La storia della Chiesa

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III. Valutazione

1. Trattando il problema dell'Unione vanno tenute ben distinte due cose: la presa di posizione dogmatica di principio e il trattamento psicologico del caso.

Tutto deriva principalmente dalla tensione esistente fra il primato cattolico-romano del papa e l'autonomia di principio delle chiese ortodosse.

È estranea alle chiese orientali la concezione di un capo supremo comune, residente lontano, nel senso vero e proprio di un'istanza giuridicamente sopra-ordinata.

Inoltre si è fatto giustamente riferimento al fatto che il primato del papa, al giorno d'oggi, rappresenta per l'insieme un ostacolo di ben diversa gravita di quanto non fosse al tempo nel quale lo scisma si effettuò e si affermò.

In quel tempo, nel IX e XI secolo, il governo del papa non « si addentrava certo nell'Oriente, come invece succede oggi presso gli orientali cattolici » ( de Vries ).

Il problema fondamentale da risolvere è questo: come sono conciliabili l'autonomia e la libertà tradizionali degli orientali con l'unità della costituzione della Chiesa?

Il carattere della chiesa orientale ci offrirà qualche elemento per una possibile risposta ( vedi § 124, I, 3 ).

Inoltre può essere d'aiuto la semplice considerazione che esistono delle relazioni complesse di impossibile, o di assai difficile definizione nel senso di non lasciarsi costringere in una formula più o meno astratta ma che però possono descriversi con una certa relativa facilità ed anche corrispondentemente realizzarsi.

Tale è, sin dal tempo apostolico, il problema: primato e collegio.

Psicologicamente si può esprimere il problema in questi termini: come è possibile far credere ai cristiani orientali la risposta cattolica concernente la possibilità di una simile comunità, dopo che Roma, per secoli interi, ha esaltato e voluto la sottomissione in un senso molto stretto come l'unico genere cattolico di unità?

L'unione non è forse legata al riconoscimento di una nozione di autorità, concepita in maniera più assoluta di quanto faccia generalmente l'Oriente, e ad una limitazione della libertà cristiana ed ecclesiastica?

E a questo non è forse congiunta anche una certa occidentalizzazione, talvolta sostanziale, e quindi anche una auto-alienazione?

2. È pur necessario dirlo: nella gigantesca opera missionaria della chiesa cattolico-romana fra gli orientali, spesso non ci si è accostati alla grande questione con oggettività e con sufficiente ponderazione.

In campo cattolico-romano, troppo spesso, si partiva da quella concezione chiusa, per la quale il mondo era limitato all'Occidente, alla chiesa latina e al suo diritto canonico.

La concezione fondamentale della potestas, che noi conosciamo dal Medioevo nei suoi aspetti molteplici ( e non soltanto utili alla Chiesa ), domina i piani programmatici, anche nel periodo posteriore al Concilio di Firenze e, nonostante l'arricchimento apportato da dotti teologi greci e da altri esponenti della cultura orientale, dopo il 1453.

Conosciamo già inoltre l'irrigidimento canonistico e scolastico-barocco, sotto Paolo IV, e anche il fatto che, nel lavoro missionario dei secoli XVI e XVII, si desistette dal saggio adattamento alla tradizione degli autoctoni ( riti malabarici, § 94, 6 c ).

In breve: in Occidente non si riconobbe con saggio discernimento la peculiare fisionomia dell'Oriente.

E il suo fruttuoso riaccostamento dipendeva proprio da ciò.

Solo una chiara coscienza di questa situazione avrebbe infatti potuto dare la spinta al necessario e giusto adeguamento ( § 5, I ) e avrebbe potuto indicare le giuste vie da seguire.

3. Non si può negare che il timore degli orientali, che cioè l'unione con Roma potesse portare a dolorose limitazioni, era confermato da unioni già avvenute.

Abbiamo incontrato certe forme di latinizzazione che dovremmo ritenere inconcepibili anche per l'alto Medioevo, pur così lontano dal pensare con adeguate categorie storiche: mi riferisco alla conquista della cristiana Costantinopoli da parte dei crociati ( e al come fu conquistata ), all'erezione di un patriarcato latino, al quale furono subordinati i vescovi bizantini, e anche all'istituzione di monasteri latini nella capitale dell'ortodossia.

