Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se un giudice possa condannare un imputato anche in mancanza di altri accusatori

C. impugn., c. 3

Pare che un giudice possa condannare un imputato anche in mancanza di altri accusatori.

Infatti:

1. La giustizia umana deriva da quella divina.

Ora, Dio condanna i peccatori anche se non c'è alcun accusatore.

Quindi un uomo può condannare in giudizio un'altra persona anche in mancanza di accusatori.

2. In un processo si richiede l'accusatore per presentare il delitto al giudice.

Ma in certi casi il delitto può essere presentato al giudice in maniera diversa dall'accusa, cioè mediante la denunzia, la pubblica infamia o anche la conoscenza oculare del giudice stesso.

Perciò il giudice può condannare una persona senza l'accusatore.

3. Le gesta dei Santi sono narrate dalla Scrittura come esempi da imitare nella vita umana.

Ora, si legge che Daniele [ Dn 13,45ss ] fu insieme accusatore e giudice degli anziani delinquenti.

Quindi non agirebbe contro la giustizia chi condannasse qualcuno facendo insieme la parte del giudice e dell'accusatore.

In contrario:

S. Ambrogio [ In I Cor, su 5,2 ], commentando la condanna dell'Apostolo contro il fornicatore di Corinto, afferma che « il giudice non ha la facoltà di condannare senza l'accusatore: poiché anche il Signore non allontanò Giuda, che pure era un ladro, non essendo egli stato accusato ».

Dimostrazione:

Il giudice è l'interprete della giustizia: infatti il Filosofo [ Ethic. 5,4 ] scrive che « si ricorre al giudice come a una giustizia animata ».

Ora la giustizia, come sopra [ q. 58, a. 2 ] si è detto, non ha per oggetto se stessi, ma gli altri.

Quindi il giudice deve decidere tra due individui: il che avviene quando l'uno è attore e l'altro imputato.

Perciò nelle cause criminali un giudice non può pronunziare una condanna senza l'accusa; conformemente a quel testo degli Atti [ At 25,16 ]: « Non è usanza dei Romani consegnare una persona prima che l'accusato sia stato messo a confronto con i suoi accusatori e possa aver modo di difendersi dall'accusa ».

Analisi delle obiezioni:

1. Nel suo giudizio Dio ha come accusatore la coscienza del colpevole, conformemente a quel passo in cui S. Paolo [ Rm 2,15 ] parla « dei ragionamenti che ora li accusano e ora li difendono ».

O anche ha dinanzi a sé l'evidenza del fatto, conformemente al passo della Genesi [ Gen 4,10 ]: « La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo ».

2. La pubblica infamia sostituisce l'accusatore.

Per cui la Glossa [ interlin. ], spiegando quel testo [ Gen 4,10 ]: « La voce del sangue di tuo fratello », ecc., fa questo rilievo: « L'evidenza del delitto commesso non ha bisogno di accusatori ».

- Invece nella denunzia, come sopra [ q. 33, a. 7 ] si è detto, non si ha di mira la punizione del colpevole, ma il suo emendamento: quindi nella denunzia non si agisce contro di lui, ma in suo favore.

Perciò allora non si richiede l'accusatore.

Il castigo poi è inflitto per la ribellione alla Chiesa: e poiché la ribellione è evidente, l'accusa è inutile.

- Quanto invece alla conoscenza oculare personale, essa non dà al giudice la facoltà di procedere alla sentenza prescindendo dall'ordinamento di un pubblico processo.

3. Dio nel suo giudizio procede, come si è detto sopra [ a. prec., ad 2 ], in base alla conoscenza diretta della verità; non così invece l'uomo.

Per cui l'uomo non può essere insieme, come Dio, accusatore, giudice e testimone.

Quanto a Daniele, egli fu insieme accusatore e giudice come esecutore del giudizio di Dio, dalla cui ispirazione era mosso, come si è già notato [ a. 1, ad 1 ].

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