Summa Teologica - I-II

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Articolo 6 - Se sia esatto definire il peccato come « una parola, un'azione o un desiderio contro la legge eterna »

In 2 Sent., d. 35, q. 1, a. 2; De Malo, q. 2, a. 1

Pare che non sia ben definito il peccato quando si dice [ Agost., Contra Faustum 22,27 ]: « Il peccato è una parola, un'azione o un desiderio contro la legge eterna ».

Infatti:

1. La parola, l'azione o il desiderio implicano sempre un atto.

Ma si è appena visto [ a. prec. ] che non tutti i peccati implicano un atto.

Quindi questa definizione non include tutti i peccati.

2. S. Agostino [ De duab. anim. 11 ] ha scritto: « Il peccato è la volontà di ritenere o di conseguire ciò che la giustizia non permette ».

Ora, la volontà rientra nella concupiscenza, se questa viene presa in senso lato per un appetito qualsiasi.

Perciò bastava dire che « il peccato è un desiderio contro la legge eterna », e non era necessario aggiungere: « una parola o un'azione ».

3. Il peccato propriamente consiste nello scostarsi dal fine: come infatti si è già notato [ q. 18, a. 6 ], il bene e il male si giudicano principalmente dal fine.

Per cui, nel definire il peccato in rapporto al fine, S. Agostino [ De lib. arb. 1,1.21 ] afferma che « peccare non è altro che attendere alle cose temporali trascurando le eterne »; e altrove [ Lib. LXXXIII quaest. 30 ] afferma che « tutta la malvagità umana consiste nell'usare ciò di cui si deve fruire, e nel fruire di ciò che si deve usare ».

Ma nella definizione indicata non si parla affatto dell'allontanamento dal debito fine.

Quindi essa non definisce bene il peccato.

4. Si dice che una cosa è proibita perché è contraria alla legge.

Ma non tutti gli atti peccaminosi sono cattivi perché proibiti, dato che alcuni sono proibiti perché cattivi.

Quindi nella definizione generica del peccato non si doveva mettere che è contro la legge di Dio.

5. Dalle cose dette in precedenza [ a. 1; q. 21, a. 1 ] è chiaro che il peccato indica un atto cattivo dell'uomo.

Ma al dire di Dionigi [ De div. nom. 4 ] « la cattiveria dell'uomo consiste nell'essere in contrasto con la ragione ».

Perciò bisognava dire che il peccato è contro la ragione, piuttosto che contro la legge eterna.

In contrario:

Basta l'autorità di S. Agostino.

Dimostrazione:

Dalle cose dette in precedenza [ a. 1 ] è evidente che il peccato non è altro che l'atto umano cattivo.

E così pure è evidente in base a quanto detto [ q. 1, a. 1 ] che un atto è umano perché è volontario: sia esso volontario perché emesso dalla volontà, come la volizione e la scelta, sia perché comandato dalla volontà, come gli atti esterni del parlare o dell'agire.

Ora, un atto umano deve la sua cattiveria al fatto che manca della debita misura.

D'altra parte la misura per qualsiasi cosa viene desunta da una regola, scostandosi dalla quale la cosa diviene sregolata.

Ora, ci sono due regole della volontà umana: una [ è quella ] prossima e omogenea, l'altra invece è la regola prima, cioè la legge eterna, che è come la ragione di Dio.

Quindi S. Agostino nella definizione del peccato incluse due elementi: il primo che costituisce la sostanza dell'atto umano, ed è come l'elemento materiale del peccato, quando dice: « una parola, un'azione o un desiderio »; il secondo invece che riguarda l'aspetto di male, ed è come l'elemento formale del peccato, quando dice: « contro la legge eterna ».

Analisi delle obiezioni:

1. L'affermazione e la negazione appartengono a un medesimo genere: come in campo trinitario generato e ingenerato, al dire di S. Agostino [ De Trin. 5, cc. 6,7 ], si riducono alla relazione.

Perciò nei termini parola e azione vanno intese anche le parole e le azioni omesse.

2. La causa prima del peccato sta nella volontà, che comanda tutti gli atti volontari, nei quali soltanto ci può essere il peccato: per cui S. Agostino talora definisce il peccato mediante la sola volontà.

Ma poiché anche gli atti esterni appartengono alla sostanza del peccato, per la loro malizia intrinseca, come si è già detto [ q. 20, aa. 1,2,3 ], era necessario indicare nella definizione qualcosa che riguardasse anche gli atti esterni.

3. La legge eterna ordina l'uomo prima di tutto e principalmente al fine, e conseguentemente lo dispone come si conviene all'uso dei mezzi in rapporto al fine.

Quando perciò si dice: « contro la legge eterna », si accenna all'allontanamento dal fine e a tutti gli altri disordini.

4. Quando si dice che non tutti i peccati sono cattivi perché proibiti, si intende di una proibizione del diritto positivo.

Ma quando si tratta del diritto naturale, che è contenuto primariamente nella legge eterna, e secondariamente nella facoltà di giudizio della ragione umana, allora tutti i peccati sono cattivi perché proibiti.

Infatti essi ripugnano al diritto naturale proprio perché sono atti disordinati.

5. Il peccato viene considerato dai teologi principalmente come offesa di Dio, mentre dai filosofi moralisti è considerato principalmente come atto contrario alla ragione.

Perciò S. Agostino giustamente lo definisce come contrario alla legge eterna piuttosto che come contrario alla ragione; tanto più che la legge eterna ci dà delle norme in molti campi che sorpassano la ragione umana, p. es. nelle realtà di fede.

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