Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se le virtù annesse alla giustizia siano ben elencate

Infra, q. 122, a. 1; I-II, q. 60, a. 3; In 3 Sent., d. 9, q. 1, a. 1, sol. 4; d. 33, q. 3, a. 4

Pare che le virtù annesse alla giustizia non siano ben elencate.

Infatti:

1. Cicerone [ De invent. 2,53 ] ne enumera sei, cioè: la religione, la pietà, la gratitudine, la vendetta, l'osservanza, la veracità.

Ora, la vendetta è una specie della giustizia commutativa, la quale, come sopra [ q. 61, a. 4 ] si è spiegato, ha il compito di vendicare le ingiustizie subite.

Perciò essa non andava elencata tra le virtù annesse alla giustizia.

2. Macrobio [ Sup. somn. Scip. 1,8 ] poi ne enumera sette, cioè: l'innocenza, l'amicizia, la concordia, la pietà, la religione, l'affetto, l'umanità; e di queste alcune sono state dimenticate da Cicerone.

Quindi questi nell'enumerare le virtù annesse alla giustizia non è esauriente.

3. Altri autori determinano cinque parti della giustizia: l'obbedienza verso i superiori, la disciplina verso gli inferiori, l'uguaglianza verso gli uguali, la fede e la veracità verso tutti.

Ora, di queste parti Cicerone ricorda solo la veracità.

Perciò la sua enumerazione non è esauriente.

4. Il peripatetico Andronico [ De affect. ] enumera nove virtù connesse con la giustizia: la liberalità, la benignità, la vendetta, l'eugnomosina, l'eusebia, l'eucaristia, la santità, la retta commutazione, la legislativa.

Ma di esse Cicerone non ricorda che la vendetta.

Quindi la sua enumerazione è insufficiente.

5. Aristotele [ Ethic. 5,10 ] ricollega alla giustizia anche l'epicheia, che non viene ricordata in nessuno degli elenchi riportati.

Quindi le virtù annesse alla giustizia non sono enumerate in modo esauriente.

Dimostrazione:

Perché una virtù sia annessa a una virtù principale si richiedono due cose: primo, che convenga in qualcosa con la virtù principale; secondo, che in qualcosa si scosti dalla perfetta nozione di essa.

Ora, poiché la giustizia, come sopra [ q. 58, a. 2 ] si è detto, è rivolta verso gli altri, tutte le virtù che mirano al bene altrui possono riallacciarsi alla giustizia a motivo di tale convenienza.

Ma la nozione di giustizia, come si è già dimostrato [ q. 58, a. 11 ], esige che si renda ad altri quanto è loro dovuto con perfetta uguaglianza.

Per cui una virtù che mira al bene altrui può scostarsi in due modi dalla nozione di giustizia: primo, in quanto non raggiunge l'uguaglianza; secondo in quanto non raggiunge la natura di cosa dovuta.

Ci sono infatti delle virtù che rendono ad altri delle cose loro dovute, ma non possono renderle con uguaglianza.

E innanzitutto quanto l'uomo rende a Dio è una cosa dovuta, ma non può essere una cosa adeguata, in modo cioè che si renda tanto quanto è dovuto, poiché sta scritto [ Sal 116,12 ]: « Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? ».

Perciò da questo lato alla giustizia si aggiunge la religione « la quale », secondo le parole di Cicerone [ cf. ob. 1 ], « rende a una natura di ordine superiore, che chiamiamo divina, i doveri di culto ».

- Secondo, non è possibile ricompensare con vera uguaglianza ciò che è dovuto ai genitori, come spiega il Filosofo [ Ethic. 8,14 ].

E così alla giustizia si aggiunge la pietà « la quale », come scrive Cicerone [ l. cit. ], « presta servizi e cure diligenti ai consanguinei e ai benemeriti della patria ».

Terzo, l'uomo non è in grado di ricompensare adeguatamente la virtù, come dimostra il Filosofo [ Ethic. 4,3 ].

E sotto questo aspetto alla giustizia si riallaccia l'osservanza, « mediante la quale », come dice Cicerone [ l. cit. ], « le persone eminenti vengono circondate di deferenza e di onore ».

Quanto poi alle deficienze che si riscontrano nel raggiungere la nozione esatta di cosa dovuta, e quindi di giustizia, si possono distinguere due tipi di dovere, cioè morale e legale: infatti il Filosofo [ Ethic. 8,13 ] distingue in base ad essi due tipi di giustizia.

È cosa legalmente dovuta quanto si è tenuti a rendere per legge: e questo dovere è soddisfatto propriamente dalla giustizia, che è una virtù principale.

Ma ci sono anche dei doveri morali, che uno è tenuto a soddisfare per il decoro della virtù.

E poiché ciò che è dovuto impone una necessità, questi doveri presentano due gradi.

Ce ne sono di quelli così necessari che senza di essi non è possibile conservare l'onestà del costume: e questi sono maggiori sotto l'aspetto di cose dovute.

Ora, simili doveri possono essere considerati dal lato di chi deve: e allora risulta il dovere di mostrarsi così come si è.

E da questo lato si ricollega alla giustizia la veracità, « mediante la quale », come scrive Cicerone [ l. cit. ], « si dichiarano senza alterazioni le cose che sono, quelle che sono state e quelle che saranno ».

Essi però possono anche essere considerati dal lato di coloro a cui sono dovuti, cioè come ricompensa di ciò che costoro hanno fatto.

