Summa Teologica - II-II

Indice

Articolo 1 - Se la curiosità possa insinuarsi nella conoscenza intellettiva

In 3 Sent., d. 35, q. 2, a. 3, sol. 3

Pare che la curiosità non possa insinuarsi nella conoscenza intellettiva.

Infatti:

1. Come insegna il Filosofo [ Ethic. 2,6 ], nelle cose che sono per loro natura buone o cattive non c'è posto per [ la scelta virtuosa tra ] il giusto mezzo e i due estremi.

Ora, la conoscenza intellettiva è per sua natura buona: poiché la perfezione di un uomo consiste nell'attuazione della sua intelligenza, il che avviene con la conoscenza della verità.

E Dionigi [ De div. nom. 4 ] afferma che « il bene per l'anima umana sta nell'essere conforme alla ragione », la quale si perfeziona con la conoscenza della verità.

Quindi nella conoscenza intellettiva non può insinuarsi il vizio della curiosità.

2. Ciò che ci rende simili a Dio e che ci viene da Dio non può essere mai cattivo.

Ora, ogni grado di conoscenza viene da Dio, poiché sta scritto [ Sir 1,1 ]: « Ogni sapienza viene dal Signore ».

E ancora [ Sap 7,17 ]: « Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose, per comprendere la struttura del mondo e la forza degli elementi », ecc.

Inoltre è con la conoscenza della verità che l'uomo è reso simile a Dio: poiché, come dice S. Paolo [ Eb 4,13 ], « tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi ».

E per questo sta scritto [ 1 Sam 2,3 ] che « il Signore è il Dio che sa tutto ».

Perciò la conoscenza della verità, per quanto sia grande, non è mai cattiva, ma buona.

E così nella conoscenza intellettiva non può mai riscontrarsi il vizio della curiosità.

3. Se il vizio della curiosità potesse insinuarsi in una conoscenza di ordine intellettivo, ciò dovrebbe accadere specialmente nelle discipline filosofiche.

Ma attendere ad esse non è peccaminoso.

Scrive infatti S. Girolamo [ In Dn 1,8 ]: « Coloro che non vollero cibarsi con le vivande e col vino del re, mai avrebbero acconsentito a imparare la sapienza e la dottrina dei Babilonesi, se lo avessero considerato un peccato ».

E S. Agostino [ De doctr. christ. 2,40.61 ] afferma che « se i filosofi hanno detto delle cose vere, noi dobbiamo rivendicarle a nostro uso, quasi strappandole a possessori abusivi ».

Perciò nella conoscenza intellettiva non può insinuarsi il vizio della curiosità.

In contrario:

S. Girolamo [ In Eph. 2, su 4,17 ] si domanda: « Non vi pare che abbiano dei sentimenti di vanità e una mente poco illuminata il dialettico che si arrovella giorno e notte, e il naturalista che vuole mettere gli occhi al di là del cielo? ».

Ma la vanità e l'oscurità della mente sono peccaminose.

Quindi il vizio della curiosità può insinuarsi nella conoscenza intellettiva.

Dimostrazione:

La studiosità, come si è visto sopra [ q. 166, a. 2, ad 2 ], non riguarda direttamente la conoscenza, ma il desiderio di essa e lo studio per acquistarla.

Ora, non è identico il giudizio da darsi sulla conoscenza della verità e sul desiderio e l'impegno per acquistarla.

Infatti la conoscenza della verità è per se stessa buona, e può essere cattiva solo per accidens, cioè per qualche sua conseguenza: o perché qualcuno, come nota S. Paolo [ 1 Cor 8,1 ], se ne insuperbisce: « La scienza gonfia »; oppure perché l'uomo se ne serve per peccare.

Invece il desiderio o l'impegno che conducono alla conoscenza della verità possono essere retti o perversi.

Primo, se uno tende a conoscere la verità includendo indirettamente nel proprio studio un motivo vizioso: come fanno ad es. coloro che si applicano alla conoscenza della verità per insuperbirsene.

Da cui le parole di S. Agostino [ De mor. Eccl. 21 ]: « Ci sono delle persone che, disprezzando la virtù e ignorando chi sia Dio e quale sia la maestà della realtà immutabile, credono di fare una gran cosa investigando con sommo ardore e curiosità questa massa corporea che chiamiamo mondo.

E montano in tanta superbia da parere che abitino in quei cieli di cui spesso discutono ».

Parimenti è peccaminoso lo studio di coloro che, come dice Geremia [ Ger 9,5 ], cercano di conoscere per fare il male: « Hanno abituato la lingua a dire menzogne, si impegnano a fare il male ».

Secondo, lo studio può essere cattivo per il disordine della stessa ricerca conoscitiva.

E ciò può avvenire in quattro modi.

Primo, perché uno studio meno utile può distogliere da uno studio doveroso.

Da cui le parole di S. Girolamo [ Epist. 21 ]: « Noi vediamo dei sacerdoti che, lasciando da parte i Vangeli e i Profeti, leggono commedie e cantano i versi d'amore delle bucoliche ».

- Secondo, perché si cerca di conoscere da chi non si deve: come nel caso di quanti cercano di conoscere il futuro dai demoni, il che è curiosità superstiziosa.

E a proposito di ciò scrive S. Agostino [ De vera relig. 4.6 ]: « Non escludo che i filosofi siano stati impediti dall'abbracciare la fede per il vizio della curiosità nel consultare i demoni ».

Terzo, quando uno desidera di conoscere le creature senza indirizzarle al debito fine, cioè alla conoscenza di Dio.

Per cui S. Agostino [ De vera relig. 29.52 ] ammonisce che « nello studio delle creature non si deve esercitare una vana ed effimera curiosità, ma cercare in esse un gradino per salire alle realtà immortali e immutabili ».

- Quarto, quando si cerca di conoscere cose superiori alla capacità del proprio ingegno: perché allora si cade facilmente nell'errore.

Da cui l'ammonimento della Scrittura [ Sir 3,21 ]: « Non cercare le cose troppo difficili per te, non indagare le cose per te troppo grandi ».

E poco dopo [ Sir 3,24 ]: « Molti ha fatto smarrire la loro presunzione, una misera illusione ha fuorviato i loro pensieri ».

Analisi delle obiezioni:

1. L'uomo trova il suo bene nella conoscenza della verità; però il sommo bene dell'uomo non consiste nella conoscenza di una verità qualsiasi, ma nella perfetta conoscenza della somma verità, come spiega il Filosofo [ Ethic. 10, cc. 7,8 ].

Perciò nella conoscenza di certe verità ci può essere un vizio, per il fatto che tale ricerca non è debitamente ordinata alla conoscenza della verità somma, in cui consiste la felicità perfetta.

2. L'argomento dimostra che la conoscenza della verità è in se stessa buona; però ciò non esclude che uno possa abusarne per un fine cattivo, o possa desiderarla in modo disordinato: poiché anche il desiderio del bene va debitamente regolato.

3. Lo studio della filosofia di per sé è lecito e lodevole per le verità che i filosofi illuminati da Dio riuscirono a conoscere, come dice S. Paolo [ Rm 1,19 ].

Siccome però alcuni filosofi abusano della loro scienza per combattere la fede, l'Apostolo [ Col 2,8 ] ammonisce: « Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, e non secondo Cristo ».

E Dionigi [ Epist. 7 ], a proposito di certi filosofi, afferma che « essi si servono con perfidia delle cose divine contro Dio, tentando di distruggere con la scienza di Dio il culto di Dio ».

Indice