Summa Teologica - I

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La plurivalenza intenzionale delle specie

II

6 - Un aspetto anche meno noto delle specie intenzionali, secondo la concezione tomistica, è la loro plurivalenza.

Molti pensano che ogni aspetto della realtà per presentarsi alla mente umana debba inviare il proprio ritratto: una specie impressa per ogni cosa, per assicurarne la perfetta intelligibilità.

Così essi concepiscono il processo conoscitivo tomistico.

É certo invece che S. Tommaso non è di questa opinione.

L'intenzionalità dell'idea non ha affatto i limiti dell'oggetto concreto dal quale venne astratta.

Essa serve ad estendere il dominio conoscitivo di chi pensa, secondo l'intensità dell'atto vitale in cui si inserisce.

Per questo motivo la medesima idea posta in due diverse intelligenze non raggiunge i medesimi risultati conoscitivi ( cfr. q. 89, a. 1 ).

É questo il primo aspetto della plurivalenza intenzionale delle specie.

Nell'ambito poi di una medesima intelligenza ogni idea ha un' intenzionalità universale, rispetto agli esseri di una data specie.

Anche questo si dimentica, quando si rimprovera ad Aristotele e a S. Tommaso di non aver saputo assicurare l'intellezione dei singolari.

L' idea astratta non è l'idea platonica, piovuta da un mondo trascendente: è un'immagine della realtà concreta, con una forza di rappresentazione che abbraccia tutti gli individui di una specie.

La rappresentazione è necessariamente universale, ma l'intenzionalità di essa raggiunge i soggetti concreti, che vengono rappresentati nella loro concretezza soltanto nelle facoltà sensitive.

Quando io penso al cane so di non pensare a una realtà astratta, ma concreta; appunto perché la mia idea del cane, per la sua intenzionalità originale, raggiunge gli individui nella loro concretezza.

Nell'atto della riflessione posso rilevare l'universalità della mia idea di cane; ma posso anche rivolgere l'attenzione sul termine concreto di essa.

Ed ecco allora che la mia idea viene a concretarsi in questo individuo presentato dai sensi.

S. Tommaso applica il termine intentio in campo gnoseologico, sia per indicare l'attenzione della facoltà conoscitiva ( cfr. De Verit., q. II, a. 3, ad 2; q. 13, a. 3; q. 21, a. 3, ad 5; I Cont. Gent., c. 55 ), sia per indicare i vari aspetti con i quali si presenta un oggetto all'atto della conoscenza ( cfr. I, q. 78, a. 3; / Sent., d. 19, q. 5, a. 1, ad 8; d. 23, q. 1, a. 3 ).

- A pensarci bene questa omonimia non disorienta, ma serve a una integrazione reciproca dei due concetti.

Infatti l'attenzione determina esattamente l'intenzionalità di ogni dato conoscitivo.

Alle possibilità illimitate della nostra attenzione intellettiva corrisponde nell'oggetto, in quanto tale, una varietà indefinita di intentiones o respectus.

7 - Siamo così arrivati a quell'aspetto della plurivalenza intenzionale delle specie, che ci sembra la più interessante e la più dimenticata.

L'idea di una qualsiasi realtà esterna non serve soltanto a presentare un oggetto, serve anche a porre in atto la nostra intelligenza.

Il soggetto passa così dallo stato potenziale a quello attuale.

Ma questa attualità rende conoscibili in atto e le facoltà e il soggetto conoscente.

Mentre penso io so di pensare.

- Ma perché io pensi a me stesso sarà necessaria una nuova specie intenzionale, diversa da quella che mi presenta l'oggetto al quale sto pensando?

S. Tommaso risponde negativamente.

La sola specie intenzionale che occupa l'intelligenza permette di raggiungere, con le sue molteplici intentiones, e l'idea in quanto idea, cioè l'atto conoscitivo come tale, e la facoltà che pensa e il soggetto pensante.

É vero che la rappresentazione eidetica riguarda il solo oggetto esterno, ma la sua intenzionalità è molteplice, poiché essa sola serve per la cognizione del soggetto pensante in tutti i suoi aspetti.

Poiché « non ripugna affatto che un essere concreto immateriale sia oggetto diretto di intellezione » ( q. 86, a. 1. ad 3 ).

Questa dottrina della plurivalenza intenzionale è la sola che possa avviare a soluzione due questioni gravissime, sorte nei tempi moderni intorno alla gnoseologia tomistica; autocoscienza dell'anima umana, e cognizione dei singolari.

Infatti la riflessione intellettiva permette al soggetto di prendere coscienza di tali oggetti, in forza di quella pluralità di intenzioni che l'idea possiede.

Così, attraverso l'idea, si può percorrere in senso inverso il processo conoscitivo umano, e allora si scorge l'universale nel suo legame con l'immagine sensibile, causando la complessa percezione del singolare.

Si può riflettere sul soggetto conoscitivo, e si ha l'autocoscienza.

Ma nell'uno come nell'altro caso non si potrà fare a meno della specie intenzionale: si tratterà piuttosto di una specie con funzioni non specificamente « rappresentative ».

Tanto è vero che le conoscenze riflesse di cui abbiamo parlato si completano e si producono in una pluralità di specie espresse.

Per chi non avesse pratica di terminologia scolastica, diremo che nell'atto in cui l'attenzione dell'intelligenza si porta su questa o su quell'altra intenzione, noi esprimiamo mentalmente altrettanti concetti definiti.

Quando il Dottore Angelico dice che l'anima, le facoltà e gli atti sono oggetto di cognizione « per suam praesentiam », o «per essentiam suam », intende escludere la specie impressa propria e distinta; ma non intende minimamente rinunziare a una qualsiasi specie.

Questo è il senso ovvio di tutti quei testi che don G. Zamboni raccolse a sostegno della sua tesi, cioè a favore di una « conoscenza percettiva intellettuale » indipendente dalle specie intenzionali ( cfr. op. cit., pp. 112-119 ).

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