, sia in seno alla Chiesa, sia in forma di tendenze centrifughe e nazionali, volte a scuotere l'unità della Chiesa.

Di fronte al soggettivismo, che costituisce il nucleo essenziale del carattere a-cristiano dei tempi moderni, era assicurato nella maniera più potente il suo contrario, ossia l'esistenza dell'oggettivo; non per opera di una istituzione umana, bensì mediante una più chiara definizione dell'ufficio di Pietro, istituito dallo stesso Signore.

Pur senza ricevere una definizione teoretica, il concetto di « Chiesa » veniva ormai portato alla pienezza del suo contenuto.

La Chiesa veniva presentata e saldamente affermata nella sua propria, anche se inesorabile, realtà, come un dato soprannaturale da accettarsi senza discussione.

La realtà di una potenza religiosa sovra-ordinata e in sé sostanzialmente diversa da ogni altra realtà, acquista così una evidente chiarezza.225

b) La maggiore sicurezza raggiunta ( v. sopra n. 7 a ) porta con sé, necessariamente, anche l'accrescersi di vincoli e di restrizioni.

Il cattolicesimo del periodo posteriore al Vaticano I è identico al cattolicesimo del periodo prevaticano.

Tuttavia non gode più della medesima ampiezza di opinabilità in materia dogmatica, propria dei secoli precedenti.

Non si può nascondere la possibilità di un certo pericolo: che la stabilità cioè si possa trasformare in immobilismo e conformismo ( sotto n. 9 ).

c) Quanto maggiore si faceva il caos della moderna instabilità di pensiero ( relativismo ), tanto più necessaria doveva apparire in funzione protettrice la concentrazione istituzionale che sarebbe dovuta essere di servizio e di aiuto all'inalienabile libero legame del singolo.

La giustificazione intrinseca e la portata di questa concentrazione si rendono particolarmente evidenti se si supera il punto di vista nazionale e anche occidentale: la Chiesa, tanto per il suo compito quanto per il suo diritto, fu sempre Chiesa universale.

Ora, per la prima volta, lo sviluppo tecnico-economico-culturale faceva veramente del mondo la scena della storia, anche della storia ecclesiastica; la Chiesa era diventata veramente Chiesa universale.

Nel 1870, naturalmente, nessuno poteva prevedere la misura del tutto diversa in cui questo concetto, mezzo secolo più tardi, sarebbe divenuto realtà.

Data la vastità degli avvenimenti da guidare e di fronte alla complessa eterogeneità del mondo moderno, in un periodo in cui, per es., nel Sud-America e nell'Estremo Oriente si inserivano, con estrema rapidità, nell'organizzazione diocesana ecclesiastica enormi regioni prive di qualsiasi tradizione storica, il vescovo residenziale della piccola diocesi occidentale perdette molto della sua importanza.

Un potere centrale che, per così dire, ha già superato vittoriosamente tutte le forme possibili di opposizione particolaristica, può governare la Chiesa universale con particolare sicurezza: il papato.

Queste ultime riflessioni, nella giustificazione dogmatica della definizione del Vaticano I, hanno naturalmente un valore minimo, ma dal punto di vista storico e dell'indagine storica, aiutano a capire la giustezza intrinseca allo sviluppo concreto.

8. Di fronte a questi valori stanno le perdite alle quali la Chiesa è andata incontro con la definizione del nuovo dogma.

Scuote fortemente, dal punto di vista umano, la lotta che molti cattolici ebbero a sostenere nel loro intimo.

È anche triste il fatto che in Germania dieci professori si siano separati dalla Chiesa, trascinando con sé migliaia di fedeli.

Dal punto di vista dell'organizzazione ecclesiastica, ciò riveste naturalmente poca importanza.

La nascente Chiesa vecchio-cattolica ( Altkatholische Kirche ) non possedeva una vera e propria forza religiosa.

Essa non conta oggi più di 100.000 proseliti ( sedi episcopali a Berna e a Bonn ).

La grande perdita è costituita dalla separazione stessa.

Non si sa fino a che punto si possa parlare di colpa personale, meno che per gli altri, per il grande Dollinger ( § 117 ), la cui vita di pietà non si staccò mai da quella Chiesa cattolica che lo aveva escluso dalla sua comunione.

Molto più seriamente è da prendersi la reazione negativa proveniente, fino ai nostri giorni, da quasi tutte le forme di protestantesimo e continuamente riaccesa, contro il dogma dell'infallibilità pontificia, del supremo episcopato papale e più ancora contro le espressioni concrete e la corrispondente organizzazione esterna che viene vista come un sistema di potere.

Solo nei tempi più recenti si manifestano, in piccoli circoli di ispirazione luterana, degli indizi che rivelano una certa comprensione almeno per il problema costituito dal papato e cercano di intenderne la motivazione partendo dal Vangelo e dalla storia.

9. Il problema più importante, sollevato dalla definizione del Vaticano I, è insito nel rapporto tra papa e vescovi, « i quali sono costituiti dallo Spirito Santo per pascere la Chiesa del Signore » ( At 20,28 ).

Di fatto, l'elevazione del potere pontificio in piena sovranità ha limitato in misura notevole l'esercizio pratico del potere dei vescovi.

Un gran numero di privilegi e di diritti particolari, sanzionati dalla storia, sono scomparsi.

Qui si nascondeva un grave pericolo.