Fu una latinizzazione forzata.

E tale fu pure l'azione di Niccolo I, che mandò in Bulgaria ( che a norma del canone 28 di Calcedonia, era aggregata al patriarcato di Costantinopoli ) dei missionari, i quali introdussero le consuetudini latine e, per esempio, dichiaravano nulla la cresima amministrata da sacerdoti greci, e pertanto ne ripetevano l'amministrazione.

Per troppo tempo, dominò quella poco illuminata esigenza di latinizzazione, secondo cui soltanto il cristiano latino era il perfetto cattolico; alcuni missionari del XIX secolo, con troppa leggerezza, posero addirittura gli ortodossi sullo stesso piano dei protestanti eretici; si esigeva con soverchio zelo che i riti e la vita dei sacerdoti si conformassero all'Occidente; si esportò in Oriente troppa spiritualità e teologia occidentale già bell'e pronta ( fino alla nota paccottiglia religiosa scadente, sdolcinata ed esangue, delle immagini e dei simboli sacri ).

Mancò spesso la comprensione piena di amore; e poiché troppo spesso la verità fu predicata e realizzata senza l'amore necessario e, all'occorrenza, anche umile ed eroico, il lavoro per l'unione non ha raccolto e costruito nel senso del mandato missionario, anzi spesso ha disperso e indebolito.

4. Il patriarca cattolico-greco Maximos IV « di Antiochia, di Alessandria, di Gerusalemme e di tutto l'Oriente » ha riassunto in questi termini la questione in occasione di un pubblico discorso:337 si potrebbe quasi dire, senza esagerare, che i legami fra la chiesa romana e le diverse chiese orientali furono completamente interrotti il giorno in cui Roma, divenuta impaziente o disperando di una riunificazione globale, accolse nella sua unità singoli gruppi orientali, ai quali essa riconobbe una propria gerarchia e una propria organizzazione.

5. È una fortuna che oggi si possa definire la latinizzazione come un fenomeno sempre più appartenente al passato ( P. Clement ).338

Nel frattempo, infatti, vaste zone della Chiesa hanno riconosciuto, dopo le audaci direttive di Pio XI ( 1931 ), quanto sia indispensabile un ragionevole adeguamento alle peculiarità culturali dei popoli, per un fecondo annuncio dell'unica verità.

I pontefici, a partire da Leone XIII, hanno celebrato il carattere particolare dell'Oriente e dei suoi valori, sia nella pietà ( specialmente nella liturgia e nel monachesimo ), sia nella teologia e nella formazione del clero ( pur con le prudenti riserve relative, ad es., alla questione così delicata del clero non celibatario che esige una trattazione tutta particolare ).

Non si tratta di non vedere gli aspetti negativi della parte orientale.

La singolarità della chiesa orientale è il vincolo straordinariamente forte, anzi sostanziale con un carattere nazionale e con la sua forma politica.

Qualcosa di simile l'abbiamo incontrato anche nella storia del cristianesimo occidentale.

Ma le connessioni e le interferenze in Oriente sono più complesse e hanno radici più profonde.

I greci, così come i popoli slavi ed altri, possiedono un sentimento nazionale più esplosivo delle nazioni, grandi o piccole, occidentali.

Una considerazione cristiana della storia della Chiesa non può accettare questo fatto come ovvio; una delle istanze essenziali del cristianesimo infatti, è quella di essere sovrannazionale; a siffatta natura appartiene pure la sua unità.

E tuttavia è una realtà, più volte documentata, e che irrita l'osservatore cristiano, il fatto che la disposizione di talune parti di questa o di quella chiesa ortodossa a ricomporre l'unità esteriore con la Chiesa-madre di Roma, è stata sempre trasformata, dalle parti della stessa chiesa a ciò non disposte, in una questione di sicurezza nazionale, inducendo a trattare e a designare come spie, come traditori, coloro che erano disposti all'unione e a tacciarli di infedeltà alla nazione.

