Summa Teologica - I-II

Indice

Articolo 1 - Se una virtù possa essere maggiore o minore

In 3 Sent., d. 36, q. 1, a. 4; De Malo, q. 2, a. 9, ad 8; De Virt., q. 5, a. 3

Pare che una virtù non possa essere maggiore o minore.

Infatti:

1. Nell'Apocalisse [ Ap 21,16 ] si dice che i lati della città di Gerusalemme sono uguali.

Ora, secondo la spiegazione della Glossa [ ord. ], questi lati stanno a indicare le virtù.

Perciò le virtù sono tutte uguali.

Quindi una virtù non può essere maggiore di un'altra.

2. Tutto ciò che consiste essenzialmente in un massimo non può essere maggiore o minore.

Ma la virtù consiste essenzialmente in un massimo: è infatti « l'ultimo grado della potenza », al dire del Filosofo [ De caelo 1,11 ]; e S. Agostino [ De lib. arb. 2,18.47 ] insegna che « le virtù sono i massimi beni, dei quali nessuno può usare malamente ».

Quindi la virtù non può essere né maggiore né minore.

3. La grandezza di un effetto si misura in base alla potenza dell'agente.

Ma le virtù perfette, che sono le virtù infuse, vengono da Dio, la cui potenza è uniforme e infinita.

Perciò non sembra che una virtù possa essere maggiore di un'altra.

In contrario:

Dovunque è possibile l'aumento e la sovrabbondanza, là ci può essere la disuguaglianza.

Ora, nelle virtù non manca la sovrabbondanza e l'aumento, poiché nel Vangelo [ Mt 5,20 ] si legge: « Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli »; e nei Proverbi [ Pr 15,6 ]: « Nella sovrabbondante giustizia vi è somma virtù ».

Quindi la virtù può essere maggiore o minore.

Dimostrazione:

L'argomento se una virtù possa essere maggiore di un'altra può essere inteso in due modi.

Primo, a proposito di virtù specificamente diverse.

E allora è evidente che una virtù è maggiore dell'altra.

Infatti una causa è sempre superiore ai suoi effetti; e tra gli effetti più uno è vicino alla causa e più eccelle.

Ora è evidente, secondo quanto abbiamo detto [ q. 18, a. 5; q. 61, a. 2 ], che la causa e la radice del bene umano è la ragione.

Perciò la prudenza, che perfeziona la ragione, sovrasta in bontà le altre virtù morali, che perfezionano la parte appetitiva in quanto partecipe della ragione.

E fra queste tanto più una è superiore all'altra quanto più si avvicina alla ragione.

Per cui la giustizia, che è nella volontà, è preferibile alle altre virtù morali; e la fortezza, che è nell'irascibile, va preferita alla temperanza la quale, essendo nel concupiscibile, partecipa meno della ragione, come nota Aristotele [ Ethic. 7,6 ].

Secondo, la questione può essere intesa a proposito di virtù della medesima specie.

E allora, stando a quanto si è detto sopra [ q. 52, a. 1 ] a proposito dello sviluppo degli abiti, una virtù può dirsi maggiore o minore sotto due aspetti: primo, in se stessa; secondo, dalla parte del soggetto in cui si trova.

Se è considerata in se stessa, allora la grandezza di una virtù viene misurata in base agli oggetti a cui si estende.

Ora, chiunque abbia una virtù, p. es. la temperanza, la possiede in rapporto a tutti gli oggetti a cui la temperanza si estende.

Il che non avviene per le scienze e per le arti: non è detto infatti che ogni grammatico sappia tutto ciò che appartiene alla grammatica.

E qui dissero bene gli Stoici, come riferisce Simplicio [ Comm. praed. 8 ], che la virtù non ammette il più e il meno come la scienza e le arti: poiché la virtù consiste essenzialmente in un massimo.

Se invece si considera la virtù dal lato del soggetto che ne partecipa, allora essa può risultare maggiore o minore sia per la diversità dei soggetti, sia rispetto ai vari tempi, se si tratta del medesimo soggetto.

Infatti nel raggiungere il giusto mezzo della virtù conforme alla retta ragione uno può essere meglio disposto di un altro: o per la maggiore pratica, o per una migliore disposizione naturale, o per un giudizio più perspicace della ragione, oppure per un maggior dono di grazia il quale, come dice S. Paolo [ Ef 4,7 ], viene elargito a ciascuno « secondo la misura del dono di Cristo ».

- E qui gli Stoici si ingannavano, pensando che nessuno dovesse essere considerato virtuoso se non fosse disposto alla virtù nel modo più perfetto.

Infatti per la nozione di virtù non si richiede, come essi pensavano, che si raggiunga il giusto mezzo della ragione in un punto indivisibile, ma basta tenersi presso il mezzo, come dice Aristotele [ Ethic. 2,9 ].

Come anche un bersaglio unico e indivisibile può essere raggiunto più o meno esattamente, e più o meno prontamente: come nel caso degli arcieri che si esercitano al bersaglio.

Analisi delle obiezioni:

1. Quella uguaglianza non è da intendersi secondo una misura assoluta, ma secondo una certa proporzionalità: poiché tutte le virtù crescono proporzionalmente nell'uomo, come vedremo [ a. seg. ].

2. L'ultimo grado attribuito alla virtù può rappresentare nel bene il più o il meno secondo i modi indicati: dal momento che non è un punto indivisibile, come si è detto [ nel corpo ].

3. Dio non opera secondo una necessità di natura, ma secondo l'ordine della sua sapienza, seguendo la quale distribuisce agli uomini una diversa misura di virtù, secondo le parole di S. Paolo [ Ef 4,7 ]: « A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo ».

Indice