Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se la tentazione di Dio consista nel compiere delle cose contando unicamente sulla sua potenza

Supra, q. 53, a. 4, ad 1; In 2 Cor., c. 11, lect. 6; In Heb., c. 3, lect. 2.

Pare che la tentazione di Dio non consista nel compiere delle cose contando unicamente sulla sua potenza.

Infatti:

1. Dio può essere tentato dall'uomo esattamente come può essere tentato l'uomo da Dio, o da altri uomini, o dal demonio.

Ora, non è vero che ogni qual volta l'uomo è tentato c'è qualcuno che conta sulla sua potenza per ottenere un dato effetto.

Perciò neppure tentare Dio significa contare unicamente sulla potenza divina.

2. Tutti coloro che compiono miracoli invocando il nome di Dio contano di ottenerlo unicamente dalla potenza di Dio.

Se quindi in ciò consistesse la tentazione di Dio, tutti quelli che compiono miracoli tenterebbero Dio.

3. È proprio dello stato di perfezione riporre ogni speranza in Dio trascurando ogni soccorso umano.

Per cui a commento di quelle parole evangeliche: « Non prendete nulla per il viaggio », S. Ambrogio [ In Lc 6, su 9,3 ] scrive: « Dalle parole evangeliche viene indicato quale debba essere l'araldo del regno di Dio: non cerchi l'appoggio di aiuti mondani, ma contando fermamente sulla fede si persuada che quanto meno cerca quegli aiuti, tanto meglio può riuscire ».

E S. Agata [ Leg. aurea 39 ] diceva: « Al mio corpo non ho mai applicato una medicina materiale, ma ho il mio Signore Gesù Cristo, che con la sola parola tutto risana ».

Ora, la tentazione di Dio non può consistere in un fatto che rientra nella perfezione.

Quindi la tentazione non consiste nel compiere simili cose, in cui si conta unicamente sull'aiuto di Dio.

In contrario:

S. Agostino [ Contra Faustum 22,36 ] fa notare che « Cristo, non permettendo che la rabbia dei suoi nemici potesse fargli qualcosa, nonostante che egli insegnasse e discutesse pubblicamente, dava una prova della sua divina potenza; al contrario invece fuggendo e nascondendosi voleva dare un esempio alla debolezza umana perché non osi tentare Dio, quando ha la possibilità di compiere qualcosa per fuggire ciò che va temuto ».

Dal che si arguisce che si ha la tentazione di Dio quando uno trascura di compiere quanto può per evitare dei pericoli, contando unicamente sull'aiuto divino.

Dimostrazione:

Tentare, propriamente, è mettere qualcuno alla prova.

Ora, si può mettere alla prova una persona sia con le parole che con i fatti.

Con le parole per provare se conosce ciò che domandiamo, o se possa o voglia compierlo.

Con i fatti quando con ciò che facciamo ne esploriamo la prudenza, il volere o le capacità.

- Ambedue le due cose, però, possono avvenire in due modi.

Primo, apertamente: come quando uno si presenta in qualità di tentatore, come fece Sansone [ Gdc 14,12ss ] nel proporre degli enigmi ai Filistei.

Secondo, in maniera insidiosa e occulta: al modo in cui i farisei tentarono Cristo.

- C'è poi un'altra distinzione: talora infatti la tentazione è espressa, come quando con le parole o con i fatti si intende mettere alla prova qualcuno, mentre talora è interpretativa: cioè quando uno, sebbene non intenda mettere altri alla prova, tuttavia agisce o parla in maniera che le sue azioni o le sue parole non paiono ordinate ad altro che a questo.

Così dunque l'uomo tenta Dio talora con le parole e talora con i fatti.

Con le parole noi parliamo a Dio quando preghiamo.

Perciò uno tenta espressamente Dio con la sua petizione quando chiede qualcosa per conoscerne la scienza, il potere o il volere.

- Tenta invece espressamente Dio con i fatti chi con le azioni che compie intende mettere alla prova la potenza, la bontà o la sapienza di Dio.

Tenta poi Dio in maniera quasi interpretativa colui che, senza voler mettere la Divinità alla prova, tuttavia chiede o compie delle cose che non hanno altro scopo che di esplorarne il potere, la bontà o la conoscenza.

Quando uno, p. es., fa correre il cavallo per sfuggire ai nemici, non lo fa per provarne la velocità; se invece fa correre il cavallo senza scopo alcuno ciò non pare ridursi ad altro che a mettere la sua velocità alla prova; e lo stesso si dica di ogni altra cosa.

Quando dunque uno per necessità o per un'utilità si affida all'aiuto di Dio nelle sue preghiere o nel suo agire, questo non è un tentare Dio; sta scritto infatti [ 2 Cr 20,12 ]: « Non sappiamo che cosa fare: perciò i nostri occhi sono rivolti a te ».

Quando invece ci si comporta così senza necessità e senza scopo, allora ciò equivale a tentare Dio.

Per cui a commento di quelle parole della Scrittura [ Dt 6,16 ]: « Non tenterai il Signore Dio tuo », la Glossa [ ord. ] afferma: « Tenta Dio colui il quale, pur avendo la possibilità di agire, senza motivo si espone al pericolo per vedere se Dio è capace di liberarlo ».

Analisi delle obiezioni:

1. Anche l'uomo talora viene tentato con dei fatti, per vedere se egli possa, sappia o voglia in tali circostanze prestare un aiuto, o impedire un danno.

2. I santi, quando compiono i miracoli con le loro preghiere, chiedono l'intervento della potenza divina mossi da qualche scopo o da qualche necessità.

3. I predicatori del regno di Dio trascurano i sussidi temporali per gravi motivi e per necessità, cioè per attendere più speditamente alla parola di Dio.

Perciò nel contare unicamente su Dio essi non lo tentano.

Lo tenterebbero invece se abbandonassero i soccorsi umani senza motivo o necessità.

Per cui S. Agostino [ Contra Faustum 22,36 ] ha scritto che « S. Paolo fuggì non perché non credeva in Dio, ma per non tentare Dio rifiutandosi di fuggire quando poteva farlo ».

Quanto poi a S. Agata, essa doveva avere sperimentato la divina benevolenza o non avendo sofferto quelle infermità che esigono la medicina corporale, oppure avendone provata l'immediata guarigione da parte di Dio.

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