Summa Teologica - I

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Articolo 4 - Se l'intelletto agente faccia parte dell'anima

In 2 Sent., d. 17, q. 2, a. 1; C. G., II, cc. 76, 78; De Spir. Creat., a. 10; De anima, a. 5; Comp. Theol., c. 86; In 3 De anima, lect. 10

Pare che l'intelletto agente non faccia parte dell'anima.

Infatti:

1. La funzione dell'intelletto agente è quella di illuminare per l'intellezione.

Ma ciò deriva da qualcosa che è più alto dell'anima, secondo quelle parole [ Gv 1,9 ]: « Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo ».

Pare quindi che l'intelletto agente non faccia parte dell'anima.

2. Secondo il Filosofo [ De anima 3,5 ] per l'intelletto agente « non si verifica che a volte intenda e a volte non intenda ».

Invece la nostra anima non intende sempre, ma a volte sì e a volte no.

Quindi l'intelletto agente non è qualcosa della nostra anima.

3. Un agente e un paziente bastano a produrre un'azione.

Se quindi l'intelletto possibile, che è una facoltà passiva, e l'intelletto agente, che è una facoltà attiva, fanno parte dell'anima, ne viene che l'uomo potrà sempre intendere a suo piacimento: cosa evidentemente falsa.

Quindi l'intelletto agente non fa parte dell'anima.

4. Dice il Filosofo [ ib. ] che l'intelletto agente è « una sostanza esistente in atto ».

Ma nulla è nello stesso tempo in atto e in potenza rispetto alla medesima cosa.

Se dunque l'intelletto possibile, che è in potenza a tutti gli intelligibili, è qualcosa della nostra anima, è impossibile che l'intelletto agente sia anch'esso qualcosa dell'anima.

5. Se l'intelletto agente facesse parte della nostra anima, dovrebbe essere una potenza.

Infatti non rientra nella categoria della passione o dell'abito, poiché gli abiti e le passioni non hanno il carattere di agente rispetto alle attività dell'anima: anzi, la passione non è che l'azione stessa della potenza passiva, mentre l'abito non è che una conseguenza delle azioni [ ripetute ].

Ma ogni potenza promana dall'essenza dell'anima.

Avremmo così che l'intelletto agente procederebbe dall'essenza dell'anima.

E così non verrebbe a essere nell'anima per la partecipazione di un intelletto superiore: cosa questa inammissibile.

Quindi l'intelletto agente non fa parte dell'anima.

In contrario:

Il Filosofo [ ib. ] insegna che « necessariamente vi sono nell'anima queste differenze », cioè l'intelletto possibile e l'intelletto agente.

Dimostrazione:

L'intelletto agente di cui parla il Filosofo fa parte dell'anima.

Per averne l'evidenza cominciamo a osservare che al disopra dell'anima intellettiva dell'uomo si deve ammettere un intelletto superiore, dal quale l'anima riceva la capacità di intendere.

Quando infatti un ente mobile e imperfetto partecipa di una perfezione esige sempre prima di sé un essere immobile e perfetto che abbia quella perfezione per essenza.

Ora, l'anima umana è detta intellettiva solo perché è partecipe della virtù intellettuale: e lo riprova il fatto che essa non è tutta quanta intellettiva, ma solo secondo una sua parte.

Di più, essa giunge alla conoscenza della verità gradatamente con un processo discorsivo, per via di argomentazioni. Inoltre la sua intellezione è imperfetta: sia perché non conosce tutte le cose, sia perché negli atti conoscitivi procede dalla potenza all'atto.

Quindi bisogna ammettere l'esistenza di un intelletto più alto, che dia all'anima la virtù di intendere.

Alcuni supposero dunque che questo intelletto, sostanzialmente separato [ dal corpo ], fosse l'intelletto agente il quale, quasi proiettando la sua luce sui fantasmi, li renderebbe intelligibili in atto.

- Ma dato pure che esista un simile intelletto agente separato, bisognerà nondimeno ammettere nella stessa anima umana una virtù partecipata da quell'intelletto superiore, mediante la quale l'anima possa rendere intelligibili in atto gli oggetti.

