Summa Teologica - I-II

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Articolo 9 - Se ricada sotto il precetto il modo virtuoso di adempierlo

Supra, q. 96, a. 3, ad 2; II-II, q. 44, a. 4, ad 1; In 2 Sent., d. 28, q. 1, a. 3; In 4 Sent., d. 15, q. 3, a. 4, sol. 1, ad 3

Pare che ricada sotto il precetto il modo virtuoso di adempierlo.

Infatti:

1. Si ha il modo virtuoso di agire quando uno compie con giustizia le cose giuste, con fortezza quelle forti, e così via.

Ora, nel Deuteronomio [ Dt 16,20 ] si legge: « Compirai con giustizia quanto è giusto ».

Quindi il modo virtuoso ricade sotto il precetto.

2. La cosa che più ricade sotto il precetto è ciò a cui mira l'intenzione del legislatore.

Ora, secondo Aristotele [ Ethic. 2,1 ], l'intenzione principale del legislatore è di rendere gli uomini virtuosi.

D'altra parte a chi è virtuoso spetta di agire virtuosamente.

Perciò la maniera virtuosa di agire è di precetto.

3. La maniera virtuosa dell'atto consiste propriamente nel compierlo volontariamente e con gioia.

Ora, ciò ricade sotto il precetto della legge divina, poiché si legge nei Salmi [ Sal 100,2 ]: « Servite il Signore nella gioia », e in S. Paolo [ 2 Cor 9,7 ]: « Non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia ».

E la Glossa [ ord. di Agost. ] aggiunge: « Tutto ciò che fai di bene, compilo con gioia, e allora lo compirai bene; se invece lo fai con tristezza, esso viene fatto da te, ma non sei tu che lo fai ».

Quindi il modo virtuoso ricade sotto il precetto.

In contrario:

Aristotele [ Ethic. 2,4; 5,8 ] dimostra che nessuno può agire come agisce una persona virtuosa senza avere l'abito della virtù.

D'altra parte chi trasgredisce un precetto merita un castigo.

Perciò ne seguirebbe che chi non ha l'abito della virtù meriterebbe un castigo nel fare qualsiasi cosa.

Ma ciò è contro l'intenzione della legge, la quale tende a portare l'uomo alla virtù abituandolo alle opere buone.

Quindi non ricade sotto il precetto il modo virtuoso di adempierlo.

Dimostrazione:

Il precetto della legge ha forza coattiva, come si è visto [ q. 90, a. 3, ad 2 ].

Ricade dunque direttamente sotto il precetto della legge ciò a cui la legge costringe.

Ma la costrizione della legge si attua col timore della pena, come nota Aristotele [ Ethic. 10,9 ]: infatti ricade propriamente sotto il precetto quanto la legge colpisce con una pena.

Tuttavia nello stabilire la pena la legge divina e quella umana non si trovano nelle stesse condizioni.

Infatti una legge non può infliggere una pena se non per le cose di cui il legislatore ha modo di giudicare: poiché la legge punisce in base a un giudizio.

Ora l'uomo, latore della legge umana, è in grado di giudicare solo gli atti esterni: poiché, come dice la Scrittura [ 1 Sam 16,7 ], « l'uomo guarda l'apparenza ».

Dio invece, latore della legge divina, giudica dei moti interiori della volontà, secondo l'espressione del Salmo [ Sal 7,10 ]: « Dio prova mente e cuore ».

In base a ciò si deve dunque concludere che la maniera virtuosa [ dell'agire umano ] sotto un certo aspetto interessa sia la legge umana che quella divina; sotto un altro aspetto invece interessa la legge divina, ma non quella umana; sotto un terzo aspetto infine non interessa né quella umana né quella divina.

Infatti la maniera virtuosa di un atto implica, secondo Aristotele [ Ethic. 2,4 ], tre elementi.

Primo, che uno agisca « scientemente ».

E ciò interessa sia la legge divina che quella umana.

Chi infatti agisce per ignoranza compie un'azione umana solo per accidens.

Perciò sia la legge umana che quella divina tengono conto dell'ignoranza nel punire o nello scusare un atto.

Il secondo elemento dell'atto virtuoso è invece che uno agisca « volontariamente », ossia « deliberatamente per un dato scopo »: il che implica due moti interiori di cui abbiamo già parlato [ qq. 8;12 ], cioè la volizione e l'intenzione.

Ora, la legge umana non è in grado di giudicare di essi, ma lo è solo la legge divina.

Infatti la legge umana non punisce chi vuole uccidere e non uccide, mentre lo punisce la legge divina, come sta scritto [ Mt 5,22 ]: « Chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio ».

Il terzo elemento infine è che uno « agisca e si comporti con fermezza ».

E questa fermezza è propria dell'abito, in quanto uno agisce grazie all'abito che in lui è radicato.

E sotto questo aspetto la maniera virtuosa dell'atto non ricade sotto il precetto né della legge divina né della legge umana: infatti non è punito né dalla legge divina né da quella umana, come trasgressore del precetto, chi rende ai genitori l'onore dovuto senza avere l'abito della pietà.

Analisi delle obiezioni:

1. Il modo di compiere gli atti di giustizia che ricade sotto il precetto è il compimento di una cosa secondo l'ordine del diritto, e non il suo compimento in forza dell'abito della giustizia.

2. L'intenzione del legislatore ha di mira due cose.

La prima, a cui vuole indurre mediante i precetti della legge, è la virtù.

La seconda invece è l'oggetto su cui intende dare il precetto: e questo è il mezzo per condurre o predisporre alla virtù, ossia l'atto della virtù.

Infatti il fine del precetto non si identifica con la materia su cui il precetto viene dato: come anche nelle altre cose non si identificano mai il fine e il mezzo ad esso ordinato.

3. Compiere senza tristezza l'atto virtuoso ricade sotto il precetto della legge divina: poiché chi lo compie con tristezza non lo compie volentieri.

Compierlo invece con gioia, ossia con letizia e ilarità, in qualche modo ricade sotto il precetto - in quanto cioè la gioia, che ha la sua causa nell'amore, deriva dall'amore di Dio e del prossimo, amore che è di precetto -, ma in qualche modo non vi ricade: cioè non ricade sotto il precetto la gioia che accompagna l'abito; poiché secondo il Filosofo [ Ethic. 2,3 ] « il piacere è il segno dell'abito già generato ».

Infatti un atto può essere gradito e piacevole o per il fine, o perché concorda con l'abito.

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