Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se sia lecito ai religiosi insegnare, predicare e compiere altre cose del genere

In 4 Sent., d. 17, q. 3, a. 3, sol. 4, ad 1; De perf. vitae spir., c. 26; C. impugn., cc. 2, 4

Pare che ai religiosi non sia lecito insegnare, predicare e compiere altre cose del genere.

Infatti:

1. Nel Decreto [ di Graz. 2,7,1,45 ] si legge: « La vita monastica dice sottomissione e tirocinio, non già insegnamento, governo o ufficio pastorale ».

E S. Girolamo [ Contra Vigilant. 15 ] scrive: « Il monaco ha il compito di piangere, non di insegnare ».

E anche S. Leone I [ Decr. di Graz. 2,16,1,4 ] afferma: « All'infuori dei sacerdoti nessuno, per quanto sia grande la fama del suo sapere, presuma di predicare, sia egli monaco o laico ».

Ora, non è lecito oltrepassare i limiti del proprio ufficio e le norme della Chiesa.

Perciò ai religiosi non è lecito insegnare, predicare e fare altre cose del genere.

2. In un decreto del Concilio di Nicea [ ib., can. 1 ] si legge: « Ordiniamo categoricamente che nessun monaco impartisca la penitenza, a meno che non si tratti di un altro monaco, come è giusto.

E non dia sepoltura se non ai monaci dimoranti nel suo monastero, e agli altri che eventualmente vi venissero a morire ».

Ora, come questi compiti spettano all'ufficio dei chierici, così anche il predicare e l'insegnare.

Siccome dunque, secondo S. Girolamo, « il compito del monaco è diverso da quello del chierico », pare che ai religiosi non sia lecito predicare, insegnare e compiere altre cose del genere.

3. S. Gregorio [ Registr. 5,1,8 ] afferma: « Nessuno può disimpegnare gli uffici ecclesiastici e vivere a dovere la regola monastica ».

Ora, i monaci sono tenuti a vivere con impegno la propria regola.

Quindi non possono disimpegnare gli uffici ecclesiastici.

Ma insegnare e predicare sono uffici ecclesiastici.

Quindi ai monaci non è lecito predicare, insegnare o fare altre cose del genere.

In contrario:

S. Gregorio dichiara nel medesimo canone: « In virtù di questo decreto, che noi emaniamo con l'autorità apostolica e per il bene della religione, concediamo ai sacerdoti monaci, che riproducono la figura degli Apostoli, di predicare, di battezzare, di dare la comunione, di pregare per i peccatori, di imporre la penitenza e di assolvere dai peccati ».

Dimostrazione:

In due modi un compito può non essere lecito a una persona.

Primo, perché in essa si trova qualcosa che è incompatibile con la cosa da farsi: come a nessun uomo è lecito peccare per il fatto che ogni uomo ha in sé la ragione e l'obbligo di osservare la legge di Dio, che sono dati incompatibili con il peccato.

Così dunque si dice che a un uomo non è lecito predicare, insegnare o compiere qualcosa di simile in questo senso quando c'è in lui qualcosa di incompatibile con tali incombenze: o per una legge, come nel caso dell'irregolarità che impedisce, per disposizione della Chiesa, di ascendere agli ordini sacri, oppure per dei peccati personali, secondo le parole del Salmo [ Sal 50,16 ]: « All'empio dice Dio: Perché vai ripetendo i miei decreti? ».

Ora, ai religiosi non è proibito in questo senso di predicare, insegnare e fare altre cose del genere.

Sia perché i loro voti o i precetti della regola non li obbligano ad astenersene.

- Sia anche perché essi non sono resi meno idonei a sostenere questi incarichi a motivo di qualche peccato: anzi, sono resi più idonei grazie al tirocinio di santità che hanno intrapreso.

Sarebbe infatti una stoltezza affermare che uno con il crescere nella santità diviene meno adatto a esercitare degli uffici spirituali.

È quindi un'affermazione stolta quella di quanti affermano che lo stato religioso è per se stesso un impedimento all'esercizio di tali funzioni.

E il Papa Bonifacio IV [ Decr. di Graz. 2,16,1,25 ] così condanna il loro errore: « Ci sono alcuni i quali, animati da uno zelo amaro più che dalla carità, asseriscono senza alcun fondamento che i monaci non possono esercitare degnamente l'ufficio sacerdotale, poiché sono morti al mondo e vivono per Dio.

Costoro decisamente si ingannano ».

E lo dimostra in primo luogo ricordando che ciò non è contro la regola: « Infatti S. Benedetto, il grande legislatore dei monaci, in nessun modo lo ha proibito ».

- In secondo luogo egli condanna l'errore suddetto in base all'idoneità dei monaci, concludendo: « Quanto più uno è perfetto, tanto è più idoneo a tali incarichi », cioè agli uffici di ordine spirituale.

Secondo, un compito può non essere lecito a una persona non perché ci sia in essa qualcosa di incompatibile, ma perché le mancano le facoltà per assolverlo: come un diacono non può celebrare la messa, non avendo ricevuto l'ordinazione sacerdotale, e un prete non può pronunziare una sentenza, essendo privo del potere episcopale.

Qui però è necessario distinguere.

Poiché le funzioni proprie dell'ordine sacro non possono essere delegate se non a chi è ordinato: al diacono, p. es., non può essere data l'incombenza di celebrare la messa, a meno che non diventi sacerdote.

Invece gli atti di giurisdizione possono essere affidati anche a quanti non hanno la giurisdizione ordinaria.

Come il vescovo può delegare un semplice sacerdote a pronunziare una sentenza.

Ed è in questo senso che ai monaci e agli altri religiosi non è lecito predicare, insegnare e compiere altri uffici del genere: poiché lo stato religioso non conferisce loro tali poteri.

Però essi possono esercitare questi compiti se ricevono l'ordine o la giurisdizione ordinaria; oppure anche se vengono delegati a compiere atti di giurisdizione.

Analisi delle obiezioni:

1. Quei testi dimostrano che i monaci non hanno il potere di assolvere tali compiti per il semplice fatto che sono monaci, ma non che i monaci in quanto tali siano impossibilitati alle incombenze suddette.

2. Anche quel decreto del Concilio di Nicea comanda che i monaci non si arroghino il potere di compiere quelle funzioni per il fatto che sono monaci.

Ma esso non proibisce che si possano loro affidare tali incarichi.

3. La cura ordinaria di un ufficio ecclesiastico e l'osservanza di una regola monastica in un monastero non sono certamente compatibili tra loro.

Ciò però non esclude che i monaci e gli altri religiosi possano essere talora impiegati in uffici ecclesiastici per incarico dei prelati che ne hanno la cura ordinaria: e specialmente quei religiosi i cui istituti sono stati fondati per questo, come vedremo [ q. 188, a. 4 ].

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