Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se i religiosi siano obbligati al lavoro manuale

C. G., III, c. 135; Contra Retr., c. 16; C. impugn., cc. 5, 6; Quodl., 7, q. 7, a. 1, ad 4 in contr.; In Ioan., c. 6, lect. 3

Pare che i religiosi siano obbligati al lavoro manuale.

Infatti:

1. I religiosi non sono dispensati dall'osservanza dei precetti.

Ora, il lavoro manuale è di precetto, secondo l'ammonizione di S. Paolo [ 1 Ts 4,11 ]: « Lavorate con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato ».

Da cui le parole di S. Agostino [ De op. monach. 30.38 ]: « Chi potrebbe tollerare che questi ribelli », cioè i religiosi che si rifiutano di lavorare, « i quali resistono agli ammonimenti dell'Apostolo, non siano sopportati come più deboli, ma invece esaltati come più santi? ».

Quindi i religiosi sono tenuti al lavoro manuale.

2. A commento di quel testo di S. Paolo [ 2 Ts 3,10 ]: « Chi non vuol lavorare neppure mangi », la Glossa [ ord. di Agost. ] afferma: « Alcuni dicono che l'Apostolo parla qui di opere spirituali, e non del lavoro corporale dei contadini e degli operai »; e aggiunge: « Costoro però cercano invano di confondere se stessi e gli altri, non solo per non compiere ciò che la carità comanda, ma per non intenderlo neppure ».

E continua poco dopo: « L'Apostolo vuole che i servi di Dio si guadagnino da vivere con il lavoro corporale ».

Ora propriamente parlando, come spiega Dionigi [ De eccl. hier. 6 ], i « servi di Dio » sono i religiosi, che si sono consacrati totalmente al suo servizio.

Essi dunque sono tenuti al lavoro manuale.

3. S. Agostino [ De op. monach. 17 ] ha scritto: « Desidero sapere che cosa fanno quelli che rifiutano di lavorare corporalmente.

Ci esercitiamo, rispondono, nella preghiera, nel canto dei salmi, nella lettura e nella predicazione ».

Ma egli dimostra che nessuno di questi esercizi li dispensa dal lavorare.

Infatti a proposito della preghiera egli dice: « È più esaudita una preghiera sola di chi ubbidisce che diecimila di chi disobbedisce »: cioè di chi non vuol lavorare con le sue mani.

Secondo, a proposito della lode divina scrive: « Le lodi di Dio si possono cantare facilmente anche lavorando ».

Terzo, a proposito della lettura si domanda: « Quelli che dicono di attendere alla lettura non troveranno subito ciò che comanda l'Apostolo?

E che perversità è questa, di non voler mettere in pratica ciò che si legge? ».

Quarto, a proposito della predicazione scrive: « Se uno per preparare un discorso che gli è stato richiesto è così occupato da non poter attendere al lavoro manuale, forse che nel monastero tutti sono capaci di farlo?

E siccome non tutti ne sono capaci, perché tutti pretendono, con il pretesto della predicazione, di dispensarsi dal lavoro?

Se poi tutti ne fossero capaci, dovrebbero farlo un po' l'uno e un po' l'altro: non solo perché gli altri attendano ai lavori necessari, ma anche perché uno solo può parlare a molti ».

È chiaro quindi che i religiosi non devono dispensarsi dal lavoro manuale per attendere a queste opere spirituali.

4. A commento di quel passo evangelico [ Lc 12,33 ]: « Vendete ciò che avete », ecc., la Glossa [ ord. ] afferma: « Non vi accontentate di elargire ai poveri il vostro cibo, ma vendete i vostri possedimenti: cosicché disprezzando una volta per sempre tutti i vostri beni per il Signore prendiate a lavorare con le vostre mani, per vivere e per fare elemosine ».

Ora, è proprio dei religiosi abbandonare tutti i loro beni.

Quindi è anche loro compito specifico vivere e fare elemosine con il proprio lavoro manuale.

5. I religiosi sono tenuti in modo particolare a imitare la vita degli Apostoli, avendo essi abbracciato lo stato di perfezione.

Ma gli Apostoli, come dice S. Paolo [ 1 Cor 4,12 ], lavoravano con le proprie mani: « Ci affatichiamo lavorando con le nostre mani ».

Perciò i religiosi sono tenuti al lavoro manuale.

In contrario:

I precetti comuni a tutti devono essere osservati allo stesso modo dai religiosi e dai secolari.

Ora, il precetto del lavoro manuale è dato a tutti, come risulta evidente dalle parole di S. Paolo [ 2 Ts 3,6 ]: « Tenetevi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata », ecc. ( e qui chiama fratello qualsiasi cristiano, come anche nella prima lettera ai Corinzi [ 1 Cor 7,12 ]: « Se un fratello ha la moglie non credente », ecc. ); e aggiunge [ 2 Ts 3,10 ]: « Se uno non vuol lavorare, neppure mangi ».

Quindi i religiosi non sono tenuti al lavoro manuale più dei secolari.

Dimostrazione:

Il lavoro manuale può essere indirizzato a quattro scopi.

In primo luogo e principalmente ad assicurarsi il vitto.

Da cui le parole rivolte al primo uomo [ Gen 3,19 ]: « Mangerai il pane con il sudore della tua fronte »; e nei Salmi [ Sal 128,2 ] si legge: « Vivrai del lavoro delle tue mani », ecc.

