Summa Teologica - II-II

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Articolo 3- Se la dulia sia una virtù speciale distinta dalla latria

In 3 Sent., d. 9, q. 2, a. 1; In Psalm. 40

Pare che la dulia non sia una virtù speciale distinta dalla latria.

Infatti:

1. A proposito di quell'espressione dei Salmi [ Sal 7,1 ]: « Signore mio Dio, in te mi rifugio », la Glossa [ interlin. e P. Lomb. ] commenta: « Signore dell'universo per la tua potenza, a cui si deve un culto di dulia; Dio per la tua creazione, a cui si deve il culto di latria ».

Ma la virtù che si rivolge a Dio come Signore non è distinta da quella che lo ha di mira come Dio.

Quindi la dulia non è una virtù distinta dalla latria.

2. Secondo il Filosofo [ Ethic. 8,8 ], « essere amati pare qualcosa di simile all'essere onorati ».

Ma la virtù della carità con la quale si ama Dio è identica a quella con la quale si ama il prossimo.

Perciò la dulia, con cui si onora il prossimo, non si distingue dalla latria, con cui si onora Dio.

3. Il moto dell'animo verso l'immagine è identico a quello verso la realtà [ rappresentata ].

Ma con la dulia l'uomo viene onorato in quanto è immagine di Dio, poiché nella Scrittura [ Sap 2,22s ] si legge: « Non credono alla ricompensa delle anime pure.

Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura ».

Quindi la dulia non è una virtù distinta dalla latria, che si riferisce a Dio.

In contrario:

S. Agostino [ De civ. Dei 10,1 ] insegna che « altra è la servitù dovuta agli uomini, secondo la quale l'Apostolo comanda ai servi di sottostare ai loro padroni, e che in greco si chiama dulia, altra invece è la latria, che è la sudditanza riguardante il culto di Dio ».

Dimostrazione:

Stando alle spiegazioni già date [ q. 101, a. 3 ], dove c'è un'obbligazione diversa è necessario che vi sia pure una virtù distinta per soddisfarla.

Ora, l'obbligo di servire Dio e quello di servire l'uomo hanno motivazioni diverse: come il dominio di Dio è diverso da quello dell'uomo.

Infatti Dio ha il dominio universale e radicale di tutte le creature e di ciascuna di esse, che sono sottoposte totalmente al suo potere, mentre l'uomo ha una certa partecipazione del dominio di Dio, in quanto ha un determinato potere su un altro uomo o su un'altra creatura.

Perciò la dulia, che ha il compito di prestare all'uomo il servizio a lui dovuto, è distinta dalla latria, che ha di mira il servizio corrispondente al dominio di Dio.

Ed è una specie dell'osservanza.

Poiché con l'osservanza noi onoriamo qualsiasi persona a noi superiore in dignità, mentre la dulia vera e propria è la virtù con cui i servi rendono omaggio ai loro padroni: infatti dulia in greco significa servitù.

Analisi delle obiezioni:

1. Come la religione per eccellenza può dirsi pietà, essendo Dio Padre per eccellenza, così la latria per eccellenza può dirsi dulia, in quanto Dio per eccellenza è Signore.

Ma la creatura non può partecipare il potere di creare, in forza del quale si deve a Dio il culto di latria.

E così la Glossa indicata distingue attribuendo a Dio la latria in forza della creazione, che non viene comunicata alle creature, e la dulia in forza del suo dominio, che invece viene partecipato ad esse.

2. Il motivo per cui dobbiamo amare il prossimo è Dio: infatti con la carità noi nel prossimo non amiamo che Dio stesso; è quindi con la stessa carità che amiamo Dio e il prossimo.

Ci sono però altri tipi di amicizia, diversi dalla carità, fondati su altre motivazioni dell'amore umano.

Parimenti, essendo diversi i motivi che spingono a servire e a onorare Dio e gli uomini, la virtù di latria non può essere identica alla dulia.

3. Il moto dell'animo verso l'immagine in quanto è immagine si riferisce alla realtà rappresentata, ma non tutti i moti verso l'immagine la riguardano in quanto immagine.

E così talora il moto dell'animo verso l'immagine è distinto da quello verso la realtà rappresentata.

Dobbiamo quindi rispondere che l'onore o sottomissione di dulia mira direttamente a una certa dignità propria dell'uomo.

Sebbene infatti in forza di tale dignità l'uomo sia a immagine e somiglianza di Dio, tuttavia non sempre nel prestare riverenza a una persona l'uomo indirizza tale atteggiamento a Dio in maniera attuale.

Oppure si può rispondere che il moto dell'animo verso l'immagine si riferisce sempre in qualche maniera alla realtà che essa rappresenta, ma non è necessario che il moto verso quest'ultima abbracci anche l'immagine.

Quindi la riverenza che viene prestata a un uomo in quanto immagine di Dio ridonda sempre su Dio in qualche maniera, mentre la riverenza che viene prestata alla divinità in nessun modo può appartenere alla sua immagine.

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