Anche da questo punto di vista l'unità poteva tendere alla uniformità e talune forze preziose e originarie potevano andar perdute per la Chiesa oppure restare indebolite.

Bisogna ammettere che questo pericolo del centralismo non è stato sempre del tutto evitato.

Come sempre accade nella storia, anche qui la mèta perseguita in antagonismo con forze opposte ha potuto esser raggiunta soltanto con una certa unilateralità.

Per una equa valutazione del fatto, sia sul piano storico sia teologico, è necessario considerare due cose:

a) L'esercizio del supremo episcopato, dopo il Vaticano I, è stato una conseguenza della parziale trattazione dello schema dogmatico sulla Chiesa; gli schemi che avrebbero dovuto trattare dei diritti propri dei vescovi e del loro rapporto con il papa sono rimasti inevasi per quasi un secolo.

Il fatto che la definizione del primato abbia potuto esercitare così a lungo il suo influsso senza il contrappeso appena ricordato è una realtà storico-ecclesiastica di primaria importanza.

Una trattazione cristiana della storia deve naturalmente tenerne conto.

Anche questo è avvenuto per volere del Padre senza del quale nulla accade; questo volere è stato chiamato in causa anche altre volte per interpretare la storia della Chiesa, senza peraltro voler minimizzare gli effetti negativi già ricordati.

b) Dal punto di vista teologico è decisivo il fatto che la definizione del Vaticano I226 congiuntamente a quella del Tridentino, concernente i vescovi ( sessione 6a del 13 gennaio 1547 ), escluda per principio una sostanziale diminuzione dell'origine apostolica della potestà di giurisdizione propria dei vescovi.

Addirittura Pio IX, che pur aveva un'idea estremamente ampia del supremo episcopato, confermava espressamente una dichiarazione in questo senso fatta dai vescovi tedeschi a e contro Bismarck nell'anno 1875.

Il Concilio Vaticano II, convocato da Giovanni XXIII, con la costituzione Lumen Gentium, promulgata al termine della 29° sessione, il 21 novembre 1964, ha definito la natura « collegiale » dell'ordine episcopale e ha stabilito il rapporto che intercorre tra il romano pontefice e i vescovi, i quali esercitano nella loro diocesi una potestà « propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia, in ultima istanza, sottoposto alla suprema potestà della Chiesa ».

In tal modo il rapporto tra la potestà pontificia e la potestà episcopale è visto nel senso del mistero contenuto nel fondamento biblico per il quale Pietro, la pietra ( Mt 16,18 ), il capo della Chiesa primitiva, era d'altra parte collega ( consenior 1 Pt 5,1 ) degli altri Apostoli, che pure avevano ricevuto il potere di legare e di sciogliere ( Gv 20,22s ): primato e collegialità.

La sintesi, che, nel corso della storia, così spesso abbiamo potuto rilevare come caratteristica essenziale della Chiesa, riceve così la sua definitiva consacrazione.

10. Sorprendente fu la naturalezza con cui il popolo cattolico e il clero delle parrocchie accolsero la definizione del Vaticano I.

L'opposizione o anche soltanto un certo malumore venne soltanto dalla cerchia dei professori e dagli intellettuali liberali.

Si manifestava qui un rapporto diretto, spesso ignorato, fra papato e popolo di Dio, un rapporto che possiamo seguire nella sua crescita attraverso tutto il secolo XIX.

Esso, d'altra parte, si era già manifestato, per es. nel rifiuto di talune posizioni di Hontheim e Wessenberg relative alla vita di pietà come anche nel rifiuto dei vescovi costituzionali quali funzionari dello Stato durante la rivoluzione francese, con cui il popolo aveva anticipato la condanna di Pio VI.

La politica concordataria autonoma della curia nell'istituire i nunzi, senza riguardo ai particolari diritti dei vescovi, aveva menomato ancor più l'importanza dell'episcopato nei confronti della curia pontificia.

D'altra parte, la coscienza del popolo cattolico si era affermata ancor più attraverso le poco sensate misure di polizia prese nei confronti di vescovi durante i moti di Colonia ( § 115, II ).

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221 Quanto la situazione sia mutata nel frattempo - in senso positivo - si può dedurre dalla eco, ben diversa, che rispose all'annuncio del Concilio, dato da Giovanni XXIII nel 1959.
222 Un Breve, distinto per le due categorie, invitava alla « partecipazione » anche gli scismatici e i protestanti ( 1869 ).
223 Hefele pronunciò il suo riconoscimento soltanto il 10 aprile 1871; ma ciononostante non è che si sia piegato solo in un secondo tempo.
Già in precedenza si era proposto di usare tutti i mezzi a sua disposizione contro la definizione, giammai però di favorire una scissione.
224 Per misurarne la portata, si ricordi il ruolo fatale dell'incertezza teologica prima della Riforma e ancora nei suoi anni decisivi.
225 Questa sicurezza e questa evidenza sono categorie di fede; non vanno scambiate con la sicurezza materiale, ne intese al di fuori della theologia crucis. ,
226 « Tantum autem abest, ut haec Summi Pontificis potestas officiai ordinarne ac immediatae illi episcopalis iurisdictionis potestati, qua episcopi, qui positi a Spirito Sancto in Apostolorum locum successerunt, tamquam veri pastores assignatos sibi greges singuli singulos pascunt et regunt » ( Denzinger 1828 ).