Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo decimo - V

V. Liberazione umana, salvezza e libertà

Nel Nuovo Testamento, i cristiani sono « chiamati alla libertà » ( Gal 5,13 ) e l'azione salvifica di Cristo è definita come una « liberazione » ( Gal 5,1 ) o una « redenzione » ( Mt 20,28 ).

Cristo, liberandoci dalla carne, dal peccato, dalla morte, da Satana, ci ha reso la vera libertà, quella dei figli di Dio.

Negli ultimi decenni, tuttavia, si nota, nel linguaggio corrente, e anche nel linguaggio teologico, uno slittamento del significato.

Sotto l'influenza del pensiero contemporaneo, ipersensibile ai problemi dell'oppressione e della liberazione sociale, si è inclini a identificare salvezza e liberazione sociale.

Si concepisce la salvezza come la pienezza della libertà, ma insistendo sulle condizioni che permettono di realizzarla, in particolare la liberazione dalle oppressioni sociali, politiche, economiche.

Si giunge fino ad accordare minore importanza all'oppressione della libertà religiosa che alle forme di oppressione sociale.

Inoltre si scaricano sulle strutture le colpe delle persone; si finisce per dimenticare che la salvezza è personale: « Cristo mi ha amato e si è sacrificato per me ».

La salvezza è per me, così come il peccato è mio.

Le strutture, certo, favoriscono la salvezza, ma non salvano.

Le liberazioni esteriori sono delle condizioni, ma non dicono l'essenziale.

Vi è salvezza, quando la libertà dell'uomo si rivolge verso Dio e, come Maria, l'accoglie e gli risponde.

Inoltre, si dimentica che la salvezza promessa da Cristo, non è sulla terra, ma nell'aldilà.

Altrimenti si ritorna al concetto dell'Antico Testamento per il quale la salvezza era la Terra Promessa, la prosperità materiale.

Notiamo che, nel Vangelo, la liberazione dalla malattia è in vista della conversione, della salvezza.

Cristo guarisce i corpi, libera dalla malattia, ma in vista di un incontro e di una comunione.

Qual è dunque il posto delle liberazioni umane o temporali nella salvezza cristiana?

Molti dei nostri contemporanei vogliono « liberarsi » dalle loro alienazioni, oppressioni e miserie, ma non ci tengono molto a essere « salvati ».

La nozione di liberazione tende a soppiantare quella di libertà, perché la libertà appare astratta, statica, individuale, soprattutto dopo la critica fatta dal marxismo della libertà delle società liberali, borghesi, capitaliste.

La liberazione, al contrario, è collettiva, dinamica, implica la presa di coscienza di una situazione d'oppressione, cioè di schiavitù, e una volontà di uscirne che significa combattimento.

È così che si parla di liberazione socio-economica, di liberazione dei popoli colonizzati, di liberazione della donna, di liberazione sessuale.

Dopo le teologie dello sviluppo, della rivoluzione, si assiste ora a una proliferazione delle teologie della liberazione.

Liberazione è il nuovo nome della salvezza.

I movimenti di autentica liberazione umana rientrano nel progetto di Dio e ne fanno parte.

Il Sinodo del 1971 è stato categorico su questo punto: occorre liberare l'uomo dal peccato personale e dalle sue conseguenze nella vita sociale.

« La Chiesa, dice il Sinodo, ha ricevuto da Cristo la missione di predicare il messaggio evangelico che comprende la vocazione di convertirsi dal peccato all'amore del Padre, alla fraternità universale e, di conseguenza, all'esigenza della giustizia nel mondo.

Perciò la Chiesa ha il diritto e il dovere di proclamare la giustizia su scala sociale, nazionale e internazionale, e di denunciare le situazioni d'ingiustizia quando i diritti fondamentali e la salvezza stessa dell'uomo lo esigono ».15

La salvezza che Cristo dona si trova nella conversione alla grazia di Dio e alla giustizia verso il prossimo.

Dissociare carità cristiana e giustizia sarebbe una perversione dell'amore cristiano, perché la giustizia è, appunto, la prima esigenza della carità.

Rispettare effettivamente il prossimo nella sua dignità personale e nei suoi diritti inalienabili, è amarlo concretamente.

Lungi dal sopprimere le esigenze della giustizia, il vero amore cristiano le interiorizza e le radica in fondo al cuore: l'amore diventa l'anima della giustizia.

I cristiani devono quindi prendere la loro parte, con gli altri uomini, nelle liberazioni che il mondo ha la possibilità di realizzare, perché mancherebbero al progetto di Dio, se non portassero al riondo ciò che lo deve salvare dalle sue miserie come dai suoi peccati.

Se dunque si può parlare di unità profonda tra queste due liberazioni, ciò non implica che ci sia tra loro identità pura e semplice.

Se è vero che la libertà liberata lavora alla liberazione dalle forze d'ingiustizia, quest'ultima non conduce automaticamente al riconoscimento della salvezza in Gesù Cristo.

Solo la libertà, dono di Dio, impedisce di ridiventare schiavi a coloro che libera.

La liberazione sociale non si prolunga in avvenimento del Regno, come una fase si prolunga in un'altra, secondo un processo omogeneo.

La salvezza in Gesù Cristo promette un avvenire assoluto, una vita senza declino.

Questo compimento escatologico non è indifferente al progresso umano, ma questo non ne è il risultato naturale.

