Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo quinto - XI

XI. Atteggiamenti spirituali in causa

Sullo sfondo di queste apologetiche si disegnano, come in filigrana, atteggiamenti spirituali diversi.

Su questo punto possiamo avvicinare Pascal e Blondel, che contrastano con Teilhard.

Teilhard, per conto suo, si entusiasma davanti al progresso, davanti alle conquiste dell'intelligenza, davanti all'unificazione progressiva dell'umanità.

L'aspirazione all'unità è quella della noosfera: è una impresa d'unanimizzazione, d'amorizzazione, di cui la Chiesa è il mezzo e il risultato.

Ma questa aspirazione all'unità non ha il patetico dell'aspirazione della persona verso Dio.

Il cammino della Chiesa, in Teilhard, non ha il carattere drammatico di un cammino di peccatori perdonati, di una Chiesa reformata et semper reformanda.

Il Cristo di Teilhard riveste le caratteristiche del Pantocrator piuttosto che i lineamenti del Salvatore e del Giudice.

È il Cristo cosmico, motore e scopo dell'evoluzione.

Teilhard, che è uno spirituale serio, vedi un mistico, non nega evidentemente il rapporto personale, diretto, immediato, della persona alla persona del Cristo, ma questo Cristo passa al secondo piano, dopo il Cristo cosmico.

Teilhard non nega il peccato, ma non si ferma a studiare il male che è nel cuore dell'uomo, il peccato che è rivolta e rifiuto di Dio.

Il peccato è considerato più in riferimento diretto al progresso del mondo che in riferimento a Dio.

Teilhard da a volte l'impressione che il male è come la frangia inevitabile del progresso o come il sottoprodotto di una evoluzione che non potrebbe funzionare senza una certa percentuale di scarti ( decomposizione fisica nei previventi, sofferenza nei viventi, peccato nell'uomo ).

L'equivoco viene dal fatto che Teilhard integra male la prospettiva personalistica nella sua prospettiva evolutiva e universalistica.

Il peccato non potrebbe essere « ridotto a un sotto-prodotto, inevitabile statisticamente, dell'Unificazione del multiplo ».2

L'evoluzione, arrivata al livello dell'uomo, si fa mediante atti liberi e quindi morali.

Perciò non si potrebbe applicarle la legge sempre crescente della cosmogenesi, con la sua proporzione di scarti.

È contestabile il dire che « la sintesi scientifica dell'uomo si prolunga tanto necessariamente in progresso morale quanto la sintesi chimica delle sostanze proteiche in manifestazioni biologiche ».3

Progresso morale e peccato sono legati al mistero della persona e della sua libera personalità: come tale la persona sfugge al determinismo statistico.

In breve l'assunzione del peccato da parte della prospettiva universalistica, evolutiva, conduce Teilhard a identificare evoluzione e redenzione, a minimizzare il peccato come mistero della persona e della libertà.

Il mondo peccatore, l'uomo peccatore, questa dimensione che l'evoluzione non basta a spiegare, manca a Teilhard.

La vittoria del Cristo cosmico fa dimenticare la vittoria del crocifisso e del risorto sul peccato e sulla morte.

Nello stesso senso, la gratuità dei doni di Dio, la sua libera iniziativa nella creazione, nell'incarnazione, nella redenzione, sono sottolineate in modo insufficiente.

La debolezza di Teilhard è stata di tradurre, senza sufficiente precisione, le realtà spirituali e religiose in un linguaggio che le mantiene troppo in dipendenza delle forze cosmiche di un universo in progresso.

Il linguaggio del paleontologo e del biologo non basta da solo a esprimere il mistero del peccato e della salvezza.

Teilhard era allergico alla tecnicità del linguaggio teologico: atteggiamento spiegabile forse per le delusioni dell'insegnamento che ricevette.

È certo che si esprime su soggetti religiosi importanti ( peccato originale, redenzione, incarnazione ) senza strumenti teologici sufficienti.

