Summa Teologica - I

Indice

Articolo 1 - Se il male sia un'entità positiva

In 2 Sent., d. 34, a. 2; C. G., III, cc. 7 sqq.; De Malo, q. 1, a. 1; Comp. Theol., c. 114; In Div. Nom., c. 4, lect. 14

Pare che il male sia un'entità positiva.

Infatti:

1. Ogni genere costituisce un'entità positiva.

Ma il male è un genere: infatti Aristotele [ Praed. 8 ] dice che « il bene e il male non entrano in un genere, ma sono essi stessi generi delle altre cose ».

Quindi il male è qualcosa di positivo.

2. Ogni differenza costitutiva di una specie è una certa entità positiva.

Ma il male è una differenza costitutiva in morale: infatti una qualità cattiva differisce specificamente da una buona, come la liberalità dall'avarizia.

Quindi il male sta a significare un'entità positiva.

3. Se abbiamo due contrari, l'uno e l'altro sono delle entità positive.

Ora, il male e il bene non si oppongono tra loro come la privazione e il possesso [ di una cosa ], ma come due contrari: e lo dimostra Aristotele [ ib. ] dal fatto che fra il bene e il male esiste qualcosa d'intermedio, e che dal male si può far ritorno al bene.

Quindi il male sta a indicare una certa entità positiva.

4. Ciò che non è, non opera.

Il male invece opera, poiché corrompe il bene.

Quindi il male è un ente, e qualcosa di positivo.

5. Alla perfezione dell'universo concorre solo ciò che è ente e realtà positiva.

Ma il male concorre alla perfezione dell'universo: infatti S. Agostino [ Enchir., cc. 10,11 ] dice che « l'ammirabile bellezza dell'universo è costituita da tutte le cose, e in essa persino ciò che viene chiamato male, se è ordinato e messo al suo posto, mette meglio in evidenza il bene ».

Quindi il male è un'entità positiva.

In contrario:

Dionigi [ De div. nom. 4 ] afferma: « Il male non è una natura esistente, e neppure è un bene ».

Dimostrazione:

Se troviamo due cose opposte fra di loro, l'una è conosciuta per mezzo dell'altra, come le tenebre per mezzo della luce.

Quindi bisogna capire che cosa sia il male dalla nozione del bene.

Ora, sopra [ q. 5, a. 1 ] abbiamo detto che il bene è tutto ciò che è appetibile: quindi, siccome ogni natura desidera il proprio essere e la propria perfezione, è necessario affermare che l'essere e la perfezione di tutte le nature si presentano come un bene.

Per cui non è possibile che il male indichi un qualche essere, oppure qualche forma o natura positiva.

Rimane dunque che col termine male si indichi una carenza di bene.

- E per questo si dice che il male « non è esistente, e neppure è un bene »: perché essendo l'ente, in quanto tale, un bene, se eliminiamo l'una cosa eliminiamo anche l'altra.

Analisi delle obiezioni:

1. Aristotele in quel brano parla secondo l'opinione dei Pitagorici, i quali ritenevano che il male fosse un'entità positiva: e per questo consideravano come generi il bene e il male [ cf. Met. 1,5 ].

Infatti Aristotele usava, specialmente nei libri di logica, portare degli esempi che erano materia di ipotesi [ probabili ] ai suoi tempi, secondo l'opinione di alcuni filosofi.

- Oppure si può rispondere con lo stesso Aristotele [ Met. 10,4 ] che « la prima delle contrarietà si ha tra il possesso e la privazione »: per il fatto cioè che [ queste due cose ] si riscontrano in tutti i contrari, avendo uno dei due contrari una carenza di perfezione rispetto all'altro, come il nero rispetto al bianco, e l'amaro rispetto al dolce.

E così il bene e il male possono dirsi generi non in senso rigoroso, ma [ solo ] relativamente ai contrari: poiché come ogni forma riveste la natura di bene, così ogni privazione, in quanto tale, riveste quella di male.

2. Il bene e il male non sono differenze costitutive se non per le azioni morali, che ricevono la loro specie dal fine, che è l'oggetto della volontà, da cui dipendono.

E poiché il bene riveste l'aspetto di fine, il bene e il male sono differenze specifiche per le azioni o per le qualità morali: il bene in forza di se stesso, il male in quanto è allontanamento dal debito fine.

Tuttavia l'allontanamento dal debito fine non costituisce una specie nell'ordine morale se non perché vi si aggiunge un fine indebito: come anche nell'ordine fisico non troviamo mai una privazione di forma sostanziale che non sia accompagnata da una nuova forma.

E allo stesso modo il male che è differenza costitutiva nell'ordine morale è un certo bene che accompagna la privazione di un bene d'altro genere: come il fine dell'intemperante non è già il mancare del bene conforme alla ragione, ma il piacere del senso mancante dell'ordine razionale.

Quindi il male non costituisce una differenza in quanto è male, ma in forza del bene a cui è annesso.

3. Così è evidente anche la risposta alla terza obiezione.

Infatti in quel passo Aristotele parla del bene e del male nell'ordine morale.

E in quest'ordine tra il bene e il male possiamo trovare qualcosa di intermedio: poiché talora chiamiamo bene ciò che è bene ordinato, e male ciò che non solo è disordinato, ma anche nocivo ad altri.

Per cui il Filosofo [ Ethic. 4,1 ] potrà affermare che « il prodigo è bensì vano, ma non cattivo ».

- E così pure da questo male di ordine morale si può ritornare al bene, non invece da qualsiasi male.

Infatti dalla cecità non si può tornare alla vista, sebbene la cecità sia un certo male.

4. In tre modi si dice che una cosa può causare.

Primo: come forma, e si dice allora che la bianchezza rende bianchi.

E in questo senso il male, anche in forza della privazione stessa, si dice che corrompe il bene: poiché è la stessa corruzione o privazione del bene.

Secondo, come causa efficiente: diciamo p. es. che l'imbianchino rende bianca una parete.

Terzo, come causa finale: diciamo infatti che il fine opera determinando la causa efficiente.

Ora il male non agisce, in queste due ultime maniere, in forza di se stesso, cioè in quanto è una privazione, ma perché è connesso con un bene: infatti ogni azione deriva da una forma, e tutto ciò che viene desiderato come fine è una qualche perfezione.

Per questo, come dice Dionigi [ De div. nom. 4,19 ], il male non agisce e non è desiderato se non in forza del bene che lo accompagna; ma di per sé è « senza un fine », ed «estr aneo alla volontà e all'intenzione ».

5. Come si è spiegato sopra [ q. 2, a. 3; q. 19, a. 5, ad 2; q. 21, a. 1, ad 3; q. 44, a. 3 ], le parti dell'universo hanno un ordine reciproco, in quanto l'una agisce sull'altra ed è fine ed esemplare dell'altra.

Ora queste cose, come si è detto [ ad 4 ], non possono convenire al male se non in forza del bene connesso.

Quindi il male non concorre alla perfezione del mondo e non è incluso nell'ordine dell'universo altro che indirettamente, cioè in ragione del bene che lo accompagna.

Indice