Summa Teologica - I

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Articolo 3 - Se Dio sia uno

Infra, q. 103, a. 3; In 1 Sent., d. 2, q. 1, a. 1; In 2 Sent., d. 1, q. 1, a. 1; C. G., I, c. 42; De Pot., q. 3, a. 6; Comp. Theol., c. 15; In Div. Nom., c. 13, lect. 2, 3; In 8 Phys., lect. 12; In 12 Metaph., lect. 10

Pare che Dio non sia uno.

Infatti:

1. S. Paolo dice [ 1 Cor 8,5 ]: « Ci sono molti dèi e molti signori ».

2. L'uno che è principio del numero non può essere attribuito a Dio, poiché a Dio non si può attribuire alcuna quantità.

Similmente non gli si può attribuire l'uno che si identifica con l'ente, poiché esso comporta privazione, e ogni privazione è un'imperfezione, che disdice a Dio.

Quindi non si deve dire che Dio è uno.

In contrario:

Nel Deuteronomio [ Dt 6,4 ] sta scritto: « Ascolta, Israele: Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo ».

Dimostrazione:

Che Dio sia uno viene dimostrato in tre modi.

Primo, in base alla sua semplicità.

È evidente infatti che ciò per cui un essere singolo viene costituito soggetto individuale non è in alcun modo comunicabile a molti.

Ciò infatti per cui Socrate è uomo è comunicabile a molti, ma ciò per cui Socrate è quest'uomo non può convenire che a uno solo.

Se dunque Socrate fosse costituito uomo da ciò per cui è quest'uomo, come non vi possono essere più Socrati, così non vi potrebbero essere più uomini.

Ora, ciò avviene nel caso di Dio: poiché Dio è la sua stessa natura, come si è già dimostrato [ q. 3, a. 3 ].

Per l'identico motivo, dunque, egli è Dio e questo Dio.

È impossibile, quindi, che vi siano più dèi.

Secondo, in base all'infinità della sua perfezione.

Si è infatti dimostrato sopra [ q. 4, a. 2 ] che Dio comprende in se stesso tutta la perfezione dell'essere.

Se dunque ci fossero più dèi bisognerebbe che essi differissero in qualcosa: quindi qualcosa converrebbe all'uno e non all'altro.

Ma se questo qualcosa fosse una privazione, l'uno non sarebbe pienamente perfetto; se poi fosse una perfezione, l'altro ne sarebbe mancante.

È dunque impossibile che vi siano più dèi.

Quindi gli stessi filosofi dell'antichità, quasi costretti dalla verità stessa, riconoscendo l'esistenza di un principio infinito riconobbero che questo principio è uno soltanto.

Terzo, in base all'unità del mondo.

Tutte le cose che esistono infatti si mostrano vicendevolmente ordinate, dal momento che le une servono alle altre.

Ora, cose diverse non concorderebbero in un medesimo ordinamento se non vi fossero indirizzate da un agente unico.

Infatti più cose sono riunite in un unico ordine meglio da un solo agente che da molti: poiché l'uno è causa per sé dell'uno, mentre i molti non sono causa dell'uno se non accidentalmente, in quanto cioè anch'essi in qualche modo sono uno.

Siccome dunque ciò che è primo è perfettissimo e per sé, [ cioè in forza di se stesso ], e non in modo puramente accidentale, è necessario che il primo agente che riunisce tutte le cose in un solo ordine sia uno solo.

E questi è Dio.

Analisi delle obiezioni:

1. Si parla di molti dèi secondo l'errore di certuni che adoravano molti dèi, pensando che i pianeti e le altre stelle, oppure le singole parti del mondo, fossero dèi.

Per cui [ l'Apostolo ] soggiunge [ 1 Cor 8,6 ]: « Per noi c'è un solo Dio ».

2. L'uno che è principio del numero non viene attribuito a Dio, ma solo alle realtà [ corporee ] che hanno l'essere nella materia.

L'uno infatti che è principio del numero appartiene al genere delle entità matematiche, che esistono di fatto nella materia, ma dalla ragione vengono astratte e separate da essa.

L'uno invece che si identifica con l'ente è un'entità metafisica, che essenzialmente non dipende dalla materia.

E sebbene in Dio non vi sia privazione alcuna, tuttavia, dato il nostro modo di intendere, egli non è conosciuto da noi se non per via di negazioni e di eliminazioni.

E così nulla vieta che si enuncino di Dio dei termini negativi: p. es. che è incorporeo, infinito.

E in questo modo si dice che Dio è uno.

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