Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se il desiderio della gloria sia un peccato

De Malo, q. 9, a. 1; In Gal., c. 5, lect. 7

Pare che il desiderio della gloria non sia un peccato.

Infatti:

1. Nessuno pecca nel cercare la somiglianza con Dio; anzi, ciò viene comandato con quelle parole [ Ef 5,1 ]: « Fatevi imitatori di Dio quali figli carissimi ».

Ma nel desiderare la gloria l'uomo imita Dio, il quale reclama la gloria dagli uomini, come si legge in Isaia [ Is 43,7 ]: « Quelli che portano il mio nome, per la mia gloria li ho creati ».

Perciò il desiderio della gloria non è un peccato.

2. Non può essere peccato ciò da cui si è spinti al bene.

Ora, gli uomini sono spinti al bene dal desiderio della gloria: infatti Cicerone [ Tusc disp. 1,2 ] afferma che « tutti dalla gloria sono spinti a impegnarsi ».

E anche nella Scrittura viene promessa la gloria per le opere buone, secondo le parole di S. Paolo [ Rm 2,7 ]: « A coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria e onore ».

Quindi desiderare la gloria non è un peccato.

3. Cicerone [ De invent. 2,55 ] insegna che « la gloria è la vasta fama di una persona accompagnata dalla lode »; il che coincide con la definizione di S. Ambrogio [ Agost., Contra Maxim. 2,13 ]: la gloria è « una notorietà accompagnata dalla lode ».

Ma desiderare una fama onorifica non è un peccato, anzi è una cosa lodevole, secondo le esortazioni della Scrittura [ Sir 41,12 ]: « Abbi cura del buon nome »; e ancora [ Rm 12,17 Vg ]: « Fate il bene non solo agli occhi di Dio, ma anche al cospetto degli uomini ».

Quindi il desiderio della vanagloria non è un peccato.

In contrario:

S. Agostino [ De civ. Dei 5,13 ] insegna: « Ha una vista più sana chi riconosce che anche l'amore della lode è un vizio ».

Dimostrazione:

La gloria sta a indicare una certa chiarezza: infatti, secondo S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 82, 100, 104 ], « essere glorificato » equivale a « essere chiarificato ».

Ora, la chiarezza include la bellezza e la manifestazione.

Quindi il termine gloria implica la manifestazione di qualcosa che gli uomini considerano bello, sia nell'ordine materiale che nell'ordine spirituale.

E poiché le cose che sono di una chiarezza assoluta possono essere percepite da molti e da lontano, col termine gloria si vuole indicare il fatto che il bene di una persona incontra la conoscenza e l'approvazione di molti.

Da cui le parole di Tito Livio [ Hist. 22,39 ]: « La gloria non può darla uno solo ».

Preso però in un senso più vasto, il termine gloria non indica necessariamente questa conoscenza da parte della moltitudine, ma può indicare anche la conoscenza di pochi, o del solo interessato, il quale considera il proprio bene come degno di lode.

Ora, conoscere e approvare il proprio bene non è un peccato; poiché S. Paolo [ 1 Cor 2,12 ] afferma: « Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio, per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato ».

E così pure non è un peccato volere che la propria virtù sia approvata dagli altri, poiché si legge nel Vangelo [ Mt 5,16 ]: « Risplenda la vostra luce davanti agli uomini ».

Perciò il desiderio della gloria di per sé non dice nulla di peccaminoso.

Invece il desiderio della vanagloria implica un peccato: infatti è peccaminoso desiderare qualsiasi cosa vana, come si legge nei Salmi [ Sal 4,3 ]: « Perché amate cose vane, e cercate la menzogna? ».

Ora, la gloria può dirsi vana prima di tutto dalla parte dell'oggetto nel quale viene cercata: p. es. quando viene cercata in ciò che non esiste, o in cose che non sono degne di gloria, come nelle realtà fragili e caduche.

- Secondo, [ la gloria può essere vana ] dalla parte di coloro presso i quali viene cercata: cioè presso gli uomini, il cui giudizio non è certo.

- Terzo, [ può essere vana ] dalla parte di colui che la desidera, se egli non la ordina al debito fine, cioè all'onore di Dio e al bene del prossimo.

Analisi delle obiezioni:

1. A commento di quel passo evangelico [ Gv 13,13 ]: « Voi mi chiamate maestro e signore, e dite bene », S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 58 ] afferma: « È pericolosa la compiacenza in se medesimi per colui che deve badare a non insuperbirsi.

Invece colui che è superiore a tutto, per quanto si lodi, non può esaltarsi.

Infatti la conoscenza di Dio non giova a lui, ma a noi; e nessuno lo conosce se egli non si dà a conoscere ».

Perciò è evidente che Dio non cerca la propria lode per sé, ma a nostro vantaggio.

E allo stesso modo l'uomo può lodevolmente desiderare la propria gloria a vantaggio degli altri, secondo le parole evangeliche [ Mt 5,16 ]: « Vedendo le vostre opere buone, diano gloria al Padre vostro che è nei cieli ».

2. La gloria che Dio dona non è vana, ma vera.

E tale è la gloria promessa in premio alle buone azioni, secondo le parole di S. Paolo [ 2 Cor 10,17s ]: « Chi si vanta, si vanti nel Signore: perché non colui che si raccomanda da sé viene approvato, ma colui che il Signore raccomanda ».

- È vero poi che alcuni sono spinti ad atti virtuosi dal desiderio della gloria umana, come anche dal desiderio di altri beni terreni; tuttavia non è veramente virtuoso colui che compie atti di virtù per la gloria umana, come dimostra S. Agostino [ De civ. Dei 5,12 ].

3. La perfezione dell'uomo implica il conoscere, non l'essere conosciuti: quindi quest'ultima cosa non va desiderata per se stessa.

Tuttavia può essere desiderata in quanto serve a uno scopo: cioè affinché Dio sia glorificato dagli uomini, o affinché gli uomini ricevano un giovamento dal bene che vedono in altri, oppure affinché uno, nel costatare i propri meriti per il riconoscimento degli altri, si impegni a perseverare e a migliorare.

Ed è in questo senso che è lodevole « avere cura del proprio buon nome », e « fare il bene al cospetto degli uomini »; non invece per il gusto vano della lode umana.

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