Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se qualche piacere sia il massimo bene

In 4 Sent., d. 49, q. 3, a. 4, sol. 3; In 7 Ethic., lect. 11 sqq.; 10, lect. 2

Pare che nessun piacere sia il massimo bene.

Infatti:

1. Nessuna generazione è il bene più grande: poiché la generazione non può essere l'ultimo fine.

Ma il piacere si ricollega a una generazione: infatti si ha il piacere nel momento in cui una cosa viene a costituirsi nella propria natura, come sopra [ q. 31, a. 1 ] si è spiegato.

Quindi nessun piacere può essere il bene più grande.

2. Il massimo bene non può diventare migliore con l'aggiunta di nessuna cosa.

Invece il piacere diviene migliore con l'aggiunta di qualcosa: infatti il piacere è migliore con la virtù che senza di essa.

Quindi il piacere non è il massimo bene.

3. Il massimo bene è universalmente buono, essendo buono per se stesso: infatti ciò che è tale di per sé precede e supera ciò che lo è accidentalmente.

Ma il piacere non è universalmente buono, come si è spiegato [ a. prec. ].

Quindi non è il massimo bene.

In contrario:

La beatitudine è il massimo bene, essendo il fine della vita umana.

Ma la beatitudine non è senza godimento, poiché sta scritto [ Sal 16,11 ]: « Gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra ».

Dimostrazione:

Platone [ vedi Arist., Ethic. 10,3 ] non riteneva come gli Stoici che tutti i piaceri fossero cattivi, e neppure che fossero tutti buoni, come gli Epicurei, ma che alcuni fossero buoni e altri cattivi: senza che alcuno di essi sia il bene sommo o il più grande.

Ma per quanto ci è dato comprendere dai suoi argomenti, per due motivi egli si è ingannato.

Primo, perché osservando che i piaceri sensibili si riducono a un moto o a una generazione, il che è evidente nei piaceri della gola e simili, pensò che tutti i piaceri dipendessero dalla generazione e dal moto.

E poiché la generazione e il moto sono atti imperfetti, conseguentemente il piacere non avrebbe carattere di perfezione ultima.

- Ma ciò è manifestamente falso nei godimenti intellettuali.

Infatti uno non gode solo nel momento in cui viene generata la scienza, p. es. mentre apprende o si meraviglia, secondo le spiegazioni date [ q. 32, a. 8, ad 2 ], ma anche mentre contempla la scienza già acquisita.

Secondo, perché egli chiamava massimo bene ciò che costituisce assolutamente parlando il sommo bene, cioè il bene in qualche modo separato e non partecipato, quale è Dio soltanto.

Invece noi parliamo del massimo dei beni tra le cose umane.

Ora, in ogni genere di cose il bene più grande è il fine ultimo.

E il fine, come si è spiegato in precedenza [ q. 1, a. 8; q. 2, a. 7 ], è duplice: cioè la cosa medesima e il suo uso; come il fine dell'avaro è sia il danaro che il possesso del danaro.

Quindi si può considerare fine ultimo dell'uomo Dio stesso, che è assolutamente parlando il sommo bene, oppure la fruizione di lui, che implica il godimento nel fine ultimo.

E in questo modo si può affermare che un dato piacere è il massimo tra i beni dell'uomo.

Analisi delle obiezioni:

1. Non tutti i piaceri si ricollegano alla generazione, ma alcuni derivano da operazioni perfette, come si è visto [ nel corpo ].

Quindi nulla impedisce che un qualche piacere sia il massimo bene, quantunque non tutti lo siano.

2. L'argomento vale per il sommo bene assoluto, per la partecipazione del quale tutte le cose sono buone: per cui nessuna addizione può renderlo migliore.

Per gli altri beni è invece sempre vero che qualsiasi bene diventa migliore con l'aggiunta di altro.

- Sebbene si possa anche rispondere che il piacere non è qualcosa di estraneo all'atto virtuoso, ma qualcosa di concomitante, come dice Aristotele [ Ethic. 1,8 ].

3. Un dato piacere non è il massimo bene in quanto piacere, ma in quanto perfetta quiete nel sommo bene.

Quindi non segue che tutti i piaceri siano ottimi, o anche semplicemente buoni.

Come è ottima una data scienza, ma non qualsiasi scienza.

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