Summa Teologica - I

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Articolo 4 - Se il libero arbitrio sia una potenza distinta dalla volontà

III, q. 18, aa. 3, 4; In 2 Sent., d. 24, q. 1, a. 3; De Verit., q. 24, a. 6

Pare che il libero arbitrio sia una potenza distinta dalla volontà.

Infatti:

1. Il Damasceno [ De fide orth. 2,22 ] dice che altra cosa è la thélesis, altra la bùlesis: ora, la thélesis è la volontà, mentre la bùlesis pare essere il libero arbitrio; poiché, secondo lui [ ib. ], è la volontà che ha per oggetto una cosa scelta nel raffronto con un'altra.

Quindi il libero arbitrio si presenta come una potenza distinta dalla volontà.

2. Le potenze si conoscono dai loro atti.

Ora la scelta, che è l'atto del libero arbitrio, è un'altra cosa dalla volontà, poiché stando al Filosofo [ Ethic. 3,2 ] « la volontà ha per oggetto il fine, mentre la scelta ha per oggetto i mezzi che portano al fine ».

Quindi il libero arbitrio è una potenza distinta dalla volontà.

3. La volontà è l'appetito intellettivo.

Ma nella parte intellettiva ci sono due potenze, cioè l'intelletto agente e quello possibile: perciò anche nell'appetito intellettivo ci deve essere un'altra potenza, oltre alla volontà.

E questa non pare essere altro che il libero arbitrio.

Quindi il libero arbitrio è una potenza distinta dalla volontà.

In contrario:

Il Damasceno [ De fide orth. 3,14 ] insegna che il libero arbitrio non è altro che la volontà.

Dimostrazione:

È necessario che le potenze appetitive corrispondano a quelle conoscitive, come si è detto sopra [ q. 64, a. 2; cf. q. 80, a. 2 ].

Ora, lo stesso rapporto che nella conoscenza intellettiva esiste tra l'intelletto e la ragione esiste anche nell'appetito intellettivo tra la volontà e il libero arbitrio, il quale non è altro che la facoltà di scelta.

E la cosa appare evidente dalle relazioni esistenti tra gli oggetti e gli atti.

Infatti l'intellezione indica la semplice apprensione immediata di una cosa: per cui si dice che propriamente sono oggetto d'intellezione i princìpi per sé noti, senza illazione.

Invece ragionare significa propriamente passare da una conoscenza a un'altra: per cui il ragionamento riguarda a tutto rigore le conclusioni raggiunte mediante i princìpi.

Parimenti, per quanto riguarda l'appetito, il volere indica l'immediata e semplice appetizione di una cosa: quindi si dice che la volontà ha per oggetto il fine, il quale è voluto per se stesso.

Scegliere invece è desiderare una cosa in vista di un'altra: perciò in senso proprio la scelta ha per oggetto le cose che portano al fine.

Ora, il rapporto esistente nel campo della conoscenza tra il principio e le conclusioni a cui diamo l'assenso in forza dei princìpi è analogo a quello esistente nel campo appetitivo tra il fine e le cose che conducono al fine, e sono volute in ordine al fine.

È dunque evidente che come l'intelletto sta alla ragione, così la volontà sta alla facoltà di scelta, cioè al libero arbitrio.

- Ma sopra [ q. 79, a. 8 ] abbiamo visto che l'intendere e il ragionare spettano alla medesima potenza, come alla medesima potenza spettano la quiete e il moto.

Spetteranno quindi alla medesima potenza il volere e lo scegliere.

Quindi la volontà e il libero arbitrio non sono due potenze, ma una sola.

Analisi delle obiezioni:

1. La bùlesis si distingue dalla thélesis non per una diversità di potenze, ma per una differenza di atti.

2. La scelta e la volontà, o volizione, sono atti distinti, tuttavia appartengono alla medesima potenza, come anche l'intendere e il ragionare, secondo quanto si è detto [ nel corpo ].

3. L'intelletto si rapporta alla volontà come suo motore: non c'è quindi bisogno di distinguere in questa una potenza agente e una possibile.

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