Summa Teologica - I-II

Indice

I - Storia e fonti del trattato tomistico

4 - Il P. Henri Bouillard S. J. mise a rumore circa venti anni or sono il campo degli studi sulla grazia con le conclusioni di un'indagine storica - Conversion et Grace chez S. Th. d'Aquin, Parigi, 1944 -, che ancora oggi non si possono trascurare, anche se non sempre si possono condividere.

Senza accettare l'opinione del Lange, il quale aveva attribuito al giovane Tommaso idee semipelagiane, il P. Bouillard crede di documentare a sufficienza che i teologi dei secoli XII e XIII non conoscevano gli atti del II Concilio d'Orange contro i semipelagiani ( op. cit., pp. 92 ss. ).

E certo però che mentre nelle opere giovanili S. Tommaso stesso sembra poco preoccupato di questo errore, a cominciare dalla Summa Contra Gentiles lo cita e lo confuta espressamente ( ibid., p. 103 ).

- A nostro parere la denominazione generica, Pelagiani, lascia qualche perplessità riguardo alla conoscenza storica dell'Aquinate sull'argomento.

La stessa conoscenza dei canoni d'Orange non sarebbe bastata da sola per distinguere le due fasi della controversia ( vedi In Philipp., c. 2, lect. 3 ).

Ma quello che nell'opera del Bouillard incontrava la disapprovazione dei tornisti era la conclusione che S. Tommaso non avrebbe conosciuto ciò che noi oggi chiamiamo la grazia attuale ( op. cit., p. 209 ).

Più ancora urtava la pretesa di far dipendere la maturazione del pensiero teologico dell'Aquinate dalla scoperta di testi aristotelici; e soprattutto il motivo storicista che consiste nel ritenere sorpassata la teologia tomistica, perché di moda e attuale nel secolo XIII ( ibid., p. 211 ).

In questa breve introduzione noi non possiamo certo, e non intendiamo, confutare punto per punto una monografia storica.

Noteremo però certi aspetti del problema che sono stati dimenticati, o mal compresi.

- È innegabile che S. Tommaso da giovane non ha parlato con tutta esattezza di certi problemi, e specialmente della preparazione alla grazia.

Lo riconobbe espressamente anche il Gaetano [ m. 1533 ] ( cfr. Comment. in I-II, q. 109, a. 6 ).

Ma in che consiste la diversità tra il periodo giovanile e quello della maturità?

Il P. Bouillard, ha pensato che il punto discriminante tra il primo e il secondo periodo letterario sia da riscontrare nel diverso modo di concepire la preparazione alla grazia.

Anche in gioventù S. Tommaso riconosce la necessità della mozione divina sulla volontà umana che viene predisposta all'infusione della grazia.

Ma allora egli pensava che potesse bastare una mozione « indiretta» e « mediata ».

Invece nella maturità esige una mozione « immediata e interiore» ( op. cit., p. 130 ).

Il trapasso dall'una all'altra concezione sarebbe legato, occasionalmente almeno, alla scoperta dell'opuscolo De Bona Fortuna, estratto dell'Etica Eudemica attribuita ad Aristotele ( ibid. ).

5 - Ci sembra che tutta questa ricostruzione, anche se corredata di citazioni apparentemente inoppugnabili, non regga a un'approfondita analisi di quei testi medesimi che vengono citati.

Il trapasso, lo vedremo subito, non è così « filosofico » come si dice, e nella sua apparente semplicità è più rivoluzionario di quanto potrebbe sembrare.

S. Tommaso nella sua maturità, come tutti sanno, fu costretto a rettificare l'idea che i teologi contemporanei avevano della grazia gratis data, e di cui egli stesso si era servito nelle opere giovanili.

Per i teologi della prima metà del secolo XIII col termine grazia gratis data si volevano intendere tutti gli aiuti divini che avevano una qualche attinenza con la grazia gratum faciens, o santificante, senza però coincidere con essa.

La divisione parve accettabile anche al giovane Tommaso, il quale non aveva ancora ben compreso la portata dell'errore semipelagiano.

Fino a quando egli si rassegnò a considerare gli atti preparatori alla grazia e tutte le disposizioni previe, compresa la fede informe, come dovuti essenzialmente alla creatura sotto la mozione generale di Dio, la denominazione e la divisione potevano ancora reggere: la divisione tra gratum faciens e gratis data seguiva le regole di una buona divisione.

Da una parte la gratum faciens, e dall'altra quella non gratum faciens con tutta la sua congerie di predisposizioni, abiti informi, atti preparatori e carismi.

Ma una volta rigettato nettamente il semipelagianesimo, con la sua pretesa attribuzione alla creatura delle predisposizioni, ossia degli atti che preparano l'infusione della grazia, questi non potevano più dirsi solo gratis dati.

