Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se l'intelletto possa essere sede di virtù

In 3 Sent., d. 23, q. 1, a. 4, sol. 1; De Virt., q. 1, a. 7

Pare che l'intelletto non sia sede di virtù.

Infatti:

1. S. Agostino [ De mor. Eccl. 15 ] insegna che ogni virtù è amore.

Ora, l'amore non risiede nell'intelletto, ma soltanto nelle potenze appetitive.

Quindi nessuna virtù risiede nell'intelletto.

2. La virtù, come si è dimostrato [ q. 55, a. 3 ], è ordinata al bene.

Ora, il bene non è oggetto dell'intelletto, ma delle potenze appetitive.

Quindi la sede delle virtù non è l'intelletto, ma la potenza appetitiva.

3. Al dire del Filosofo [ Ethic. 2,6 ], « la virtù rende buono chi la possiede ».

Ma l'abito che perfeziona l'intelletto non rende buono chi lo possiede: infatti un uomo non è detto buono per la sua scienza o per la sua arte.

Quindi l'intelletto non è sede di virtù.

In contrario:

Mente si dice in modo specialissimo dell'intelletto.

Ora, il soggetto proprio delle virtù è la mente, come risulta chiaro dalla definizione riportata sopra [ q. 55, a. 4 ].

Quindi l'intelletto è sede di virtù.

Dimostrazione:

La virtù, come si è detto [ q. 55, a. 3 ], è un abito che serve a ben operare.

Ora, un abito può essere ordinato a ben operare in due modi.

Primo, in quanto esso conferisce a un uomo la sola capacità di compiere bene degli atti: come l'abito della grammatica dà a un uomo la capacità di parlare correttamente.

Ma la grammatica non fa sì che egli parli sempre correttamente: infatti un grammatico può anche permettersi dei barbarismi o dei solecismi.

E lo stesso si dica delle altre scienze o arti.

- Secondo, in quanto un abito non dà solo la capacità di agire, ma anche quella di usare bene di questa capacità: come la giustizia non soltanto fa sì che un uomo sia di pronta volontà nel compiere cose giuste, ma anche fa sì che agisca secondo giustizia.

Ora, è in forza di tali abiti che uno opera il bene e che è buono in senso assoluto, p. es. giusto, temperante, ecc.: poiché una cosa viene detta buona, o ente, in senso assoluto non quando è in potenza, ma quando è in atto.

E poiché « la virtù è ciò che rende buono chi la possiede, e buone le azioni che egli compie » [ cf. l. cit. nell'ob. 3 ], a questi abiti si applica perfettamente il termine di virtù: poiché rendono attualmente buona un'azione, e rendono buono in senso assoluto chi la possiede.

Invece gli abiti del primo tipo non sono virtù in senso assoluto: poiché rendono buona l'azione solo rispetto a una data capacità; e neppure rendono buono in senso assoluto chi li possiede.

Se infatti uno è scienziato o artista, non si dice che è buono in senso assoluto, ma si dice che è buono soltanto in senso relativo: si dirà, p. es., che è un buon grammatico, o un buon artigiano.

Ed è per questo che d'ordinario le scienze e le arti vengono contrapposte alle virtù; qualche volta però, come fa Aristotele nel VI libro dell'Etica [ cc. 2,3 ], sono denominate virtù.

Perciò l'intelletto, non solo quello pratico, ma anche quello speculativo, può essere sede di quegli abiti che sono virtù in senso relativo, senza alcuna subordinazione alla volontà: il Filosofo, p. es., mette tra le virtù intellettive la scienza, la sapienza, l'intelletto e persino le arti [ ib. ].

- Invece per gli abiti che sono virtù in senso assoluto l'unica sede è la volontà; oppure qualche altra potenza in quanto è mossa dalla volontà.

E questo perché la volontà muove ai loro atti tutte le altre potenze che in qualche modo sono razionali, come sopra [ q. 9, a. 1; q. 17, aa. 1,5; I, q. 82, a. 4 ] abbiamo spiegato: perciò il retto agire di un uomo dipende dal fatto che egli ha buona la volontà.

E così la virtù che porta ad agire bene non solo per la capacità, ma anche per l'atto che produce, deve trovarsi nella volontà medesima; oppure in una potenza sotto la sua mozione.

L'intelletto però può essere mosso dalla volontà come le altre potenze: infatti uno pensa attualmente una cosa perché lo vuole.

Perciò, in quanto subordinato alla volontà, l'intelletto può essere sede o soggetto di virtù propriamente dette.

E in questo senso l'intelletto speculativo, o ragione, è il soggetto della fede: poiché l'intelletto viene mosso a dare l'assenso alle realtà di fede dal comando della volontà: infatti « nessuno crede se non perché lo vuole » [ Agost., In Ioh. ev. tract. 26 ].

- Invece l'intelletto pratico è il soggetto della prudenza.

Essendo infatti questa la retta ragione dell'agire umano, si richiede che l'uomo prudente sia ben disposto rispetto ai princìpi dell'agire razionale, cioè rispetto ai fini di esso; e questa buona disposizione dipende dalla rettitudine della volontà, come la buona disposizione rispetto ai princìpi speculativi dipende dal lume naturale dell'intelletto agente.

Come quindi l'intelletto speculativo, per la sua dipendenza dall'intelletto agente, è la sede o il soggetto della scienza, che è la retta ragione rispetto alle verità speculative, così il soggetto della prudenza è l'intelletto pratico, per la sua dipendenza dalla volontà retta.

Analisi delle obiezioni:

1. Le parole di S. Agostino vanno applicate alla virtù propriamente detta: non nel senso che ogni virtù del genere sia amore in senso assoluto, ma perché essa dipende in qualche modo dall'amore, in quanto dipende dalla volontà, il cui primo moto è l'amore, come si è spiegato [ q. 25, aa. 1,2,3; q. 27, a. 4; I, q. 20, a. 1 ].

2. Il bene di ciascun essere è il proprio fine: perciò, essendo fine dell'intelletto il vero, conoscere il vero è l'atto buono dell'intelletto.

Quindi l'abito che dà la perfezione all'intelletto con la conoscenza del vero, sia in campo speculativo che in campo pratico, è detto virtù.

3. L'argomento è valido se si tratta della virtù in senso assoluto.

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