Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se qualsiasi atto di chi non ha la fede sia peccato

Infra, q. 23, a. 7, ad 1; In 2 Sent., d. 41, q. 1, a. 2; In 4 Sent., d. 39, q. 1, a. 2, ad 5; De Malo, q. 2, a. 5, ad 7; In Rom., c. 14, lect. 3; In Tit., c. 1, lect. 4

Pare che qualsiasi atto di chi non ha la fede sia peccato.

Infatti:

1. A commento di quel detto di S. Paolo [ Rm 14,23 ]: « Tutto quello che non viene dalla fede è peccato », la Glossa [ ord. di Prospero ] afferma: « Tutta la vita degli infedeli è peccato ».

Ora, tutte le azioni degli infedeli fanno parte della loro vita.

Quindi tutte le azioni degli infedeli sono peccato.

2. È la fede che rettifica l'intenzione.

Ora, non ci può essere un'opera buona senza retta intenzione.

Perciò in chi è privo della fede nessuna opera potrà essere buona.

3. Corrotto l'inizio si corrompe anche ciò che segue.

Ma l'atto della fede precede gli atti di tutte le virtù.

Non avendo quindi gli increduli l'atto della fede, essi non possono compiere alcuna opera buona, ma peccano in ogni loro azione.

In contrario:

A Cornelio, mentre era ancora privo della fede, fu rivelato che le sue elemosine erano accette a Dio [ cf. At 10,4.31 ].

Quindi non tutte le azioni di chi è privo della fede sono peccati, ma alcune sono buone.

Dimostrazione:

È stato dimostrato in precedenza [ I-II, q. 85, aa. 2,4 ] che il peccato mortale toglie la grazia santificante, ma non distrugge totalmente il bene della natura.

Ora, essendo l'incredulità un peccato mortale, chi è senza fede è certamente privo della grazia; tuttavia rimangono in lui dei beni di natura.

Perciò è evidente che gli increduli non possono compiere le opere buone che procedono dalla grazia, cioè le opere meritorie; però essi possono compiere le opere buone per le quali è sufficiente la bontà naturale.

Quindi non è necessario che essi pecchino in ogni loro azione, ma peccano ogni volta che compiono un'opera dettata dalla loro incredulità.

Come infatti uno, pur avendo la fede, può commettere un peccato, sia veniale che mortale, in un atto che non implica la fede, così chi è privo della fede può compiere un atto buono in cose che non implicano la sua incredulità.

Analisi delle obiezioni:

1. L'affermazione va intesa o nel senso che la vita degli infedeli non può essere senza peccato, dal momento che i peccati non sono rimessi senza la fede, oppure nel senso che quanto essi compiono mossi dalla loro incredulità è peccato.

Per cui a quel testo vengono aggiunte le parole [ P. Lomb. ]: « poiché chi vive o agisce da incredulo pecca gravemente ».

2. La fede rettifica l'intenzione rispetto al fine ultimo soprannaturale.

Ma anche il lume della ragione naturale è in grado di rettificare l'intenzione rispetto a dei beni ad essa connaturali.

3. L'incredulità non distrugge totalmente la ragione naturale, ma rimane negli increduli una certa conoscenza della verità, con la quale possono compiere qualche opera buona.

4. [ S. c. ]. Quanto al centurione Cornelio si deve notare che egli non era privo di fede: altrimenti il suo operare non sarebbe stato accetto a Dio, al quale nessuno può essere gradito senza la fede.

Si trattava però di una fede implicita, non ancora rischiarata dalla verità evangelica.

E per questo gli fu inviato S. Pietro a istruirlo pienamente nella fede.

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