Passavano quindi al lato opposto della divisione, diventando gratum facientes.

In tal modo si estendeva considerevolmente il dominio della grazia e del soprannaturale; e il termine gratia gratis data veniva riservato ai soli carismi, che sono realmente indipendenti dalla santità e santificazione personale di chi li possiede o li esercita ( q. 111, a. 1 ).

Il trapasso si avverte chiaramente nel 3 Cont. Gent., dove si tenta una sistemazione delle grazie gratis datae, dando un significato restrittivo al termine contrapposto, cioè alla grazia gratum faciens.

Qui infatti dopo aver escogitato dei nove carismi paolini una spiegazione che nella Somma Teologica sarà del tutto trasformata, S. Tommaso così si avvia alla conclusione: « In praemissis autem gratiae effectibus consideranda est quaedam differentia.

Nam etsi omnibus gratiae nomen competat, quia gratis, absque praecedenti merito, conferuntur; solus tamen dilectionis effectus ulterius nomen gratiae meretur ex hoc quod gratum Deo facit; dicitur enim Pr 8,17: "Ego diligentes me diligo".

Unde fides et spes et alia quae ad finem ordinantur, possunt esse in peccatoribus qui non sunt Deo grati: sola autem dilectio est proprium donum iustorum, quia "qui manet in cantate in Deo manet, et Deus in eo", ut dicitur 1 Gv 4,16 » ( 3 Cont. Gent., c. 154 ).

Ma presto egli dovette accorgersi che bisognava procedere in ordine inverso.

Invece di dare un senso restrittivo alla grazia gratum faciens era più logico restringere la grazia gratis data ai soli carismi; poiché le stesse predisposizioni alla grazia abituale derivano dalla divina predestinazione e predilezione.

Esse cioè hanno per fine diretto e oggettivo la santificazione degli eletti.

In maniera schematica ecco il trapasso descritto dal punto di partenza a quello di arrivo:

Divisione della grazia:

prima del 1260

1) gr. gratis data =

a) abiti informi e disposizioni remote;

b) atti previ e disposizioni prossime;

c) carismi.

2 ) gr. gratum faciens = gratia habitualis.

Dopo il 1260

1) gr. gratis data = carismi

2) gr. gratum faciens =

a) A) simpliciter: gr. habitualis e atti informati dalla carità.

B) secundum quid =

a) abiti informi e disposizioni remote;

b) atto previ e disposizioni prossime.

Anche il P. Bouillard ha avvertito questo trapasso: « A partire dal Contra Gentiles, gli stessi termini [ auxilium divinum, o auxilium gratiae ], compreso quello di mozione, designano anche - e spesso - la grazia santificante.

Questa è considerata ancora come un abito.

Ma tale aspetto passa in secondo piano: esso si subordina a quello di azione divina.

La grazia santificante è prima di tutto ciò per cui Dio conduce l'uomo al suo ultimo fine » ( op. cit., p. 135 ).

Egli però non ha compreso il motivo tecnico di questo ripensamento ( cioè il ridimensionamento della grazia gratis data ), sebbene non ne abbia ignorato il profondo motivo storico dottrinale.

Anzi egli ha costruito un'ipotesi superflua e poco convincente, prospettando l'idea che nel nuovo atteggiamento di S. Tommaso abbia agito in maniera determinante, anche se occasionale, la scoperta di un opuscolo attribuito ad Aristotele ( cfr. op. cit., pp. 123 ss. ).

Il meno che si possa dire di codesta ipotesi è che un libro del genere non avrebbe potuto servire allo scopo.

Il testo del De Bona Fortuna che l'Aquinate si compiace innegabilmente di citare nelle sue più recenti esposizioni relative agli atti che precedono l'infusione della grazia, serve soltanto a ribadire l'idea che Dio agisce immediatamente in ogni operante, e quindi nella stessa libera volontà dell'uomo.

Ma tale idea non è affatto estranea al pensiero giovanile del santo Dottore ( cfr. 1 Sent., d. 36, q. 1, a. 1; 2 Sent., d. 1, q. i, a. 4; De Verit., q. 24, a. 14 ).

S. Tommaso sì compiace di citare quel testo, per mettere bene in evidenza quella prima specialissima mozione divina che, anche nell'ordine naturale, è l'abbrivo di ogni nostra azione deliberata ( cfr. supra, q. 9, a. 4 ), in tal senso la dimostrazione aristotelica ha un valore deduttivo inoppugnabile.

