Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo tredicesimo - II

II. Trascendente e vicino

Mentre gli ebrei osavano appena pronunciare il nome di Dio, duemila anni di cristianesimo ci hanno condotti a un uso immoderato di questo nome.

Ma un Dio che si lascia vedere, udire, toccare, sballottare dalle folle, cessa pertanto di essere il totalmente Altro, l'Incomprensibile?

Anche se Dio è uscito dal suo mistero, perché incarnandosi è diventato uno di noi, perduto tra i miliardi della massa umana, rimane tuttavia l'Unico, colui che noi conosciamo realmente, ma come sconosciuto e indicibile.

In realtà, il Mistero, nascosto da tutta l'eternità, poi svelato in Gesù Cristo, notificato e predicato dagli apostoli ( Rm 16,25-27 ), non elimina mai il Mistero.

Il Dio manifestato in Gesù Cristo sfida ogni definizione e ogni spiegazione.

« Nessuno conosce i segreti di Dio, se non lo Spirito di Dio » ( 1 Cor 2,11; Ef 3,19 ).

Quando affermiamo che Dio è Trinità, pronunciamo parole esatte su un mistero impenetrabile.

È solo per analogia che parliamo di « persone » in Dio; come è solo per analogia che parliamo di « tre » persone, perché il numero « tre » significa tutt'altra cosa che la cifra tre della serie dei numeri matematici.

Si deve quindi rinunciare a riflettere su Dio, a parlare di Dio?

No, perché se Dio è venuto a noi, vuol dire che vuole esistere per noi, rivolgersi a noi come a un tu, attirarci nelle profondità della sua vita stessa.

Non possiamo strappare all'Amore il suo estremo segreto; ma non possiamo, non dobbiamo ignorarlo: perché l'Amore rivelato è la sola luce che illumina la nostra esistenza.

Vi è, deve sempre esserci una tensione tra il Dio nascosto e il Dio rivelato, trascendente e vicino.

Questa tensione non può risolversi, perché appartiene all'essenza stessa del Mistero: si deve mantenere la trascendenza nella prossimità, e la prossimità nella trascendenza, perché non vi è mai trascendenza allo stato puro, ma sempre legata a una manifestazione di prossimità.

Questo Dio trascendente, infatti, non è ne assente, ne puramente inconoscibile.

Invisibile nella sua natura, si è reso visibile nella nostra, e conoscibile, per lo meno in parte.

Attraverso l'incarnazione, Dio si crea un corpo d'espressione, mediante il quale si rivela, ma ancor più si dissimula.

È il paradosso del Cristo: per manifestarsi, Dio si serve di ciò che vi è di più dissimile da lui, cioè la carne.

E tuttavia questa oscurità della carne diventa il linguaggio privilegiato tramite il quale Dio vuole manifestarsi, definitivamente, con una rivelazione insuperabile, e intramontabile.

Si deve affermare che la natura umana di Cristo è « sua » e che egli si esprime all'interno di ciò che è.

Cristo è personalmente uomo e questo uomo è personalmente Dio.

L'amore di Cristo è l'amore di Dio reso visibile; gli atti di Cristo sono gli atti di Dio in forma umana; le parole di Cristo sono parole umane di Dio.

Il Trascendente è anche un Dio che viene, interviene nella nostra storia, che si avvicina e si fa prossimo di ciascuno; che ama, attende, spera, si rallegra, si stanca, piange, soffre, agonizza e muore.

L'Antico Testamento, che non cessa di lodare l'Altissimo e l'Onnipotente, dichiara anche che nessun altro popolo ha conosciuto un Dio tanto vicino quanto il suo ( Dt 4,32-34 ).

Il Nuovo Testamento sottolinea ancor più questa prossimità di Dio.

Che cosa vi è di più prossimo, di più fragile di questo bambino che ci è nato, di questo Figlio che ci è donato?

Che cosa di più disarmato di questo Crocifisso, dalle braccia distese e dal costato aperto?

Che cosa di più disponibile, di più annientato, di questa ostia che si offre alla nostra adorazione e al nostro amore?

In verità che vi è di più povero, di più condiscendente, di più accessibile del Dio rivelato in Gesù Cristo?

È l'Emmanuele, Dio-con-noi ( Mt 1,23 ).

In lui il trascendente si fa vicino, l'intoccabile si rende palpabile, il tre volte santo si rivolge nell'amicizia a colui che si è ribellato contro di lui.

Questo peccatore Dio lo inizia a quanto vi è di più intimo in lui, cioè il mistero della sua intimità col Padre e con lo Spirito.3

Eppure, anche quando si fa così vicino, così fragile, così disarmato, Dio rimane il totalmente Altro, nella sua prossimità come nella sua trascendenza.

Anzi, è la trascendenza della prossimità di Dio, che è l'ultima parola della rivelazione: il Verbo ( trascendenza ) si è fatto carne ( prossimità ).

È perché è l'Unico che Dio può perdersi nella moltitudine umana; perché è l'Onnipotente che può sembrare senza potere; perché è la Vita che può .affrontare la morte.

Cristo, come Dio, non è il relativo a fianco dell'Assoluto, ma l'Assoluto e soltanto l'Assoluto.

Aggiungiamo tuttavia che un tale paradosso è possibile solo se si ammette il carattere trinitario della rivelazione: cioè Cristo che, nella sua forma di schiavo, rivela Dio; lo Spirito che illumina questa forma di schiavo e ne fa apparire la gloria; il Padre che testimonia dell'identità di Cristo risuscitandolo nello splendore di Piglio e Signore.

Questo carattere trinitario è necessario perché in Cristo risplenda la luce divina al di là dell'umile forma umana di Gesù.4

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3 R. LATOURELLE, « Spécificité de la Révélation », in Revelation, Studia Missionalia 20 (1971), pp. 60-61.
4 H.U, von BALTHASAR, La Gioire et la Croix, I; Apparition, Paris, 1965, pp. 386-387.