Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo decimo - IV

IV. La vita cristiana, vocazione alla libertà

San Paolo è chiaro: diventando cristiani è una vocazione alla libertà che noi abbiamo ricevuto ( Gal 5,13 ).

Senza la grazia di Cristo, infatti, la libertà è prigioniera; animato invece dallo Spirito di Cristo, il cristiano si trova liberato da tutte le costrizioni esteriori, liberato dalla sola vera schiavitù, quella del peccato.

L'uomo aspira alla libertà, ma è cosciente del fallimento delle sue aspirazioni.

Aspira a liberarsi da ogni alienazione; ma incontra intorno a sé soltanto l'oppressione multiforme: economica, politica, psicologica, spirituale.

Inoltre, tutto quanto inventa per liberarsi ( tecniche, sindacati, svaghi ), lo conduce a una nuova schiavitù.

All'origine di questo fallimento vi è il peccato, cioè l'uomo stesso disunito, diviso, in mano all'ostilità della carne e dello spirito, complice del male, in stato di conflitto cronico.

La libertà è prigioniera, all'interno come all'esterno.

Per liberarla, si deve trasformare l'uomo, perché sono le radici stesse dell'uomo che sono colpite.

Si deve operare una rifusione totale dell'essere, una vera rinascita nello Spirito ( Gv 3,5 ).

Questa grazia è un dono iniziale, che deve essere seguito da una conquista.

Infatti, mediante la grazia, le radici della libertà sono deposte nell'anima, come in germe, ma esse chiedono di crescere e di fortificarsi.

Tutto è trasformato, in un certo senso e, tuttavia, tutto resta da fare.

Il fondo dell'anima è cristiano, ma tutto il resto è da evangelizzare.

Più egli lotta contro le sue passioni e le padroneggia, più si libera dei suoi legami, più si libera.

Più l'influenza di Cristo cresce e matura in lui, e l'amore diventa il principio della sua azione, più la sua vita diventa comunione con Dio e con la sua volontà.

L'amore lo inclina secondo le sue esigenze e lo fa agire in piena libertà.

La timida e fragile libertà dei primi giorni diventa poco a poco libertà agile e vigorosa dei figli di Dio.

Poiché la persona è fatta per realizzarsi unendosi a Dio, ormai essa risponde alla sua vocazione.

Non vi è più dualità in essa, perché fa ciò che ama e ama ciò che deve.

La libertà cristiana è una libertà liberata ".11

È San Paolo che descrive meglio questa condizione del cristiano sotto la nuova legge, che paragona alla legge dell'Antico Testamento.

A dire il vero, il cristiano non vive più sotto la legge, perché è l'amore che lo muove.

« Se lo Spirito vi anima, voi non siete più sotto la legge » ( Gal 5,18 ).

« Voi non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia » ( Rm 6,14 ).

Se è così, è che « la legge dello Spirito che da la vita, mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte » ( Rm 8,2 ).

Non si tratta di sostituire al codice mosaico, un codice più perfetto.

La nuova legge differisce radicalmente dall'antica, perché si identifica con la persona stessa dello Spirito e con la sua attività in noi: essa è un dinamismo nuovo, messo in noi dallo Spirito.

San Paolo a volte parla di legge e di grazia.

Quando parla di nuova legge si riferisce a Geremia: « Ecco l'alleanza che io concluderò con la casa d'Israele: porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore » ( Ger 31,33 ).

Ma è lo Spirito stesso che è la nuova alleanza, operando in noi l'amore, pienezza della legge.

Al codice dell'antica legge risponde, non un nuovo codice, ma il dono dello Spirito.

Ricevendo lo Spirito che agisce in lui, il cristiano diventa capace di camminare secondo lo Spirito d'amore, cioè conformemente a ciò che la legge antica esigeva senza riuscirvi.

Se il cristianesimo si riconduce all'amore ( Gal 5,14 ), è che l'amore, più ancora che un comandamento è un dinamismo, una forza d'azione.

Senza amore la legge non poteva giustificare.

Si capisce come il cristiano, dal momento che è animato dallo Spirito, possa insieme essere liberato da ogni legge esteriore e condurre una vita perfettamente morale e virtuosa: « Lasciatevi condurre dallo Spirito e non rischierete di soddisfare la cupidità della carne » ( Gal 5,16 ).

Colui che è animato dallo Spirito d'amore, evita come d'istinto tutto ciò che è carnale ( Gal 5,19-21a ).

