Summa Teologica - I-II

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Articolo 7 - Se il consenso all'atto peccaminoso sia nella ragione superiore

Supra, q. 15, a. 4; In 2 Sent., d. 24, q. 3, a. 1; De Verit., q. 15, a. 3

Pare che il consenso all'atto peccaminoso non sia nella ragione superiore.

Infatti:

1. Acconsentire è un atto della facoltà appetitiva, come si è visto sopra [ q. 15, a. 1 ].

Ma la ragione è una facoltà conoscitiva.

Quindi l'acconsentire all'atto peccaminoso non è della ragione superiore.

2. La ragione superiore, come insegna S. Agostino [ De Trin. 12,7.10 ], « si applica a contemplare e a consultare le ragioni eterne ».

Talora invece si acconsente all'atto senza consultare le ragioni eterne: infatti non sempre l'uomo pensa alle cose di Dio quando acconsente a un atto.

Perciò il peccato di consenso non sempre risiede nella ragione superiore.

3. Con le ragioni eterne l'uomo può regolare non solo gli atti esterni, ma anche i piaceri e le altre passioni interiori.

Ora, l'acconsentire al piacere senza che uno « si decida a compiere l'atto » appartiene alla ragione inferiore, come insegna S. Agostino [ De Trin. 12,12.17 ].

Perciò anche l'acconsentire all'atto peccaminoso va talora attribuito alla ragione inferiore.

4. La ragione superiore sovrasta quella inferiore come la ragione sovrasta l'immaginativa.

Ma spesso l'uomo passa all'atto, mosso da una percezione della fantasia, senza alcuna deliberazione della ragione, come quando muove una mano o un piede senza pensarci.

Quindi la ragione inferiore può essa pure acconsentire all'atto peccaminoso senza la ragione superiore.

In contrario:

S. Agostino [ De Trin. 12,12.17 ] insegna: « Se nell'acconsentire al cattivo uso delle cose percepite dai sensi corporei si delibera un peccato qualsiasi con una decisione tale che se fosse possibile si compirebbe tale peccato anche materialmente, allora bisogna pensare che la donna ha offerto il frutto proibito all'uomo », nel quale appunto è raffigurata la ragione superiore.

Spetta quindi alla ragione superiore acconsentire all'atto del peccato.

Dimostrazione:

Il consenso implica un giudizio sulle cose a cui si acconsente: come infatti la ragione speculativa giudica e sentenzia su cose di ordine intellettivo, così la ragione pratica giudica e sentenzia sulle azioni da compiere.

Ora, si deve pensare che in ogni giudizio la sentenza ultima spetta al tribunale supremo; e anche in campo speculativo si riscontra che l'ultima sentenza su una data affermazione si ottiene ricorrendo ai primi princìpi.

Fino a che infatti rimane un principio più alto si può sempre riesaminare il problema in base ad esso: e quindi il giudizio è sospeso, come se non fosse stata data l'ultima sentenza.

Ora, secondo le spiegazioni date [ q. 19, a. 4; q. 71, a. 6 ], è evidente che gli atti umani possono essere regolati sia dalla regola della ragione umana, desunta dalle cose create che l'uomo conosce naturalmente, sia dalla regola della legge divina.

Essendo quindi la regola della legge divina superiore, l'ultima sentenza che conclude il giudizio appartiene alla ragione superiore, che ha per oggetto le ragioni eterne.

Trattandosi però di giudicare molte cose, il giudizio conclusivo è riservato per l'ultima di esse.

Ora, nelle azioni umane ciò che viene per ultimo è l'atto medesimo; invece il piacere o compiacenza che induce all'atto è un suo preambolo.

Perciò acconsentire all'atto spetta propriamente alla ragione superiore, mentre spetta alla ragione inferiore il giudizio preparatorio sulla compiacenza.

- Sebbene la ragione superiore possa giudicare anche di questa: poiché quanto ricade sotto il giudizio di un inferiore ricade anche sotto quello del suo superiore, mentre non è vero l'inverso.

Analisi delle obiezioni:

1. Secondo le spiegazioni date [ q. 15, a. 3 ], l'acconsentire è un atto della facoltà appetitiva non in modo assoluto, ma in dipendenza da un atto della ragione che giudica e delibera: infatti il consenso mira a far sì che la volontà tenda verso ciò che la ragione ha giudicato.

Perciò il consenso può essere attribuito tanto alla volontà quanto alla ragione.

2. Per il fatto stesso che la ragione superiore non dirige gli atti umani secondo la legge divina, in modo da impedire l'atto peccaminoso, si dice che vi acconsente, sia che pensi sia che non pensi alla legge eterna.

Se infatti pensa alla legge di Dio, in quel momento la disprezza; se invece non vi pensa, la trascura con un'omissione.

E così in tutti i modi il consenso all'atto peccaminoso procede dalla ragione superiore: poiché, come dice S. Agostino [ De Trin. 12,12.17 ], « non ci si può determinare mentalmente a commettere un peccato senza che quella parte dell'anima in cui risiede il potere supremo ceda o cooperi alla cattiva azione muovendo o trattenendo le membra dall'agire ».

3. Mediante la considerazione della legge eterna la ragione superiore può suscitare o impedire sia l'atto esterno, sia il piacere o la compiacenza interna.

Tuttavia in certi casi, prima che si giunga al giudizio della ragione superiore, appena la sensualità propone un piacere la ragione inferiore lo accetta in base a ragioni di ordine transitorio: e in questo caso il consenso al piacere appartiene alla ragione inferiore.

Se invece uno persevera in tale consenso anche di fronte alle ragioni eterne, allora tale consenso va attribuito alla ragione superiore.

4. L'apprensione dell'immaginativa è improvvisa e senza deliberazione: perciò può causare un atto prima che la ragione, sia inferiore che superiore, abbia il tempo di deliberare.

Invece il giudizio della ragione inferiore è basato su una deliberazione, che ha bisogno di tempo, durante il quale anche la ragione superiore può deliberare.

Se dunque questa con la sua deliberazione non lo reprime, l'atto peccaminoso le viene imputato.

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