« Indiget autem divino auxilio [ homo ] non solum quantum ad exteriora moventia, prout scilicet ex divina providentia procurantur homini occasiones salutis, puta praedicationes, exempia, et interdum aegritudines et flagella; sed etiam quantum ad interiorem motum; prout Deus cor hominis interius movet ad bonum …

Et quod hoc necessarium sit probat Philosophus in quodam capite De Bona Fortuna.

Hoc enim agit voluntate: voluntatis autem principium est electio, et electionis consilium.

Si autem quaeratur quaiiter consiliari incipiat, non potest dici quod ex consilio consiliari inceperit, quia sic esset in infinitum procedere.

Unde oportet aliquod exterius principium esse quod moveat mentem humanam ad consiliandum de agendis.

Hoc autem oportet esse aliquod melius humana mente.

Non ergo est corpus celeste, quod est infra intellectualem virtutem, sed Deus, ut Philosophus ibidem concludit…

Sic ergo nullus potest se ad gratiam praeparare, vel aiiquid boni facere, nisi per divinum auxilium » ( 1 Quodl., a. 7 ).

Ma pericopi del genere non potranno mai servire a dimostrare che il Dottore Angelico, sia pure in gioventù, abbia condiviso l'idea che Dio si dispensi dalla mozione immediata e determinante su tutte e singole le operazioni in cui si articola il processo volitivo umano.

Non si può credere infatti che un pensatore così coerente abbia voluto inventare eccezioni ingenue ai suoi inoppugnabili principii di metafisica: « Operatio Creatoris magis pertingit ad intima rei quam operatio causarum secundarum: et ideo hoc quod creatum est causa alii creaturae, non excludit quin Deus immediate in rebus omnibus operetur, inquantum virtus sua est sicut medium coniungens virtutem cuiusiibet causae secundae cum suo effeetu…; quia, ut in Libro De Causis dicitur, causalitas causae secundae firmatur per causalitatem causae primae » ( 2 Sent., d. 1, q. 1, a. 4; cfr. 1 Sent., d. 36, q. i, a. 1 ).

Quello che mancava invece nella sintesi giovanile dell'Aquinate era l'idea chiara che il dominio della grazia si estende virtualmente e formalmente agli atti che predispongono e preparano l'anima all'infusione della grazia abituale.

E questa idea certamente non era possibile trovarla nelle opere di Aristotele.

L'idea è sorta quando il santo Dottore ha compreso meglio l'intrinseca proporzione esistente tra fine e mezzi in ciascun ordine di cose: « Ea enim quae sunt ad finem », scriverà nei 3 Cont. Gent., c. 147, « necesse est fini esse proportionata.

Si igitur homo ordinatur in finem qui eius facultatem naturalem excedat. necesse est ei aliquod auxilium divinitus adhiberi supernaturale, per quod tendat in finem ».

In codesto Libro della Contra Gentiles egli si era posto nella prospettiva migliore per scorgere la conseguenza logica di tali principi.

Aveva infatti rivolto la sua attenzione all'ordine delle creature verso Dio come loro fine, cioè a Dio come a causa finale.

E più che insistere sull'ordine statico, aveva voluto esaminare l'ordine dinamico dell'universo in tale prospettiva

Ne era scaturito un ampio trattato sul « governo del mondo » ( cfr. 3 Cont. Gent., cc. 64-163 ).

Lo studio accurato della redazione travagliatissima di questo terzo libro potrebbe essere risolutivo per il problema che c'interessa.

Ma purtroppo l'autografo che possediamo della prima redazione si ferma al c. 138.

Ce n'è però a sufficienza per constatare che il motivo dominante della seconda redazione è a tutto vantaggio della finalità.

Consiste cioè nel proposito di far derivare analiticamente tutte le conclusioni « dal concetto che il Moderatore supremo ( summus Gubernator ) dirige tutte le cose secondo la loro natura rispettiva verso se medesimo come al loro fine » ( S. THOMAE AQ., Opera, ed. Leon., vol. XIV, p. XIII ).

7 - É più facile condividere, con il P. Bouillard, l'opinione che il ripensamento sui problemi della grazia sia avvenuto nella vita dell'Aquinate in seguito a uno studio più accurato e personale delle opere di S. Agostino.

Ma non possiamo fermarci alle ipotesi, quando la Divina Provvidenza ci offre dei documenti.

In questo caso la documentazione storica è più esplicita di quanto si potrebbe desiderare.

Sappiamo che il Dottore Angelico tornato in Italia nel 1259, intraprese l'esposizione delle Epistole di S. Paolo.

Questo commento noi lo possediamo in gran parte nella sua redazione primitiva, cioè a cominciare da 1 Cor 11.

Mentre per l'Epistola ai Romani e per i primi capitoli della I Cor. abbiamo una redazione più recente, cioè l'esposizione scritta dall'Autore stesso dopo il 1270.