« I frutti dello Spirito e dell'amore sono la pace, la gioia, la bontà, la dolcezza, la padronanza di sé » ( Gal 5,22 ), in breve tutto il corredo delle virtù cristiane.

Senza aver bisogno di una legge che li obbliga dall'esterno, il cristiano, animato dallo Spirito, compie tutta la legge per amore.

Senza dubbio occorre evitare di cadere nell'utopia.

Cristo, infatti, non è venuto ad abolire, ma a dare compimento.

Il battesimo è una nascita, ma non un completamento.

Cristo vive in noi, ma il vecchio io sopravvive sempre.

L'unzione dello Spirito non ha ancora penetrato tutte le pieghe del nostro egoismo tenace.

La legge è interiore, ma richiede di essere interiorizzata più profondamente ancora.

Noi siamo cristiani, ma esistono ancora in noi zone di paganesimo.

Siamo figli di Dio, ma non ancora nella gloria dei figli di Dio.

Perciò la legge mantiene la sua utilità, anche per i giusti, perché fintanto che siamo « in cammino » la nostra libertà resta esposta e può fallire.

Il comandamento dell'amore è essenziale, ma l'essenziale non tutto.

Occorre camminare sul terreno accidentato della vita quotidiana.

Perciò il Vangelo abbonda in direttive pratiche ( perdono, servizio, umiltà, ecc. ).

Cristo stesso evoca il Decalogo di fronte al giovane ricco.

I comandamenti di Dio e della Chiesa, lungi dall'opporsi al comandamento dell'amore, ne sono come la mediazione necessaria e la traduzione concreta.

Gli obblighi distinti che contiene precisano e attualizzano il precetto generale dell'amore seguendo il dettaglio della nostra vita.

L'apertura all'infinito dell'amore non rende dunque inutile una certa segnalazione, per non perdersi nelle nebbie e rischiare il naufragio.

I comandamenti rimangono, ma mentre l'ebreo dell'Antico Testamento, dimenticando lo spirito, spesso non leggeva che un testo, il cristiano è in presenza di una Persona vivente: questa è la grande novità.

La legge, è Cristo, amore vivente del Padre per noi.

Ora Cristo abita in noi mediante la fede ( Ef 3,17 ).

« L'amore di Cristo ci spinge » ( 2 Cor 5,14 ).

È l'amore della persona di Cristo che ispira tutto, che vivifica tutto; che ci fa agire secondo i precetti, non per pura osservanza, ma per amore.

Le infrazioni diventano allora mancanze all'amore.

Non siamo più nel moralismo, ma nella reciprocità dell'amore.

Vivere da cristiani, è adottare lo stile di vita di Cristo, il Figlio in persona venuto a insegnarci a vivere una vita di figli; è adottare le vedute e i gusti di Dio.

« Vivete nella carità, nel modo che Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi » ( Ef 5,2 ).

A questa condizione, il cristiano è libero, perché « là dove è lo Spirito del Signore, là è la libertà » ( 2 Cor 3,17 ).

Il cristiano ama tanto che non può non fare, non volere ciò che vuole Dio e Cristo.

La vita cristiana non è senza norme, ma al di là delle norme.

Essa è una schiavitù d'amore, frutto dello Spirito di Dio e dunque sovrana libertà.12

Così la grazia, lungi dall'essere un attentato all'autonomia, guarisce e perfeziona la libertà, per, condurre alla libertà divina ( Rm 8,21 ): supera tutti i sogni, tutte le ambizioni degli umanesimi contemporanei.

La grazia, infatti è la stessa di Dio che si comunica alla sua creatura per rigenerarla nel suo libero volere.

La grazia, in seno al volere dell'uomo, è l'irradiazione della carità divina, che tocca l'operazione volontaria nel suo primo progetto, per santificare, alla sua stessa sorgente, ogni attività che procede da questo primo amore.

La carità nel cuore della creatura diventa una partecipazione all'amore divino, tale che lo spirito creato si mette ad amare Dio come Dio stesso, in virtù della sua pura bontà, e tutte le cose per amore di lui.

Questa carità che è puro dono, è come un innesto su Dio stesso ( Gv 15,3-11 ).

È un'impulsione, una ispirazione dello Spirito divino nel cuore della creatura, che fa vivere l'uomo al ritmo della vita di Dio, che lo anima dello stesso soffio, che lo fa entrare in comunione col Padre e il Figlio, per farne un figlio di Dio, « perché tutti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio » ( Rm 8,14.29; Gal 4,6 ).

