Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se la gioia spirituale causata dalla carità escluda ogni tristezza

Pare che la gioia spirituale causata dalla carità non escluda ogni tristezza.

Infatti:

1. Appartiene alla carità godere per il bene del prossimo, come dice S. Paolo [ 1 Cor 13,6 ]: « Non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità ».

Ora, in questa gioia si mescola la tristezza, secondo l'altra espressione dell'Apostolo [ Rm 12,15 ]: « Rallegratevi con chi è nella gioia e piangete con chi è nel pianto ».

Perciò la gioia spirituale della carità è compatibile con la tristezza.

2. Come insegna S. Gregorio [ In Evang. hom. 34 ], è penitenza « piangere il male commesso, e non commettere più cose degne di pianto ».

Ma la vera penitenza non può esistere senza la carità.

Quindi la gioia della carità è compatibile con la tristezza.

3. Viene dalla carità che uno desideri di essere con Cristo, secondo l'espressione di S. Paolo [ Fil 1,23 ]: « Desidero di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo ».

Ma da questo desiderio deriva nell'uomo una certa tristezza, secondo le parole del Salmo [ Sal 120,5 ]: « Me infelice: abito straniero in Mosoch! ».

Perciò la gioia della carità ammette una mescolanza di tristezza.

In contrario:

La gioia della carità è la gioia della sapienza divina.

Ora, questa gioia non ammette tristezza, secondo quanto è scritto [ Sap 8,16 ]: « La sua compagnia non dà amarezza ».

Quindi la gioia della carità è incompatibile con la tristezza.

Dimostrazione:

Come sopra [ a. prec., ad 3 ] si è notato, dalla carità nascono due tipi di gioia.

Una gioia principale, propria della carità, con cui godiamo del bene divino considerato in se stesso.

E questa gioia non ammette alcuna tristezza: come neppure il bene di cui gode ammette mescolanza alcuna di male.

Per cui l'Apostolo [ Fil 4,4 ] ammonisce: « Rallegratevi nel Signore, sempre ».

C'è però un'altra gioia della carità, con la quale uno gode del bene divino in quanto partecipato da noi.

Ora, questa partecipazione può essere ostacolata da qualcosa di contrario.

Quindi da questo lato la gioia della carità può ammettere una mescolanza di tristezza: in quanto cioè uno si rattrista di ciò che impedisce la partecipazione del bene divino, o in noi o nel prossimo, che amiamo come noi stessi.

Analisi delle obiezioni:

1. Il pianto del prossimo non è motivato che da un male.

Ma ogni male implica una mancanza di partecipazione del sommo bene.

Perciò la carità in tanto fa prendere parte al dolore del prossimo, in quanto in lui viene impedita la partecipazione del bene divino.

2. Come dice Isaia [ Is 59,2 ], « i peccati scavano un abisso tra noi e Dio ».

Quindi la ragione per piangere i peccati commessi da noi, o anche da altri, è il fatto che essi ci impediscono di partecipare il bene divino.

3. Sebbene nel misero esilio di questa vita partecipiamo in qualche modo il bene divino con la conoscenza e con l'amore, tuttavia la miseria della vita presente ce ne impedisce la perfetta partecipazione, quale si avrà nella patria.

E così anche la sofferenza per la dilazione della gloria è dovuta all'impedimento della partecipazione del bene divino.

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