Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se un giudice possa condonare la pena

III, q. 46, a. 2, ad 3; In 1 Sent., d. 43, q. 2, a. 2, ad 5; In 4 Sent., d. 46, q. 1, a. 2, sol. 2

Pare che un giudice possa condonare la pena.

Infatti:

1. Sta scritto [ Gc 2,13 ]: « Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia ».

Ma nessuno viene punito perché non fa ciò che non gli è lecito fare.

Quindi qualsiasi giudice può usare misericordia condonando la pena.

2. Il giudizio dell'uomo deve imitare quello di Dio.

Ora, Dio condona la pena ai peccatori pentiti poiché, come dice Ezechiele [ Ez 18,23 ], « egli non vuole la morte del peccatore ».

Perciò anche il giudice umano ha la facoltà di condonare la pena a chi è pentito.

3. A chiunque è lecito fare ciò che giova a qualcuno senza danneggiare nessuno.

Ora, l'assoluzione del colpevole giova a costui senza recar danno ad alcuno.

Quindi il giudice può sempre lecitamente assolvere il reo dalla pena.

In contrario:

A proposito di chi tenta di indurre all'idolatria, si legge nel Deuteronomio [ Dt 13,9s ]: « Il tuo occhio non lo compianga; non risparmiarlo, non coprire la sua colpa. Anzi, devi ucciderlo ».

E a proposito dell'omicida [ Dt 19,12s ]: « Sia messo a morte. L'occhio tuo non lo compianga ».

Dimostrazione:

Come risulta evidente dalle cose già dette [ aa. 2,3 ], a proposito del giudice si devono tenere presenti due considerazioni: primo, che egli è chiamato a giudicare tra l'accusatore e il reo; secondo, che egli pronunzia la sentenza non a nome proprio, ma a nome della pubblica autorità.

Perciò al giudice è impedito di condonare la pena al reo per due motivi.

Primo, dalla parte dell'accusatore, il quale può esigere che il reo sia punito per l'ingiuria commessa ai suoi danni; e il condono non è lasciato all'arbitrio di qualche giudice, poiché il giudice è tenuto a rendere a ciascuno il proprio diritto.

Secondo, vi è l'impedimento dalla parte della società, del cui potere il giudice è investito e il cui bene esige la punizione dei malfattori.

Però da questo lato c'è diversità tra i giudici subordinati e il giudice supremo, che è il principe, il quale detiene il pubblico potere nella sua pienezza.

Infatti i giudici subordinati non hanno il potere di condonare la pena al reo contro le leggi imposte dai suoi superiori.

Per cui S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 116 ], spiegando quel passo evangelico [ Gv 19,11 ]: « Tu non avresti alcun potere sopra di me », ecc., afferma: « Dio aveva dato a Pilato un potere subordinato all'autorità di Cesare, per cui egli non era libero di assolvere un imputato ».

Invece il principe, che è investito dei pieni poteri dello stato, può lecitamente assolvere il reo, qualora l'offeso voglia condonare l'ingiuria, se la cosa non pregiudica il bene pubblico.

Analisi delle obiezioni:

1. La misericordia del giudice deve esplicarsi in quelle cose che sono lasciate al suo arbitrio, e a proposito delle quali il Filosofo [ Ethic. 5,10 ] scrive che « l'uomo dabbene tende a diminuire i castighi ».

Ma egli non ha la facoltà di usare misericordia in quelle cose che sono determinate dalle leggi divine e umane.

2. Dio ha il supremo potere di giudicare, e inoltre qualsiasi colpa commessa contro il prossimo lo riguarda.

Perciò egli è sempre libero di condonare la pena: specialmente se pensiamo che ogni peccato merita il castigo soprattutto perché è contro di lui.

Tuttavia Dio non condona la pena se non in quanto ciò conviene alla sua bontà, che è la radice di ogni legge.

3. Se un giudice condonasse la pena quando non deve, farebbe un danno alla società, la quale richiede la punizione dei delitti, affinché vengano evitati i peccati. Infatti nel Deuteronomio [ Dt 13,12 ], a proposito del castigo dei seduttori, si legge: « Tutto Israele lo verrà a sapere, ne avrà timore e non commetterà in mezzo a te una tale azione malvagia ».

Inoltre farebbe un danno alla persona che ha subito l'ingiustizia, e che attende di ricevere un compenso con una certa restituzione del suo onore attraverso il castigo del colpevole.

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