Summa Teologica - I-II

Indice

Articolo 1 - Se [ certe ] virtù morali debbano considerarsi cardinali, o principali

Infra, q. 66, a. 4; In 3 Sent., d. 33, q. 2, a. 1, sol. 2; De Virt., q. 1, a. 12, ad 24; q. 5, a. 1

Pare che [ certe ] virtù morali non debbano considerarsi cardinali, o principali.

Infatti:

1. Come insegna Aristotele [ Praed. 10 ], « le cose che si dividono per contrapposizione sono insieme nella realtà »: e così l'una non è più importante dell'altra.

Ma tutte le virtù morali dividono per contrapposizione il genere virtù.

Perciò nessuna di esse deve dirsi principale.

2. Il fine è più importante dei mezzi.

Ma le virtù teologali hanno per oggetto il fine, mentre le virtù morali si limitano ai mezzi.

Quindi devono dirsi principali, o cardinali, non certe virtù morali, ma piuttosto quelle teologiche.

3. Ciò che è per essenza viene prima di ciò che è per partecipazione.

Ma le virtù intellettuali appartengono a un soggetto razionale per essenza, mentre le virtù morali appartengono a facoltà razionali per partecipazione, come si è visto [ q. 56, a. 6, ad 2; q. 58, a. 3; q. 59, a. 4, ob. 2 ].

Quindi le virtù principali non saranno le morali, ma piuttosto le intellettuali.

In contrario:

S. Ambrogio [ In Lc 5 ], commentando quel passo evangelico [ Lc 6,20 ]: « Beati i poveri in spirito », scrive: « Sappiamo che ci sono quattro virtù cardinali, cioè la temperanza, la giustizia, la prudenza e la fortezza ».

Ma queste sono virtù morali.

Quindi certe virtù morali sono cardinali.

Dimostrazione:

Quando parliamo della virtù senza restrizioni intendiamo parlare della virtù umana.

Ora, stando alle spiegazioni date [ q. 56, a. 3 ], si dice virtù umana in tutto il rigore del termine quella virtù che richiede la rettitudine dell'appetito: infatti tale virtù non dà soltanto la capacità di agire bene, ma lo stesso esercizio del ben operare.

Invece la virtù che non richiede la rettitudine dell'appetito corrisponde a una nozione inadeguata della virtù: poiché dà la sola capacità di agire bene, ma non causa l'esercizio del ben operare.

Ora, è chiaro che una cosa perfetta è principale rispetto a quanto è imperfetto.

Perciò le virtù che implicano la rettitudine dell'appetito sono dette principali.

Ora, tali sono le virtù morali; e fra le intellettuali c'è la sola prudenza che in qualche modo, cioè per la materia di cui si occupa, è una virtù morale, come si è spiegato sopra [ q. 57, a. 4; q. 58, a. 3, ad 1 ].

È quindi logico che si pongano tra le virtù morali quelle che sono denominate principali o cardinali.

Analisi delle obiezioni:

1. Quando si divide nelle sue specie un genere univoco, allora le parti sono alla pari rispetto alla natura del genere; sebbene in realtà una specie sia più importante e più perfetta dell'altra: come l'uomo rispetto agli altri animali.

Quando invece si ha la divisione di un genere analogico, il quale viene predicato di più cose secondo una gradualità, allora nulla impedisce che uno [ dei membri della suddivisione ] sia più importante dell'altro anche rispetto alla nozione che hanno in comune: come la sostanza è più ente degli accidenti.

E tale è la divisione delle virtù nei loro vari generi: poiché il bene di ordine razionale non è in tutte secondo il medesimo rapporto.

2. Le virtù teologali, come si è già detto [ q. 58, a. 3, ad 3 ], trascendono l'uomo.

Esse perciò non possono chiamarsi umane, essendo sovrumane, cioè divine.

3. Eccettuata la prudenza, le altre virtù intellettuali non sono principali rispetto alla nozione di virtù, che si ricollega al bene che è oggetto dell'appetito; sebbene siano più importanti delle virtù morali per il soggetto in cui risiedono.

Indice