Come anche nel mondo degli esseri fisici più perfetti vediamo che, oltre alle cause efficienti più universali, esistono nei singoli esseri perfetti delle loro capacità proprie, derivate dalle cause universali: infatti non è soltanto il sole che genera l'uomo, ma nell'uomo stesso vi è la virtù di generare altri uomini; e così si dica per gli altri animali perfetti.

Ora, nella sfera degli esseri inferiori non vi è nulla di più perfetto dell'anima umana.

Perciò bisogna concludere che esiste in essa una facoltà derivata da un intelletto superiore, mediante la quale essa possa illuminare i fantasmi.

E ne abbiamo la riprova nell'esperienza, quando ci accorgiamo di astrarre i concetti universali dalle condizioni particolari, il che equivale a rendere attualmente intelligibili gli oggetti.

Ora, nessuna operazione compete a un soggetto se non per mezzo di un principio ad esso formalmente inerente, come si è già detto [ q. 76, a. 1 ] a proposito dell'intelletto possibile.

Perciò necessariamente la potenza che costituisce il principio di questa operazione è qualcosa dell'anima.

- E per questa ragione Aristotele paragonò l'intelletto agente alla luce, che è un'entità ricevuta [ e posseduta ] dall'aria.

Platone invece, come riferisce Temistio [ Comm. de anima 32 ], paragonò l'intelletto separato, che comunica una sua impronta alle nostre anime, al sole.

Ora, stando agli insegnamenti della nostra fede, questo intelletto separato è Dio stesso, il quale è il creatore delle anime, e la loro unica felicità, come vedremo in seguito [ q. 90, a. 3; I-II, q. 3, a. 7 ].

Da lui quindi l'anima umana partecipa la luce intellettuale, secondo le parole del Salmo [ Sal 4,7 ]: « Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto ».

Analisi delle obiezioni:

1. Quella vera luce illumina come la causa universale da cui l'anima umana riceve una particolare facoltà, come si è spiegato [ nel corpo ].

2. Il Filosofo dice quelle parole a proposito non dell'intelletto agente, ma nell'intelletto in atto.

Tanto è vero che prima [ l. cit. nell'ob. ] aveva detto: « La conoscenza in atto si identifica con l'oggetto ».

- Se però vogliamo riferirle all'intelletto agente, allora esse significano che il fatto che la nostra intellezione non sia continua non dipende dall'intelletto agente, ma dall'intelletto possibile.

3. Se l'intelletto agente stesse a quello possibile come un oggetto agente sta alla potenza, p. es. come l'oggetto visibile in atto sta alla vista, ne seguirebbe che noi intenderemmo subito tutte le cose: poiché l'intelletto agente è il principio mediante il quale [ l'anima ] rende attualmente intelligibili tutte le cose.

Ma esso non si comporta come un oggetto, bensì come il principio che rende attuali gli oggetti; per questo, oltre alla presenza dell'intelletto agente, si richiede la presenza dei fantasmi, la buona disposizione delle facoltà sensitive e l'esercizio in questo genere di attività: poiché dalla conoscenza di una cosa deriva la conoscenza di altre, come dai singoli termini si arriva alle proposizioni e dai princìpi alle conclusioni.

Del resto di fronte a questa obiezione poco importa che l'intelletto agente sia qualcosa dell'anima o una realtà separata.

4. Certamente l'anima intellettiva è attualmente immateriale, ma essa è in potenza rispetto alle specie determinate delle cose.

Al contrario i fantasmi sono immagini rappresentative attuali di determinate specie, ma sono immateriali solo potenzialmente.

Quindi nulla impedisce che una medesima anima, in quanto è attualmente immateriale, possegga una facoltà atta a formare delle specie attualmente immateriali astraendole dalle condizioni della materia concreta, facoltà questa che viene denominata intelletto agente, e possegga pure un'altra facoltà atta a ricevere tali specie, che viene denominata intelletto possibile, perché appunto è in potenza a quelle specie.

5. Dato che l'essenza dell'anima è immateriale e creata dall'intelletto supremo, nulla può impedire che da essa promani, con le altre potenze, anche quella facoltà che è una partecipazione dell'intelletto supremo, e che ha la capacità di astrarre dalla materia [ gli oggetti intelligibili ].

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