Come Dio, creando l'uomo a sua immagine, gli ha dato un amore del bene in generale, che fa da base a un amore naturale di Dio, così, mediante la grazia Dio infonde nell'uomo un amore mediante il quale egli ama Dio per se stesso e ogni cosa a causa di lui.

Quest'amore perfeziona la volontà e l'eleva al di sopra della sua natura: l'uomo passa così dalla condizione di servo a quella d'amico ( Gv 15,15 ), di .commensale del Figlio ed erede del suo Regno.

La carità guarisce la libertà conferendole la vita divina ( Rm 5,21 ).

Liberato dal suo egoismo, dalla schiavitù delle sue passioni, l'uomo ritrova la sua autonomia, la sua signoria sulle altre creature ( Rm 6,22 ).

Questa liberazione totale, tuttavia non sarà compiuta che nella patria, nell'intimità della vita trinitaria, allorché l'anima, possedendosi perfettamente, potrà ridonarsi totalmente a Dio, nei legami di un amore reciproco.

Il capolavoro della grazia è di mettere la creatura in un possesso così completo di se stessa e di tutti i suoi valori, che essa può donarsi completamente a colui in cui risiede la pienezza di tutte le cose.

Più la volontà si trova accordata alla vita divina, animata da una stessa aspirazione, più essa fa comunione con questa sovrana libertà, che è quella di Dio: « Là dove è lo Spirito del Signore, là è la" libertà. » ( 2 Cor 3,17 )

É importante sottolineare una volta di più che la grazia non è una costrizione, un'intrusione, un intervento minacciante, una pressione esteriore, ma un'attrattiva interiore, la più dolce, la più intima, la più potente che ci sia: è la voluttà del cuore.

Sant'Agostino ha così mirabilmente descritto questa attrattiva divina: « Non pensare che sei attratto malgrado tè; perché l'anima è attratta dall'amore …

Ma come può essere che per volontà mia io credo, se sono attratto?

E io dico: è poco dire che è secondo la mia volontà, è mediante l'attrattiva della voluttà che sono attratto.

Che cos'è l'attrattiva della voluttà?

Dammi qualcuno che ama e capirà quello che dico; dammi un essere che desidera, dammi un essere che ha fame, dammi un essere errante e assetato in questa solitudine e che sospira di incontrare la sorgente dell'eterna patria; dammi un tale essere e lui saprà ciò che dico …

Presentate un ramo verde a una pecora e l'attirate.

Che si mostrino delle noci a un bambino e ne è attratto: e la prova che è attratto è che corre, è dall'amore che è attratto, è dai legami del cuore che è attratto.

Se dunque quelle cose attirano rivelandosi a chi le ama come delizie e voluttà terrene, poiché è vero che ciascuno è attirato dalla sua voluttà, come si può rifiutare di dire che egli, il Cristo rivelato dal Padre, attrae?

Infatti che cosa desidera più ardentemente l'anima se non la verità? ».13

La creatura si sente deliziosamente attratta da un obbligo che non è una costrizione, ma un legame d'amore.

La volontà tende con tutta la sua forza verso Dio, ma mediante uno slancio d'amore, e nello stesso tempo, verso il suo maggior bene, verso la sua perfezione.14

Al vertice del mistero regna una così profonda unità che va fino all'identità tra la legge, la grazia e la libertà perfetta.

Paradosso di Dio, Cristo concilia nella sua persona tutte le antinomie identificandole nell'amore, nell'agape.

Ora, mediante la sua unione a Cristo, il cristiano riceve lo Spirito, fonte zampillante dove si dissetano tutti coloro che credono in lui, liberati dalla Verità che egli è: « La verità vi renderà liberi » ( Gv 8,32 ).

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11 J. MOUROUX, La liberto chrétienne, pp. 99-113
12 S. LYONNET, «Liberto chrétìenne et Loi de l'Esprit selon S. Paul», Christus 4 (1954), pp. 6-27; G. SALET, «La loi dans nos coeurs », in Le Christ notre vie, Tournai-Paris, 1958, pp. 137-199; J. JULIEN, L'homme debout, Bruges-Paris-Bruxelles, 1979, pp. 53-63.
13 S. AGOSTINO, Traci, in Jo., 26, 4, PL 35, 1608s; CC. SL. 36, 261s.
14 F. BOURASSA, « La liberto sous la gràce », Sciences Ecclésiastiques 9 (1957), pp. 95-111.