Summa Teologica - I

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Articolo 11 - Se l'intelletto speculativo e quello pratico siano potenze distinte

In 3 Sent., d. 23, q. 2, a. 3, sol. 2; De Verit., q. 3, a. 3; In 6 Ethic., lect. 2; In 3 De anima, lect. 15

Pare che l'intelletto speculativo e quello pratico siano potenze distinte.

Infatti:

1. La facoltà di conoscere e quella di muovere sono due generi diversi di potenza.

Ma l'intelletto speculativo è soltanto conoscitivo, mentre l'intelletto pratico muove all'azione.

Sono dunque potenze distinte.

2. La diversa ragione di oggetto produce una diversità di potenze.

Ma l'oggetto dell'intelletto speculativo è il vero, del pratico invece il bene: [ vero e bene ] che sono oggetti distinti.

Quindi i due intelletti sono potenze distinte.

3. Nella parte intellettiva l'intelletto pratico sta a quello speculativo come nella parte sensitiva l'estimativa sta all'immaginazione.

Ma l'estimativa e l'immaginazione, a norma di quanto si è detto [ q. 78, a. 4 ], differiscono tra loro come due potenze.

Quindi sarà la stessa cosa per l'intelletto pratico e quello speculativo.

In contrario:

Insegna Aristotele [ De anima 3,10 ] che l'intelletto speculativo per estensione diviene pratico.

Ma una potenza non si muta mai in un'altra.

Quindi l'intelletto speculativo e quello pratico non sono potenze distinte.

Dimostrazione:

L'intelletto speculativo e quello pratico non sono due potenze distinte.

Eccone la ragione: un elemento che è accidentale rispetto all'oggetto formale di una potenza non può, come si è già detto [ q. 77, a. 3 ], influire sulla distinzione delle potenze stesse, come per il colorato è un'accidentalità essere uomo, oppure essere grande o piccolo: perciò tutte queste cose sono percepite da un'identica potenza visiva.

Ora, per un oggetto percepito dall'intelligenza è un'accidentalità l'essere o il non essere indirizzato all'operazione.

Ma è proprio in questo che differiscono tra loro l'intelletto speculativo e quello pratico.

Infatti l'intelletto speculativo è quello che non indirizza le sue conoscenze all'azione, ma alla sola contemplazione della verità; invece è chiamato pratico quell'intelletto che ordina le sue conoscenze all'operazione.

Per questo il Filosofo [ l. cit. ] afferma che « lo speculativo differisce dal pratico in ragione del fine ».

E così entrambi prendono il nome dal fine: speculativo il primo e pratico, cioè operativo, il secondo.

Analisi delle obiezioni:

1. L'intelletto pratico si dice che muove non perché esegue un movimento, ma perché indirizza verso di esso: cosa questa che gli appartiene in forza del suo modo di conoscere.

2. Il vero e il bene si implicano a vicenda: poiché il vero è anche un bene, altrimenti non sarebbe appetibile, e così pure il bene è anche un certo vero, altrimenti non sarebbe intelligibile.

Come dunque il vero può essere oggetto dell'appetito in quanto è un bene - quando, p. es., uno desidera di conoscere la verità -, così sotto l'aspetto di vero può essere oggetto dell'intelletto pratico un bene ordinabile all'azione.

Infatti l'intelletto pratico ha per oggetto la verità, come anche quello speculativo; ma la indirizza all'attività pratica.

3. Molte differenze, pur causando delle distinzioni tra le potenze sensitive, non ne producono alcuna in quelle intellettive, come si è visto [ a. 7, ad 2; q. 77, a. 3, ad 4 ].

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