Per Pascal, come per Blondel del resto, la grandezza del cosmo e del progresso tecnico non fanno che rendere più patetico il grido dell'uomo verso un liberatore, un salvatore.

È il cuore dell'uomo, è la sua vita interiore, che non potrebbe bastare a se stessa e che grida verso l'infinito.

Pascal, come Blondel, per definire la vera grandezza dell'uomo, fa appello a ciò che è stato fatto da Dio e che non può rinascere che per la grazia di Dio.

Per Pascal, un Cristo che apparirebbe come il termine dell'evoluzione, sembrerebbe inutile tanto quanto il Dio dei filosofi.

Ciò di cui l'umanità ha bisogno, è di un Salvatore, e non di un Cristo evolutore; è di un Cristo che riconduce l'uomo alla sua giusta relazione con Dio, tutto il resto è un di più.

Non basta all'uomo di « progredire » per liberarsi dal peccato: il male è nel cuore dell'uomo, e nessun progresso tecnico gli darà Dio, se non la grazia di Cristo, che gli viene dal sangue, dalle lacrime e dalla passione del Redentore, che si rivolge a ciascuno nell'intimo del cuore, al di là delle forze della natura e della storia.

Per Pascal, l'universo coi suoi tre infiniti, di fronte alla miseria dell'uomo, è un falso infinito.

Non c'è bisogno di ingrandire un Cristo che porta all'uomo l'infinito della Carità.

Cristo resta sempre il maestro del cosmo e dell'umanità, dell'ordine dei corpi e delle intelligenze.

Ma, in un certo senso, questo è secondario.

La grandezza vera del Cristo è quella che ha voluto rivelarci lui stesso: cioè quella del suo amore, del suo sacrificio, della sua oblazione che ci salva dal nostro egoismo.

L'ordine del Cristo e della grandezza è quello nel quale egli appare e ha voluto apparire: quello della carità.

Quando san Paolo, nella lettera agli Efesini ( Ef 3,18-19 ), svela le dimensioni infinite del mistero di Dio, si tratta di dimensioni dell'« amore di Cristo » che supera ogni conoscenza.

La funzione di Cristo, è di farci entrare in questo ordine della carità.

E la sua vittoria finale è quella del suo amore crocifisso e vivificante.

Questo, Teilhard non lo nega sicuramente, ma non lo mette in rilievo, perché il suo obiettivo e i suoi destinatari sono diversi.

Blondel, come Pascal, è attento innanzitutto a scrutare il vuoto del cuore e del volere, per aprire e spalancare nell'uomo il desiderio dell'infinito.

Pascal e Blondel raggiungono Agostino.

In fondo, ci troviamo di fronte a due atteggiamenti spirituali, contrastanti, e, di conseguenza, a due tipi di apologetica.

Teilhard vuole condurre al Cristo universale, non soltanto lo scienziato che egli è, ma tutto se stesso, col suo entusiasmo per l'uomo e la sua azione sulla terra.

Per Pascal, come per Blondel, tutto è spazzatura, fuorché Cristo.

Pascal è stato afferrato, « preso in mano » da Cristo.

Per lui la vita è in Cristo, il progresso è in Cristo.

In fondo ciascuno vuole condurre il non-credente al Cristo al quale si è lui stesso convertito: al Cristo cosmico, ingrandito, universale, Teilhard; al Cristo salvatore della condizione umana, dell'agire umano, Pascal e Blondel.

Il contrasto è sicuramente grande tra questi due atteggiamenti, ma non traducono forse la tensione che è nel cuore di ogni cristiano contemporaneo: tensione tra l'interiorità personale, da una parte, misurata attraverso la nostra debolezza incommensurabile e, dall'altra, il mondo della tecnica, della collettività umana che ci solleva e ci inebria?

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2 Réftexions sur le peché or i gì nel, 1947, Oeuvres 10, p. 228.
3 Science et Christ, 1921, Oeuvres 9, p. 59.