Summa Teologica - I-II

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Articolo 4 - Se l'irascibile e il concupiscibile possano essere sede di virtù

Infra, a. 5, ad 1; In 3 Sent., d. 33, q. 2, a. 4, sol. 2; De Verit., q. 24, a. 4, ad 9; De Virt., q. 1, a. 4; a. 10, ad 5

Pare che l'irascibile e il concupiscibile non possano essere sede di virtù.

Infatti:

1. Queste facoltà sono comuni a noi e ai bruti.

Ma noi ora parliamo delle virtù proprie dell'uomo, cioè delle virtù umane.

Perciò le virtù umane non possono risiedere nell'irascibile e nel concupiscibile, che sono potenze dell'appetito sensitivo, secondo le spiegazioni date nella Prima Parte [ q. 81, a. 2 ].

2. L'appetito sensitivo è una facoltà organica.

Ora, il bene della virtù non può trovarsi nel corpo dell'uomo, poiché l'Apostolo [ Rm 7,18 ] afferma: « Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene ».

Quindi un appetito sensitivo non può essere sede o soggetto di virtù.

3. S. Agostino [ De mor. Eccl. 5 ] dimostra che la virtù non è nel corpo, ma nell'anima, per il fatto che il corpo è retto dall'anima: che quindi uno usi bene del corpo va attribuito totalmente all'anima: « come se un cocchiere conducesse sulla strada giusta i cavalli seguendo le mie indicazioni, tutto il merito sarebbe mio ».

Ora, come l'anima dirige il corpo, così la ragione dirige l'appetito sensitivo.

Perciò la retta condotta dell'irascibile e del concupiscibile è dovuta interamente alle potenze razionali.

D'altra parte sopra [ q. 55, a. 4 ] si è detto che « la virtù è la disposizione per cui si vive rettamente ».

Quindi la virtù non può trovarsi nell'irascibile e nel concupiscibile, ma soltanto nella parte razionale.

4. « L'atto principale di una virtù morale è la scelta », come scrive Aristotele [ Ethic. 8,13 ].

Ma la scelta non è un atto dell'irascibile o del concupiscibile, bensì della ragione, secondo le spiegazioni date [ q. 13, a. 2 ].

Quindi una virtù morale non può risiedere nell'irascibile o nel concupiscibile, ma solo nella ragione.

In contrario:

Si è soliti collocare la fortezza nell'irascibile, e la temperanza nel concupiscibile.

Per cui il Filosofo [ Ethic. 3,10 ] afferma che « queste virtù appartengono alle facoltà irrazionali ».

Dimostrazione:

L'irascibile e il concupiscibile possono essere considerati sotto due punti di vista.

Primo, in se stessi, come facoltà dell'appetito sensitivo.

E da questo lato non possono essere sede di virtù.

- Secondo, come facoltà partecipi della ragione, in quanto sono fatte per obbedire alla ragione.

E da questo lato l'irascibile e il concupiscibile possono essere sede di virtù umane: poiché sotto questo aspetto, in quanto partecipi della ragione, sono princìpi degli atti umani.

E a potenze di questo genere non si possono non attribuire delle virtù.

È infatti evidente che nell'irascibile e nel concupiscibile ci sono delle virtù.

Poiché l'atto che promana da una potenza sotto la mozione di un'altra non può essere perfetto se entrambe le potenze non sono ben disposte all'operazione: come l'atto di un artefice non può essere ben appropriato se l'artefice e lo strumento stesso non sono ben disposti all'operazione.

Perciò nelle azioni compiute dall'irascibile e dal concupiscibile sotto la mozione della ragione è necessario, per ben operare, che vi sia il perfezionamento di qualche abito non soltanto nella ragione, ma anche nell'irascibile e nel concupiscibile stessi.

E poiché la buona disposizione di una potenza che muove perché mossa viene desunta dalla conformità di essa con la potenza motrice, di conseguenza la virtù che risiede nell'irascibile e nel concupiscibile non è altro che una conformità abituale di tali potenze con la ragione.

Analisi delle obiezioni:

1. Considerate in se stesse, cioè in quanto parti dell'appetito sensitivo, le facoltà dell'irascibile e del concupiscibile sono comuni a noi e alle bestie.

Ma nella misura in cui sono razionali per partecipazione, in quanto sottomesse alla ragione, sono proprie dell'uomo.

E sotto questo aspetto possono essere sede di virtù umane.

2. La carne di un uomo di per sé non possiede il bene della virtù, tuttavia diviene strumento di atti virtuosi in quanto, sotto la mozione della ragione, « mettiamo le nostre membra a servizio della giustizia » [ Rm 6,19 ].

E allo stesso modo anche l'irascibile e il concupiscibile di per sé non possiedono il bene della virtù, ma piuttosto l'infezione del fomite; però il bene della virtù morale si ingenera in essi in quanto si conformano alla ragione.

3. Il modo con cui l'anima regge il corpo è diverso da quello con cui la ragione regge l'irascibile e il concupiscibile.

Infatti il corpo obbedisce pienamente all'anima senza contrasti nelle cose in cui naturalmente deve seguirne la mozione: per cui il Filosofo [ Polit. 1,2 ] dice che « l'anima regge il corpo con un dominio dispotico », cioè come un padrone fa col suo schiavo.

Perciò il moto del corpo si riferisce interamente all'anima.

E per questo nel corpo non ci possono essere delle virtù, ma soltanto nell'anima.

Invece l'irascibile e il concupiscibile non obbediscono pienamente alla ragione, ma hanno dei moti peculiari che talora contrastano con la ragione: per cui il Filosofo [ ib. ] aggiunge che la ragione regge l'irascibile e il concupiscibile « con un dominio politico », cioè come vengono governate le persone libere, che in certe cose conservano la propria volontà.

E per questo è necessario che anche nell'irascibile e nel concupiscibile ci siano delle virtù, per ben disporli ai loro atti.

4. Nella scelta, secondo Aristotele [ Ethic. 6,12 ], si devono considerare due cose: l'intenzione del fine, che spetta a una virtù morale, e la scelta dei mezzi, che spetta alla prudenza.

Ora, dipende proprio dalla buona disposizione dell'irascibile e del concupiscibile avere la retta intenzione del fine in materia di passioni.

Perciò le virtù morali riguardanti le passioni sono nell'irascibile e nel concupiscibile, mentre la prudenza è nella ragione.

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