Se dunque si tratta del bene, allora alla giustizia si ricollega la gratitudine, « la quale », secondo Cicerone [ ib. ], « implica la volontà di ricompensare un altro ricordando le attenzioni della sua amicizia ».

- Se invece si tratta del male, allora alla giustizia si ricollega la vendetta, « che mira a reprimere », come scrive Cicerone [ ib. ], « le violenze, le ingiurie e ogni oscura macchinazione con un atteggiamento di difesa e di rivalsa ».

Ci sono poi altri doveri che sono necessari solo per un'onestà superiore, senza essere indispensabili per l'onestà del costume.

E tali doveri sono soddisfatti dalla liberalità, dall'affabilità o amicizia e da altre virtù del genere.

Virtù che Cicerone trascura nella sua enumerazione, poiché l'aspetto di cosa dovuta ha in esse poco rilievo.

Analisi delle obiezioni:

1. La vendetta fatta dai pubblici poteri per una sentenza del giudice rientra nella giustizia commutativa.

Invece la vendetta che uno fa di propria iniziativa, non però contro le leggi, oppure quella che uno reclama dal giudice, appartiene a una virtù annessa alla giustizia.

2. Pare che Macrobio abbia voluto riferirsi alle due parti integranti della giustizia, evitare il male e fare il bene, attribuendo l'innocenza alla prima e le altre sei virtù alla seconda.

Di queste, due pare che debbano riferirsi agli uguali, cioè l'amicizia quanto alle relazioni esterne e la concordia quanto alle disposizioni interiori.

Due invece riguardano i superiori: la pietà riguarda i genitori e la religione riguarda Dio.

Due finalmente si riferiscono agli inferiori, e cioè: l'affetto, o compiacenza verso il loro bene, e l'umanità, che consiste nel soccorrere le loro deficienze.

Scrive infatti S. Isidoro [ Etym. 10 ] che una persona è « umana in quanto ha amore e compassione verso l'uomo: quindi l'umanità prende il nome dall'aiuto che noi ci diamo scambievolmente ».

- E in questo caso il termine amicizia è preso per indicare le relazioni esterne, come fa il Filosofo nel libro 4 dell'Etica.

L'amicizia però può anche essere intesa in senso proprio per indicare l'affetto, come fa il Filosofo nell'8 e nel 9 libro dell'Etica.

E allora all'amicizia appartengono tre cose: la benevolenza, che Macrobio chiama affetto, la concordia e la beneficenza, o umanità.

- Ora, Cicerone non ha ricordato tutte queste virtù poiché in esse l'aspetto di cosa dovuta è troppo attenuato, come si è detto sopra [ nel corpo ].

3. L'obbedienza è inclusa nell'osservanza, ricordata da Cicerone: infatti alle persone superiori è dovuto l'omaggio del rispetto e dell'obbedienza.

- La fedeltà invece, « che consiste nel fare ciò che si è detto » [ Cicerone, De Rep. 4 ], è inclusa nella veracità, quanto all'adempimento delle promesse.

Però il termine, come vedremo [ q. 109 ], è più esteso.

- La disciplina invece non implica un dovere stretto.

Poiché uno non è obbligato verso l'inferiore in quanto tale ( tuttavia si può essere obbligati da un superiore a provvedere agli inferiori, secondo le parole evangeliche [ Mt 24,45 ] sul servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi domestici ).

Per questo Cicerone non ne parla.

Essa però potrebbe rientrare nell'umanità, di cui parla Macrobio.

- Invece l'uguaglianza rientra nell'epicheia, o nell'amicizia.

4. Nell'enumerazione di Andronico ci sono degli elementi che appartengono alla giustizia vera e propria: la retta commutazione, che a suo dire è « l'abitudine di rispettare l'equità nelle commutazioni », alla giustizia particolare; la legislativa invece, che egli considera « la scienza dei rapporti fra cittadini in ordine al bene comune », alla giustizia legale, relativamente ai doveri ordinari.

Relativamente invece ai doveri occorrenti in casi particolari fuori delle leggi ordinarie si ha l'eugnomosina, cioè la buona gnome, che come si è detto nel trattato sulla prudenza [ q. 51, a. 4 ] ha il compito di dirigere in simili frangenti.

Per questo egli la chiama « una giustificazione volontaria »: poiché in questi casi uno custodisce ciò che è giusto di proprio arbitrio, e non per una legge scritta.

Ma queste due cose quanto alla direzione appartengono alla prudenza, mentre appartengono alla giustizia quanto all'esecuzione.

- L'eusebia poi equivale al buon culto, e quindi si identifica con la religione.

Perciò di essa egli afferma che è « la scienza del servizio di Dio », e parla così alla maniera di Socrate, il quale affermava che « tutte le virtù sono scienze » [ cf. Arist., Ethic. 6,13 ].

A questa virtù si riduce poi anche la santità, come vedremo poi [ q. 81, a. 8 ].

- L'eucaristia invece equivale alla gratitudine, di cui parla Cicerone; e così si dica per la vendetta.

- La benignità poi pare coincidere con l'affetto, di cui parla Macrobio.

Infatti S. Isidoro [ Etym. 10 ] insegna che « è benigno l'uomo disposto a fare spontaneamente del bene, e dolce nell'esprimersi ».

E Andronico stesso scrive che « la benignità è l'abitudine a beneficare volontariamente ».

Finalmente la liberalità si riduce all'umanità.

5. L'epicheia non si riallaccia alla giustizia particolare, ma a quella legale.

E Pare identificarsi con l'eugnomosina.

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