Nessuno potrebbe dirci se il prologo appartiene alla prima o alla seconda redazione: è certo comunque che tutto il commento s'ispira ai concetti in esso contenuti.

E codesti concetti son tali che nessuno storico può trascurarli nel ricostruire il suo pensiero teologico sulla grazia.

Ecco a suo giudizio le sintesi del pensiero paolino: « Haec est doctrina tota de gratia Christi… »; « Questa costituisce tutta la dottrina sulla grazia di Cristo.

Primo, come essa si riscontra nel capo, cioè in Cristo, e se ne ha l'esposizione nella lettera agli Ebrei.

Secondo, come si trova nelle principali membra del corpo mistico: nelle epistole pastorali [ 1, 2 Tim., Tit. ].

Terzo, la grazia nel corpo mistico che è la Chiesa: e se ne tessono le lodi nelle epistole dirette ai gentili.., ma da tre punti di vista: in se stessa, Rm.; nei sacramenti: in 1 e 2 Cor. e nell'epistola ai Galati dove si escludono quelli superflui della legge antica; finalmente si considera la grazia nell'unità che essa produce nella Chiesa in Ef., Fil., Col., 1, 2 Ts. ».

Dunque per S. Tommaso la sintesi teologica sulla grazia non poteva essere altro che una ricapitolazione organica della dottrina di S. Paolo, esposta nelle sue lettere.

E qui che egli ha approfondito il suo pensiero, attingendo direttamente alle fonti della rivelazione.

La riprova di quanto diciamo si ha nel testo medesimo che abbiamo tra le mani.

Il trattato De Gratia della Somma Teologica, pur nella sua brevità, contiene oltre sessanta citazioni delle epistole di S. Paolo, senza contare le ripetizioni dei testi principali.

E questi non vengono utilizzati in maniera approssimativa rispetto al loro autentico significarlo: l'Autore mostra di conoscerne con esattezza il valore originale.

Per quanto riguarda la dottrina relativa alle grazie gratis datae bisogna dire che il 3 Cont. Gent. è anteriore al commento delle Epistole di S. Paolo ( cfr. I Cor., c. 12, lect. 3; e. 13, lect. 1; Eph., e. 1, lect. 1 ).

8 - Tra le fonti del trattato tomistico sulla grazia non si possono trascurare i testi evangelici; e neppure i libri dell'Antico Testamento: tra questi si nota una vera predilezione per i Salmi.

Qui però l'esegeta medioevale rivela più volte i limiti delle sue possibilità.

Tuttavia è doveroso ricordare lo stretto legame che l'Autore crede di scorgere tra quegli antichi passi liturgici e la dottrina della grazia.

- Nel suo commento al Libro dei Salmi, dettato in un'epoca non molto distante dalla compilazione del nostro trattato, egli si esprime in questi termini: « Materia erit universalis: quia… hic liber generalem habet [ materiam ] totius theologiae…; quia de omni opere Dei tractat: scilicet creationis…; gubernationis…; reparationis…; glorificationis… Tertio, reparationis: quantum ad caput, scilicet Christum, et quantum ad omnes effectus gratiae… Omnia enim quae ad fidem incarnationis pertinent, sic dilucide traduntur in hoc opere, ut fere videatur evangelium, et non prophetia » ( In Psalmos Expos., Proem. ).

Aggiungiamo alla Sacra Scrittura il nome di S. Agostino, e abbiamo indicato le fonti principali del trattato tomistico.

Non manca però in questa sintesi il contributo della teologia orientale, con il De Fide Orthodoxa del Damasceno e specialmente con le opere dello Pseudo-Dionigi.

Ripetiamo ancora una volta che non abbiamo motivi sufficienti per negare le conclusioni degli studiosi moderni relative alla scomparsa del Concilio d'Orange [ 529 ] dalle compilazioni degli atti conciliari nei secoli XIII-XIV.

Il fatto è deprecabile perché codesto Concilio aveva posto fine, con una serie di proposizioni indovinatissime, alla controversia semipelagiana.

La loro dimostrazione però non può dirsi apodittica, come vedremo annotando il testo della Somma.

Ma anche se noi riuscissimo a dimostrare il contrario, la costatazione potrebbe valere solo per S. Tommaso negli ultimi anni della sua carriera.

Sembra infatti fuori discussione che le più alte speculazioni sulla grazia, sviluppate nel periodo aureo della scolastica, si siano svolte nell'ignoranza completa di quell'importantissimo documento del magistero ecclesiastico.

A premunire quelle altissime intelligenze dall'errore, sia pelagiano che semipelagiano, potevano forse bastare le opere di S. Agostino, da cui erano state attinte le stesse definizioni conciliari.

Indice