Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se un giudice possa pronunziare una sentenza contro la verità che egli personalmente conosce, stando alle deposizioni

Supra, q. 64, a. 6, ad 3

Pare che un giudice, pressato dalle deposizioni contrarie, non possa pronunziare una sentenza contro la verità che egli personalmente conosce.

Infatti:

1. Sta scritto [ Dt 17,9 ]: « Andrai dai sacerdoti e dal giudice in carica a quel tempo: chiederai ad essi un giusto giudizio, ed essi ti giudicheranno secondo verità ».

Ma talora vengono fatte delle deposizioni contrarie alla verità: come quando viene provata una cosa con dei falsi testimoni.

Quindi un giudice non può giudicare, in base alle risultanze e alle prove, contro la verità da lui personalmente conosciuta.

2. Nel giudicare l'uomo è tenuto a conformarsi al giudizio di Dio: poiché, come dice la Scrittura [ Dt 1,17 ], « il giudizio appartiene a Dio ».

Ora, il « giudizio di Dio è secondo verità », come dice S. Paolo [ Rm 2,2 ]; e in Isaia [ Is 11,3s ] si fa questa predizione su Cristo: « Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire, ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese ».

Quindi un giudice non deve sentenziare stando alle risultanze del processo contro i dati da lui personalmente conosciuti.

3. In tribunale le prove sono richieste per testimoniare al giudice la verità dei fatti: per cui nei fatti notori non si richiede la procedura giudiziaria; come appare dall'accenno di S. Paolo [ 1 Tm 5,24 ]: « Di alcuni uomini i peccati si manifestano prima del giudizio ».

Se quindi il giudice conosce direttamente la verità, non deve badare alle risultanze del processo, ma dare la sentenza secondo la verità che egli conosce.

4. Il termine « coscienza » esprime l'applicazione della scienza a una data azione, come si è notato nella Prima Parte [ q. 79, a. 13 ].

Ma agire contro coscienza è peccato.

Se quindi un giudice pronunzia la sentenza stando alle risultanze processuali contro la coscienza della verità che egli possiede, commette un peccato.

In contrario:

S. Agostino [ Ambr., In Ps. 118, serm. 20,36 ] insegna: « Il buon giudice non decide nulla di suo arbitrio, ma si esprime secondo le leggi e il diritto ».

Ora, ciò significa giudicare stando alle risultanze del processo.

Quindi il giudice deve dare la sentenza in base a queste, e non secondo il proprio arbitrio.

Dimostrazione:

Come si è già notato [ a. prec.; q. 60, a. 6 ], giudicare appartiene al giudice in quanto riveste un pubblico potere.

Egli perciò nel giudicare deve procedere non come persona privata, ma in base a quanto egli conosce come persona pubblica.

Ora, per questo egli desume le sue informazioni da una fonte generale e da una fonte particolare.

La prima è costituita dalle leggi pubbliche, sia divine che umane: e contro di esse egli non deve ammettere alcuna prova.

La seconda invece è costituita in ogni causa particolare dagli strumenti appositi, dai testimoni e dalle altre documentazioni legittime: e nel giudicare egli deve uniformarsi più a queste prove che non a quanto egli conosce come persona privata.

Tuttavia di queste conoscenze egli può servirsi per indagare con più rigore le prove addotte, e scoprirne l'inganno.

Se però a norma del diritto non potesse respingerle, deve uniformarsi ad esse nel giudicare, come si è già detto [ s. c. ].

Analisi delle obiezioni:

1. Nel testo riferito si parla della presentazione del ricorso da farsi ai giudici proprio per far comprendere che i giudici devono giudicare in base alle deposizioni e alle risultanze.

2. A Dio il potere di giudicare spetta per se stesso.

Quindi nel giudicare egli dipende dalla verità che direttamente conosce in se medesimo, e non da quanto può ricevere da altri.

E lo stesso vale per Cristo, che è vero Dio e vero uomo.

Ma gli altri giudici non hanno per se stessi il potere di giudicare.

Quindi il paragone non regge.

3. L'Apostolo parla di quei casi in cui un fatto non è manifesto soltanto al giudice, ma anche ad altri, cosicché il reo non può in alcun modo negare il delitto, ed è subito convinto dall'evidenza dei fatti.

Se invece la cosa è conosciuta dal giudice e non da altri, oppure da altri e non dal giudice, allora è necessaria la discussione della causa.

4. Nelle cose relative alla propria persona l'uomo è tenuto a uniformare la coscienza alla propria scienza, ma nelle cose relative ai pubblici poteri deve uniformare la sua coscienza a ciò che può conoscere in base al suo ufficio.

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