Questo complesso si esprime, appassionatamente, nel fatto che i cattolici latini, entro il territorio di una chiesa ortodossa, furono considerati più sopportabili degli orientali uniti a Roma.

6. a) Non sarebbe da cristiani e non corrisponderebbe ad un'analisi teologica della storia della Chiesa se, a cospetto di queste deficienze, si volesse rinfacciare ai bizantini la loro secolare e così opprimente grecizzazione, con la quale essi, al tempo delle crociate, indussero gli armeni e i giacobiti a parteggiare per i latini.

Ne il problema perde della sua gravita per il fatto che le Chiese orientali, tanto spesso, abbiano mostrato le stesse ostili reazioni contro le missioni protestanti ( per es. libere chiese protestanti di provenienza inglese o nordamericana in Grecia, nel vicino Oriente e in Egitto ).

Perfino i molti tenaci tentativi degli ortodossi di rompere da parte loro ( usando i più svariati mezzi esteriori ) le file degli uniati339 - prescindendo dalla coercizione che naturalmente non è mai giustificabile - parlano comunque in favore degli ortodossi: essi cercavano, in ultima analisi, di ricomporre lo stato iniziale, di ostacolare un'occidentalizzazione ( per es., un'ungarizzazione ) e con ciò un indebolimento della comunità etnica.

b) È giusto e necessario, tuttavia, riconoscere che il fenomeno dell'Unione ha in sé anche aspetti positivi.

Va considerata innanzitutto la questione nella sua globalità prescindendo dal successo o dall'insuccesso.

L'unione è semplicemente un dovere secondo la preghiera sacerdotale ( Gv 17 ) del Signore.

Nel tentativo di portarlo a compimento, il problema dell'adeguamento urta col duro limite della convinzione religiosa e con la necessità dell'intolleranza dogmatica, in tutto ciò che è fondamentale.

c) Per quanto le suaccennate unioni presentino sempre qualche deficienza, esse sono, attraverso i secoli, una confortante testimonianza di unità e di ricerca dell'unità.

Dobbiamo ricordare, infine, che il lavoro d'unione ha come protagonisti anche degli uomini prudenti e moderati.

Ricordiamo, ad es., il gesuita d'Aultry, che nel XVII secolo lavorò nelle isole del Dodecanneso in armonica collaborazione con la gerarchia indigena e che in confessione si accontentava della dichiarazione del penitente di professare la fede di san Basilio, di Giovanni Crisostomo e dei padri conciliari.

La soppressione dell'ordine dei gesuiti e la rivoluzione francese, però, causarono anche qui, come ovunque, regressi e restrizioni.

d) Per amore di giustizia è pure necessario ricordare che le missioni cattolico-romane fecero molto per la cultura dei popoli del vicino Oriente.

Esse portarono scuole e cultura per tutti.

È merito delle scuole e dei maestri cattolici se il Libano è il paese più colto dell'Oriente.

E, anche oggi, gli arabi cristiani sono i pionieri del rinnovamento culturale del paese, attraverso istituti di educazione venuti dall'Occidente.

A questo proposito va notato che le chiese unite, in complesso, possiedono oggi un clero colto e degno.

Potremmo valerci, quindi, del giudizio di un religioso illuminato e molto critico: le comunità orientali unite a Roma « sono portatrici di un compito profetico: preparare il posto che di diritto spetta a tutto l'Oriente nella cristianità, in un giorno futuro visibilmente unita…, occupare un posto dal quale saranno ben felici di ritirarsi quando sarà giunta l'ora » ( P. Clement ).

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337 Tenuto a Dusseldorf il 9 agosto 1960.
338 Un esempio di superamento dello spirito di proselitismo fu, da parte cattolica, il riconoscimento del vescovado anglo-prussiano di Gerusalemme nel 1841.
La concentrazione di tutti i cristiani non cattolici, sotto un vescovo di rito anglicano, ebbe luogo con il riconoscimento esplicito dei diritti tradizionali delle antiche sedi episcopali ortodosse e rinunciando ad ogni tentativo di missione fra gli ortodossi.
339 In Cecoslovacchia, in Lettonia, russificazione forzata in Estonia.