Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se i frutti dello Spirito Santo di cui parla l'Apostolo siano atti

In Gal., c. 5, lect. 6

Pare che i frutti dello Spirito Santo di cui parla l'Apostolo [ Gal 5,22s ] non siano atti.

Infatti:

1. Una cosa da cui ci si attendono dei frutti non deve essa stessa essere denominata frutto: perché allora si andrebbe all'infinito.

Ora, dai nostri atti derivano già dei frutti, poiché sta scritto [ Sap 3,15 ]: « Il frutto delle opere buone è glorioso »; e altrove [ Gv 4,36 ]: « Chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna ».

Quindi i nostri atti non possono dirsi frutti.

2. S. Agostino [ De Trin. 10,10.13 ] insegna che « noi fruiamo di quegli oggetti di conoscenza nei quali la volontà riposa godendoli per se stessi ».

Ma la nostra volontà non deve riposare nei nostri atti per se stessi.

Quindi i nostri atti non possono dirsi frutti.

3. Tra i frutti dello Spirito Santo nominati dall'Apostolo ci sono delle virtù, cioè la carità, la mansuetudine, la fede e la castità.

Ma le virtù non sono atti, bensì abiti, come si è visto [ q. 55, a. 1 ].

Perciò i frutti non sono atti.

In contrario:

Sta scritto [ Mt 12,33 ]: « Dal frutto si conosce l'albero »; cioè, al dire dei Santi [ Dottori ], l'uomo dalle sue opere.

Quindi gli stessi atti umani sono denominati frutti.

Dimostrazione:

Il termine frutto dalle realtà materiali è passato a indicare quelle spirituali.

Ora, nelle realtà materiali si dice frutto ciò che la pianta produce quando è giunta alla sua perfezione, e che ha in se stesso una certa dolcezza.

E questo frutto si può riferire a due cose: all'albero che lo produce e all'uomo che dall'albero lo raccoglie.

Per analogia dunque anche nelle realtà spirituali il frutto può avere questi due significati: primo, può indicare ciò che l'uomo produce, come se l'uomo fosse l'albero; secondo, può indicare ciò che l'uomo ottiene.

Ora, non tutto ciò che l'uomo ottiene si presenta come frutto, ma solo ciò che è ultimo e insieme piacevole.

Infatti l'uomo possiede il campo e l'albero, ma questi non vengono chiamati frutti, bensì solo ciò che è ultimo, quello cioè che l'uomo intende ricavare dal campo e dall'albero.

E in questo senso il frutto dell'uomo è il fine ultimo, di cui egli deve fruire.

Se però si considera frutto dell'uomo ciò che egli produce, allora gli stessi atti umani si dicono frutti: infatti l'operazione è l'atto secondo del soggetto operante, ed è piacevole, se è ad esso proporzionata.

Se dunque un'operazione umana deriva da un uomo secondo la capacità della sua ragione, si dice che è un frutto della ragione.

Se invece deriva dall'uomo per una virtù superiore, che è quella dello Spirito Santo, allora si dice che l'operazione dell'uomo è un frutto dello Spirito Santo, come proveniente da un seme divino; poiché sta scritto [ 1 Gv 3,9 ]: « Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui ».

Analisi delle obiezioni:

1. Sebbene il frutto abbia in qualche modo natura di ultimo e di fine, nulla tuttavia impedisce che un frutto abbia un altro frutto, come un fine può essere ordinato a un altro fine.

Perciò le nostre opere, in quanto sono effetti dello Spirito Santo operante in noi, hanno natura di frutto; in quanto però sono ordinate al fine della vita eterna, hanno piuttosto natura di fiori.

Perciò sta scritto [ Sir 24,17 ]: « I miei fiori sono frutti di gloria e di ricchezza ».

2. Quando si dice che la volontà gode di una cosa per se stessa, l'affermazione può essere intesa in due modi.

Primo, in quanto la preposizione per indica la causa finale: e in questo senso uno non gode per se stesso che dell'ultimo fine.

Secondo, in quanto la preposizione indica la causa formale: e in questo senso uno può godere di tutto ciò che è piacevole per la sua forma.

Un malato, p. es., gode della guarigione per se stessa come di un fine; di una medicina dolce invece non come di un fine, bensì come di una cosa avente un buon sapore; di una medicina amara infine in nessun modo per se stessa, ma solo in vista di un'altra cosa.

- Perciò bisogna rispondere che l'uomo deve fruire solo di Dio per se stesso come del fine ultimo, e rallegrarsi degli atti virtuosi non come se fossero un fine, ma per l'onestà che essi contengono, piacevole per le persone virtuose.

Perciò S. Ambrogio [ De Parad. 13 ] afferma che le opere virtuose vengono dette frutti « in quanto saziano chi le possiede con una santa e sincera gioia ».

3. Talora i nomi delle virtù stanno per i loro atti, per cui S. Agostino scrive che « la fede è credere ciò che uno non vede » [ In Ioh. ev. tract. 40 ], e che « la carità è il moto dell'animo verso l'amore di Dio e del prossimo » [ De doctr. christ. 3,10 ].

E in questo senso sono presi i nomi delle virtù nell'enumerazione dei frutti.

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