Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se la trinità delle divine Persone possa essere conosciuta con la sola ragione naturale

In 1 Sent., d. 3, q. 1, a. 4; De Verit., q. 10, a. 13; In De Trin., q. 1, a. 4; In Rom., c. 1, lect. 6

Pare che con la sola ragione naturale si possa conoscere la Trinità delle Persone divine.

Infatti:

1. I filosofi non giunsero alla conoscenza di Dio se non con la ragione naturale: ora, risulta che essi hanno detto molte cose sulla Trinità delle Persone.

Infatti Aristotele [ De caelo 1,1 ] afferma: « Con questo numero », cioè col tre, « ci industriamo di magnificare il Dio uno, superiore a tutte le perfezioni delle realtà create ».

- E S. Agostino [ Conf. 7,9 ] riferisce: « E io vi lessi », cioè nei libri dei Platonici, « non con queste parole, ma in sostanza, che vi sono molte e molteplici ragioni per persuadersi che in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio », e altre simili cose egli riporta con cui viene indicata esattamente la pluralità delle Persone divine.

- Anche la Glossa [ interlin. su Rm 1,20; Es 8,19 ] [ spiegando il fatto ] che i maghi del Faraone fallirono al terzo segno [ aggiunge ]: cioè mancarono nella conoscenza della terza Persona, ossia dello Spirito Santo: dunque ne conobbero almeno due.

- Anche Trismegisto [ Poemand. 4 ] disse: « La monade generò la monade e rifletté in se stessa il suo calore »: con le quali parole si viene a indicare la generazione del Figlio e la processione dello Spirito Santo.

Quindi con la sola ragione si possono conoscere le Persone divine.

2. Afferma Riccardo di S. Vittore [ De Trin. 1,4 ]: « Ritengo per indubitato che qualsiasi verità possa essere provata non solo con argomenti probabili, ma anche con ragioni apodittiche ».

Per cui alcuni vollero provare anche la Trinità delle Persone appellandosi all'infinita bontà di Dio, che [ soltanto ] nella processione delle Persone divine si comunica in modo infinito.

Altri invece si rifecero al principio che « senza la compagnia di altri non può essere veramente gioioso il possesso di un bene qualsiasi » [ Seneca, Epist. 6 ].

E anche S. Agostino [ De Trin. 9,4ss. ] spiega la Trinità delle Persone con la processione del verbo e dell'amore nella nostra anima: ed è la via che anche noi abbiamo seguìto [ q. 27, aa. 1,3 ].

Quindi la Trinità delle Persone può essere conosciuta con la sola ragione naturale.

3. Sarebbe superfluo rivelare all'uomo ciò che non può essere conosciuto con la ragione umana.

Ma non si può dire che la divina rivelazione del mistero della Trinità sia superflua.

Quindi la Trinità delle Persone divine può essere conosciuta dalla ragione umana.

In contrario:

Dice S. Ilario [ De Trin. 2,9 ]: « Non pensi l'uomo di poter penetrare con la sua intelligenza il mistero della [ eterna ] generazione ».

E S. Ambrogio [ De fide 1,10 ]: « È impossibile capire il mistero della generazione [ divina ]: la mente viene meno, la voce tace ».

Ma come si è dimostrato [ q. 30, a. 2 ], è appunto in base alle origini per generazione e processione che si distinguono le Persone divine.

Quindi si conclude che la Trinità delle Persone non può essere conosciuta con la ragione, dal momento che l'uomo non è in grado di conoscere e di raggiungere con la sua intelligenza se non ciò che offre la possibilità di una dimostrazione cogente.

Dimostrazione:

È impossibile giungere alla conoscenza della Trinità delle Persone divine con la sola ragione naturale.

Si è infatti dimostrato sopra [ q. 12, aa. 4,11,12 ] che l'uomo con la sola ragione non può giungere alla conoscenza di Dio se non per mezzo delle creature.

Ora, queste conducono a Dio come gli effetti alle loro cause.

Quindi con la ragione naturale si possono conoscere di Dio soltanto quei dati che necessariamente gli convengono per il fatto di essere egli il principio di tutte le cose; e su questo criterio ci siamo basati nel trattato su Dio [ q. 12, a. 12 ].

Ora, la virtù creatrice è comune a tutta la Trinità: quindi appartiene all'unità dell'essenza e non alla pluralità delle persone.

Perciò con la ragione naturale si può conoscere solo quanto fa parte dell'essenza, e non ciò che appartiene alla pluralità delle Persone.

Quelli poi che tentano di dimostrare la Trinità delle Persone con la ragione naturale compromettono la fede in due modi.

Primo, ne compromettono la dignità, poiché la fede ha per oggetto cose del tutto invisibili, che superano la capacità della ragione umana.

L'Apostolo infatti [ Eb 11,1 ] afferma che « la fede è di cose che non si vedono ».

E altrove [ 1 Cor 2,6 ]: « Tra i perfetti parliamo sì di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta ».

- Secondo, ne compromettono l'efficacia nell'attirare altri alla fede.

Se infatti per indurre a credere si portano delle ragioni che non sono cogenti, ci si espone alla derisione di coloro che non credono: poiché costoro penseranno che noi ci appoggiamo su tali argomenti per credere.

Per tale motivo dunque tutto ciò che è di fede va provato soltanto con i testi [ della Scrittura ], per coloro che la riconoscono.

Per gli altri invece basta difendere la non assurdità di quanto la fede insegna.

Quindi Dionigi [ De div. nom. 2 ] ammonisce: « Se qualcuno non cede all'autorità della parola di Dio, è del tutto estraneo e lontano dalla nostra filosofia.

