Summa Teologica - I

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Articolo 3 - Se parlando di Dio il nome Padre sia usato in primo luogo come nome personale

Pare che parlando di Dio non si usi il nome Padre primariamente come nome personale.

Infatti:

1. Ciò che è comune, nel nostro modo di intendere, precede quanto è proprio.

Ora il termine Padre, preso come nome personale, è il nome proprio della persona del Padre; invece preso come nome essenziale è comune a tutta la Trinità, poiché a tutta la Trinità diciamo: Padre nostro.

Dunque il termine Padre è usato in primo luogo come nome essenziale e non personale.

2. Un termine che si applica secondo la stessa nozione a più cose non può essere attribuito primariamente [ all'una ] e secondariamente [ all'altra ].

Ma la paternità e la filiazione pare che si dicano sia in quanto una persona divina è Padre del Figlio, sia in quanto tutta la Trinità è Padre di noi o della creatura: poiché al dire di S. Basilio [ Hom. 15 de fide ] il ricevere è comune alle creature e al Figlio.

Quindi in Dio il termine Padre non viene usato come nome personale prima che come nome essenziale.

3. Non si possono confrontare tra loro attribuzioni non fondate sullo stesso motivo.

Ora, il Figlio viene confrontato con le creature a motivo della filiazione o della generazione, secondo le parole di S. Paolo [ Col 1,15 ]: « Egli è l'immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura ».

Quindi in Dio non si può considerare la paternità prima come termine personale e poi come termine essenziale, ma allo stesso modo.

In contrario:

L'eternità precede il tempo.

Ma da tutta l'eternità Dio è Padre del Figlio, mentre soltanto dal principio del tempo è Padre delle creature.

Quindi la paternità si attribuisce a Dio prima rispetto al Figlio e poi rispetto alle creature.

Dimostrazione:

Un termine viene attribuito al soggetto che ne esaurisce appieno tutto il significato prima che ad altri soggetti che ne partecipano solo in una certa misura: ad essi infatti viene applicato per la somiglianza [ che hanno ] con quello in cui si trova in tutto il suo significato, poiché ogni imperfetto deriva da ciò che è perfetto.

Come il termine leone si dice primariamente dell'animale, in cui si trova appieno tutto ciò che è incluso nel concetto di leone, e che quindi viene detto leone in senso proprio; gli uomini invece, nei quali si trova solo qualche qualità del leone, come l'audacia, la forza e simili, vengono detti leoni solo in senso metaforico.

Ora, come si è detto [ q. 27, a. 2; q. 28, a. 4 ], il concetto di paternità e di filiazione si trova perfettamente in Dio Padre e in Dio Figlio, poiché identica ne è la natura e la gloria.

Invece nella creatura la filiazione rispetto a Dio non si riscontra secondo una modalità perfetta, non essendo identica la natura del Creatore e della creatura, ma secondo una certa quale somiglianza.

E quanto più è perfetta questa [ somiglianza ], tanto più si avvicina al vero concetto di filiazione.

Infatti di alcune creature, cioè delle irrazionali, Dio è detto padre solo per quella somiglianza che è un semplice vestigio; come ad es., leggiamo nella Scrittura [ Gb 38,28 ]: « Ha forse un padre la pioggia? o chi ha generato le stille della rugiada? ».

Di altre invece, cioè delle creature razionali, è padre per quella somiglianza che è un'immagine, secondo quelle parole [ Dt 32,6 ]: « Non è lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito? ».

Di alcune creature inoltre è padre per quella somiglianza che è la grazia, e [ tali creature ] sono anche chiamate figli adottivi, in quanto sono ordinate all'eredità della gloria eterna mediante il dono di grazia ricevuto, come dice l'Apostolo [ Rm 8,16s ]: « Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio; e se figli, anche eredi ».

Di alcuni infine [ è padre ] per quella somiglianza che è la gloria [ eterna ], in quanto essi possiedono già l'eredità della gloria, secondo quelle altre parole di S. Paolo [ Rm 5,2 ]: « Ci vantiamo nella speranza della gloria dei figli di Dio ».

Così dunque è chiaro che in Dio la paternità si dice primariamente in quanto è relazione di Persona a Persona, e non in quanto indica un rapporto di Dio alle creature.

Analisi delle obiezioni:

1. Secondo il nostro modo di intendere, i termini comuni assoluti precedono i termini propri, essendo inclusi in essi, e non viceversa: pensando infatti alla persona del Padre si pensa [ necessariamente ] a Dio, ma non viceversa.

Invece i termini comuni che esprimono relazione alle creature sono posteriori a quelli propri che indicano una relazione personale: poiché in Dio la persona che procede, procede in qualità di principio delle creature.

Come infatti l'idea concepita dall'artefice precede l'opera compiuta, che viene riprodotta a immagine e somiglianza di tale idea, così il Figlio procede dal Padre prima delle creature, alle quali poi si attribuisce la filiazione in quanto esse partecipano della somiglianza del Figlio, come attesta S. Paolo [ Rm 8,29 ]: « Quelli che da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo ».

2. Si può dire che ricevere è comune alle creature e al Figlio non in senso univoco, ma per una lontana somiglianza, in ragione della quale egli è chiamato « primogenito delle creature ».

Quindi in quel testo S. Paolo, dopo aver detto che alcuni « furono predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo », soggiunge: « perché egli sia il primogenito tra molti fratelli ».

Ma colui che è Figlio di Dio per natura, a differenza degli altri, ha questo di particolare, cioè di possedere per natura ciò che riceve, come dice anche S. Basilio [ l. cit. ].

E per questo motivo viene denominato unigenito [ Gv 1,18 ]: « Il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato ».

E così è risolta anche la terza obiezione.

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