Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se in Dio ci sia l'amore

Infra, q. 82, a. 5, ad 1; In 3 Sent., d. 32, q. 1, a. 1, ad 1; C. G., I, c. 91; IV, c. 19; In Div. Nom., c. 4, lect. 9

Pare che in Dio non ci sia l'amore.

Infatti:

1. Nessuna passione è in Dio.

Ma l'amore è una passione.

Quindi in Dio non c'è amore.

2. L'amore, l'ira, la tristezza e simili [ sono realtà dello stesso genere che ] si possono contrapporre.

Ma la tristezza e l'ira vengono attribuite a Dio solo metaforicamente.

Quindi anche l'amore.

3. Dice Dionigi [ De div. nom. 4 ]: « L'amore è una forza unitiva e aggregativa ».

Ma Dio è semplice.

Quindi in Dio non c'è amore.

In contrario:

S. Giovanni [ 1 Gv 4,16 ] afferma: « Dio è amore ».

Dimostrazione:

È necessario ammettere l'amore in Dio.

Infatti l'amore è il primo moto della volontà e di qualsiasi facoltà appetitiva.

Ora, l'atto della volontà e di qualsiasi appetito tende, come al proprio oggetto, al bene e al male; ma siccome il bene è l'oggetto principale e diretto della volontà e dell'appetito, mentre il male ne è l'oggetto secondario e indiretto, cioè in quanto è l'opposto del bene, bisogna che gli atti appetitivi e volitivi riguardanti il bene abbiano una priorità naturale su quelli che concernono il male: il gaudio, p. es., precederà la tristezza, e l'amore verrà prima dell'odio.

Infatti ciò che è di per sé precede sempre quanto dipende da altro.

Ancora.

Ciò che è più generico ed esteso ha una priorità naturale: infatti l'intelletto dice innanzi tutto ordine alla verità in generale, piuttosto che a questa o a quell'altra verità.

Ora, vi sono degli atti della volontà e dell'appetito che riguardano il bene sotto una speciale condizione: come la gioia e il piacere riguardano un bene presente e posseduto, e il desiderio e la speranza un bene non ancora posseduto.

L'amore invece riguarda il bene in generale, posseduto o non posseduto.

Quindi l'amore è naturalmente il primo atto della volontà e dell'appetito.

Ed è per questo che tutti gli altri moti dell'appetito suppongono l'amore, quale prima radice.

Non si desidera infatti se non il bene che si ama, e non si gioisce che del bene amato.

E anche l'odio non ha altro oggetto che quanto contrasta con la cosa amata.

E così pure è evidente che la tristezza e le altre passioni si richiamano all'amore come al loro primo principio.

In qualunque essere quindi si trovi la volontà o l'appetito, lì necessariamente vi è l'amore: perché se si toglie ciò che è primo, tutto il resto scompare.

Ora, sopra [ q. 19, a. 1 ] abbiamo dimostrato che in Dio c'è la volontà.

Quindi in lui bisogna porre l'amore.

Analisi delle obiezioni:

1. La facoltà conoscitiva non muove se non mediante l'appetito.

Ora, come secondo Aristotele [ De anima 3,11 ] la ragione [ astratta ] universale agisce in noi mediante la ragione [ concreta e ] particolare, così l'appetito intellettivo, che è detto volontà, agisce mediante l'appetito sensitivo.

Quindi il motore prossimo del nostro corpo è l'appetito sensitivo.

Per cui ogni atto dell'appetito sensitivo è sempre accompagnato da qualche trasmutazione corporale, soprattutto nella regione del cuore, che è il primo principio del movimento nell'animale.

Per questo gli atti dell'appetito sensitivo, in quanto hanno annessa un'alterazione corporale, sono detti passioni; non così invece l'atto della volontà.

Così dunque l'amore, la gioia, il piacere sono passioni quando indicano degli atti dell'appetito sensitivo; non invece quando stanno a indicare l'atto dell'appetito intellettivo [ cioè della volontà ].

Ed è in quest'ultimo senso che vengono attribuiti a Dio.

Quindi il Filosofo [ Ethic. 7,14 ] dice che « Dio gode di una sola e semplice operazione ».

E per la stessa ragione ama senza passione alcuna.

2. Nelle passioni dell'appetito sensitivo bisogna distinguere ciò che rappresenta come l'elemento materiale, cioè l'alterazione corporale, e ciò che costituisce l'elemento formale, cioè il moto specifico dell'appetito sensitivo.

P. es. nell'ira, secondo Aristotele [ De anima 3,11 ], l'elemento materiale è l'accensione del sangue nella regione del cuore, o qualcosa di questo genere; l'elemento formale, invece, è la brama di vendicarsi.

Di più, anche nell'elemento formale di alcune passioni è inclusa una certa imperfezione: p. es. nel desiderio, che riguarda un bene non posseduto, e nella tristezza, che riguarda un male subìto.

E lo stesso si dica dell'ira, che presuppone la tristezza.

Altre passioni invece non implicano alcuna imperfezione, p. es. l'amore e la gioia.

Escluso quindi, come si è spiegato [ ad 1 ], che possa convenire a Dio quanto c'è di materiale nelle passioni, quelle che anche formalmente prese implicano imperfezione possono essere attribuite a Dio solo in senso metaforico: [ senso metaforico fondato ] sulla somiglianza di effetti, come si è detto nelle precedenti questioni [ q. 3, a. 2, ad 2; q. 19, a. 11 ].

Quelle invece che non implicano imperfezione possono essere affermate di Dio in senso proprio, p. es. l'amore e la gioia; esclusa però la passione, come si è spiegato [ ad 1 ].

3. L'atto dell'amore tende sempre verso due oggetti: verso il bene che si vuole a qualcuno e verso colui al quale si vuole il bene, poiché amare qualcuno vuol dire precisamente volere a lui del bene.

Quindi, dal momento che uno si ama, vuole a se stesso del bene, e questo bene cerca di unirlo a se medesimo per quanto può.

Per tale motivo l'amore è detto forza unitiva anche in Dio, però senza composizione di sorta, poiché quel bene che [ Dio ] vuole a se stesso non è altra cosa che lui medesimo, il quale è buono per essenza, come si è dimostrato sopra [ q. 6, a. 3 ].

- In quanto poi uno ama un altro, vuole del bene a quest'altro.

E lo tratta come se stesso, rivolgendo a lui il bene come a se medesimo.

E in questo senso l'amore è detto forza aggregativa: poiché uno aggrega un altro a se medesimo, e lo tratta come un altro se stesso.

E così anche l'amore divino è una forza aggregativa, senza che per questo in Dio vi sia composizione, in quanto egli vuole per altri cose buone.

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