Se invece ammette la verità della parola », cioè di quella divina, « è con noi, giacché noi pure ci serviamo di tale regola ».

Analisi delle obiezioni:

1. I filosofi non conobbero il mistero della Trinità delle divine Persone per quello che è ad esse proprio, cioè la paternità, la filiazione e la processione, secondo le parole dell'Apostolo [ 1 Cor 2,6 ]: « Parliamo di una sapienza divina, che nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscere », cioè nessuno dei filosofi, come spiega la Glossa [ interlin. ].

Conobbero tuttavia alcuni attributi essenziali che vengono appropriati alle varie persone, come la potenza al Padre, la sapienza al Figlio e la bontà allo Spirito Santo, come vedremo più avanti [ q. 39. a. 7 ].

- Perciò l'espressione di Aristotele: « Ci industriamo di magnificare Dio con questo numero » non va intesa nel senso che egli ponesse il numero tre in Dio, ma vuole soltanto dire che gli antichi usavano il tre nei sacrifici e nelle preghiere per una certa sua perfezione.

- Nei libri dei Platonici poi l'espressione: « In principio era il verbo » non sta a indicare il verbo che in Dio è una persona generata, ma soltanto il verbo che è l'idea astratta [ e archetipa della realtà ], secondo la quale tutte le cose furono fatte, e che viene attribuita per appropriazione al Figlio.

E sebbene [ i filosofi ] abbiano conosciuto gli attributi appropriati alle tre persone, si dice tuttavia che fallirono al terzo segno, cioè nella conoscenza della terza Persona, perché deviarono dalla bontà che viene appropriata allo Spirito Santo quando, come dice S. Paolo [ Rm 1,21 ], pur avendo conosciuto Dio, « non lo glorificarono come Dio ».

Oppure perché i Platonici ponevano un primo essere, che chiamavano padre di tutto l'universo, e dopo di lui un'altra sostanza a lui soggetta, che chiamavano mente o intelletto del padre, nella quale c'erano le idee di tutte le cose, come riferisce Macrobio [ Super somn. Scip. 1, cc. 2, 6 ]: però non parlavano in alcun modo di una terza sostanza distinta che potesse in certo qual modo corrispondere allo Spirito Santo.

Noi invece non ammettiamo che il Padre e il Figlio differiscano in tal modo per natura, ma questo fu l'errore di Origene e di Ario, che in ciò si lasciarono guidare dai Platonici.

- Quanto poi all'affermazione di Trismegisto, che cioè « la monade generò la monade e rifletté in se stessa il suo calore », essa non va riferita alla generazione del Figlio e alla processione dello Spirito Santo, ma all'origine del mondo, poiché il Dio unico produsse un unico universo per l'amore di se medesimo.

2. Si può portare un argomento per due scopi.

Primo, per provare in modo rigoroso un dato principio: come nelle scienze naturali si portano argomenti rigorosi per dimostrare che il moto dei cieli ha sempre una velocità uniforme.

Secondo, si può portare un argomento non per dimostrare scientificamente un dato principio, ma soltanto per far vedere come siano legati intimamente al principio, posto [ come assioma], gli effetti che ne derivano: come in astronomia si ammettono gli eccentrici e gli epicicli perché, accettata questa ipotesi, si può dare ragione delle irregolarità che nel moto dei corpi celesti appaiono ai sensi; tuttavia questo argomento non è cogente, poiché forse [ tali irregolarità ] potrebbero essere spiegate anche ammettendo un'altra ipotesi.

Sono dunque del primo genere le ragioni che si portano per provare l'unità di Dio e altre simili verità.

Invece gli argomenti con i quali si vuole provare la Trinità appartengono all'altro genere: supposta infatti la Trinità, quelle ragioni ne mostrano la congruenza, ma non sono sufficienti a provare la Trinità delle Persone.

- E ciò appare chiaramente esaminando i singoli argomenti.

Infatti l'infinita bontà di Dio si manifesta anche nella sola produzione delle creature: poiché solo una potenza infinita è capace di produrre dal nulla.

Perché infatti Dio si comunichi con infinita bontà non è necessario che da lui proceda un infinito, ma basta che la cosa prodotta partecipi la bontà divina secondo tutta la propria capacità.

- Così quel detto: « Senza compagnia non è del tutto gioioso il possesso di un bene », è vero quando in una persona non si trova la bontà nella sua perfezione, e quindi essa ha bisogno della bontà di un altro a sé associato per raggiungerne il pieno godimento.

- La somiglianza poi del nostro intelletto con quello divino non prova nulla in modo cogente, dato che l'intelletto non è univoco in Dio e in noi.

- Per questo dunque S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 27,7 ] dice che la fede dà la scienza, ma la scienza non dà la fede.

3. La conoscenza delle Persone divine ci fu necessaria per due motivi.

Primo, per avere un giusto concetto della creazione.

Dicendo infatti che Dio ha fatto le cose mediante il Verbo si evita l'errore di quanti dicevano che Dio le ha create per necessità di natura.

E con il porre in Dio la processione dell'amore si indica che egli non ha prodotto le creature per qualche sua indigenza o per qualche causa [ a lui ] estrinseca, ma solo per amore della sua bontà.

Per cui Mosè, dopo aver detto [ Gen 1,1 ] che « in principio Dio creò il cielo e la terra », aggiunge: « Dio disse: Sia la luce », per far conoscere il Verbo.

E continua: « Vide Dio che la luce era cosa buona », per mostrare l'approvazione dell'amore divino.

E così [ sta scritto ] per le altre creature.

- Secondo, e principalmente, perché si abbia una giusta idea della redenzione del genere umano, avvenuta con l'Incarnazione del Figlio e l'effusione dello Spirito Santo.

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