Di fatto, la Chiesa non identifica mai liberazione umana e salvezza in Gesù Cristo ( Ev. nuntiandi, n. 35 ).

Le liberazioni umane si compiono mediante strumenti della tecnica, della politica, dell'economia.

Ora, Cristo « libera », ma a una profondità che non raggiungono le liberazioni economico-politiche: egli porta una « speranza » che supera ogni « attesa » umana.

Se si può dire che la salvezza è liberazione, non si potrebbe dire che la liberazione sociale sia la salvezza.

L'uomo ha delle aspirazioni che vanno ben al di là della realtà sociale e terrestre; porta in sé un'apertura all'Assoluto che non può colmare da sé.

La verità è che le due forme di liberazione sono insieme distinte e profondamente unite, perché è lo stesso essere umano che si deve liberare dalle due servitù.

La liberazione cristiana s'incarna nelle liberazioni umane, che essa assume, quando sono giuste, ma nello stesso tempo le vivifica, le purifica, le sublima, infondendo loro uno spirito nuovo, che è lo Spirito d'amore.

La salvezza cristiana non può prescindere dalla liberazione umana e non si potrebbe parlare di vera liberazione escludendo la salvezza cristiana.

La salvezza cristiana, infatti, se è ben capita, comprende liberazioni parziali e necessarie: « Mancando ai suoi obblighi terreni, il cristiano manca ai suoi obblighi verso il prossimo, anzi, verso Dio stesso e compromette la sua salvezza eterna » ( GS 43 )

La novità radicale del cristianesimo risiede nel fatto che in Gesù Cristo c'è data la possibilità di condurre una nuova esistenza, perché siamo liberati dal peccato e dalla morte, partecipando alla vita stessa di Dio.

Portandogli la liberazione, Cristo rivela all'uomo sia che la sua libertà è prigioniera sia che deve rinascere dall'alto per accedere alla vita eterna ( Gv 3,3 ).

Il cristiano sa che il peccato, causa ultima di ogni servitù, personale o sociale, risiede nel cuore dell'uomo, nel suo atteggiamento di autosufficienza.

Attraverso la sua vita, tutta orientata verso il Padre, Cristo ci rivela la vera strada della nostra libertà: abbiamo bisogno di un amore che viene a noi rinnovandoci radicalmente.

La vera liberazione, che è salvezza, è diversa dalla nostra rivendicazione, che è un grido per difendere i propri diritti, dalla emancipazione, dalla liberazione sociale e politica, compiuta dall'uomo con le sue sole forze.

Ogni liberazione, per essere valida, deve essere determinata in ultima analisi dalla liberazione in Gesù Cristo, che è liberazione dal peccato.

Per il marxismo, al contrario, il processo di liberazione si costruisce solo mediante l'uomo.

Il vero salvatore dell'uomo è l'uomo.

Il cristianesimo ricorda che ogni uomo ha un valore assoluto agli occhi di Dio: è perché partecipa alla vita della Trinità che non può essere schiavo, anche se la sua condizione sociale ne fa un asservito.16

Il Cristo delle beatitudini non promette improvvisamente la sovrabbondanza dei beni temporali, come se il povero dovesse diventare ricco.

Non si tratta neppure di fare degli oppressi di ieri gli oppressori di domani.

Ordinariamente, non vi sarà altro miracolo economico in favore del povero che la condivisione di cui il Vangelo fa un tanto grave dovere ( Mt 25,41-46 ).

I ricchi sono invitati a farsi un'anima da poveri, che permetterà loro di condividere i loro beni con gli affamati; i poveri, da parte loro, sono invitati a non farsi un'anima da ricchi, cioè a non volere allo stesso tempo la beatitudine del povero e il conforto materiale del ricco.

Per Cristo, la condizione sociale non basta a definire la salvezza.

La nuova relazione istituita dal Vangelo, è l'appartenenza a Cristo vissuta in qualsiasi regime sociale.

Ciò che la Chiesa annuncia è infinitamente di più che la liberazione economica: essa propone il tesoro incomparabile che è Cristo ( At 3,6 ).

Ma essa annuncia già il Regno che verrà vivendo la condivisione dei beni ( At 4,32-35 ).

È così che la Chiesa primitiva cerca di vivere concretamente questa speranza di una maggiore giustizia per i poveri che essa sente legata alla sua missione.

Questa condivisione dei beni è il frutto naturale dell'appartenenza a Cristo, il povero e beato per eccellenza, e della comunione nell'amore realizzata dallo Spirito della Pentecoste.

È lui, lo Spirito d'amore che agisce in fondo ai cuori e spinge i cristiani alla condivisione spontanea ( 1 Gv 3,17 ).

« Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri …

Per il momento la vostra sovrabbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza » ( 2 Cor 8,13-15 ).

La vera liberazione sociale è frutto dello Spirito d'amore: non gli uni contro gli altri, non gli uni senza gli altri, ma gli uni con gli altri, nell'amore.17

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15 SINODO DEI VESCOVI, La giustizia nel mondo (1971).
16 Y. CONGAR, Un Peuple messianique. Salut et libération, Paris, 1975, pp. 146-195 itracl. it. Un popolo messianico, Queriniana, Brescia, 1976); J. ROLLET, Libération sociale et salut chrétien, Paris, 1974, pp. 180-186.
17 E. HAMEL, « Le Magnificat et le renversement. des situations », Gregorianum 60 (1979), pp. 55-84.