- Secondo, il lavoro è ordinato a combattere l'ozio, da cui nascono tanti mali.

Da cui le parole [ Sir 33,28 ]: « Fallo lavorare perché non stia in ozio, poiché l'ozio insegna molte cattiverie ».

- Terzo, è ordinato a frenare la concupiscenza, in quanto mortifica il corpo.

Scrive infatti S. Paolo [ 2 Cor 6,5s ]: « Nelle fatiche, nei digiuni, nelle veglie, con purezza ».

- Quarto, può essere ordinato a fare l'elemosina, da cui le parole [ Ef 4,28 ]: « Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità ».

In quanto dunque è ordinato ad assicurare il vitto, il lavoro manuale ha necessità di precetto nella misura in cui è necessario a questo fine: infatti ciò che è ordinato a un fine prende da questo la sua necessità, essendo necessario nella misura richiesta dal fine stesso.

Perciò chi non ha altro mezzo per poter vivere, qualunque sia la sua condizione, è tenuto al lavoro manuale.

Ed è questo il senso delle parole dell'Apostolo [ 2 Ts 3,10 ]: « Chi non vuol lavorare, neppure mangi »; come se dicesse: « Si è tenuti a lavorare con le proprie mani con la stessa necessità con cui si è costretti a mangiare ».

Se quindi uno potesse vivere senza mangiare, non sarebbe tenuto al lavoro manuale.

E lo stesso si dica di chi può vivere in altro modo lecitamente.

Infatti non si può dire che uno può fare una cosa se non la può fare lecitamente.

Per cui anche l'Apostolo comanda il lavoro manuale solo per escludere il peccato di coloro che si guadagnano da vivere in maniera illecita.

E innanzi tutto per evitare il furto [ 1 Ts 4,11 ]: « Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani ».

In secondo luogo per evitare la brama della roba altrui: « Lavorate con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, al fine di condurre una vita decorosa di fronte agli estranei ».

In terzo luogo per evitare gli affari vergognosi, con i quali certuni si procurano il vitto [ 2 Ts 3,10ss ]: « Quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi.

Sentiamo infatti che alcuni tra voi vivono disordinatamente, senza far nulla, solo occupati in vane curiosità ( cioè "procurandosi il necessario con mezzi vergognosi", spiega la Glossa [ ord. di Ambr. ] ).

A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace ».

E S. Girolamo [ In Gal 2, Prol. ] afferma che l'Apostolo ha scritto tali cose « più per correggere i vizi dei pagani che per insegnare ».

- Si noti però che per lavoro manuale qui si intendono tutte le occupazioni con le quali gli uomini guadagnano lecitamente da vivere, sia che esse vengano compiute con le mani, sia con i piedi, sia con la lingua: infatti le guardie, i corrieri e altri professionisti del genere, che vivono del loro lavoro, sono tra quelli che vivono con l'opera delle loro mani.

Essendo infatti la mano « lo strumento degli strumenti » [ De anima 3,8 ], per lavoro manuale si intende qualsiasi lavoro con il quale uno può guadagnarsi lecitamente da vivere.

Se poi consideriamo il lavoro manuale come rimedio contro l'ozio, o come macerazione del corpo, allora considerato in se stesso tale lavoro non ricade in una necessità di precetto: poiché si può mortificare il corpo e fuggire l'ozio in molte altre maniere.

Il corpo infatti può essere mortificato con i digiuni e con le veglie.

E l'ozio può essere fuggito con la meditazione della Sacra Scrittura e con la lode divina; per cui a proposito di quel detto dei Salmi [ Sal 119,82 ]: « Si consumano i miei occhi dietro la tua promessa », la Glossa [ ord. di Agost. ] spiega: « Non è ozioso chi si applica unicamente alla parola di Dio; e chi lavora materialmente non fa più di chi si consacra allo studio della verità ».

Perciò da questo lato né i religiosi né i secolari sono tenuti al lavoro manuale: a meno che non vi siano obbligati dalle costituzioni del loro ordine, come accenna S. Girolamo [ Epist. 125 ]: « I monasteri egiziani hanno la consuetudine di non ricevere nessuno senza imporgli un lavoro: e ciò non tanto per provvedere al vitto, quanto per il bene dell'anima, perché uno non si abbandoni ai cattivi pensieri ».

In quanto infine il lavoro manuale è ordinato all'elemosina, esso non cade sotto l'obbligo di un precetto: eccettuato forse qualche caso in cui si è strettamente tenuti a fare l'elemosina e non ci sia altro modo di soccorrere i poveri.

Nel qual caso i religiosi sono tenuti al lavoro manuale come i secolari.

Analisi delle obiezioni:

1. Il precetto formulato dall'Apostolo è di legge naturale.

Per cui, a commento di quel testo [ 2 Ts 3,6 ]: « Tenetevi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata », la Glossa [ interlin. ] spiega: « cioè diversamente da come esige l'ordine naturale »; e qui si parla di coloro che si astenevano dal lavoro manuale.

La natura infatti ha dato all'uomo le mani al posto delle armi e delle pellicce concesse agli altri animali: affinché con le mani egli si procurasse tutto il necessario.

È quindi evidente che a tale precetto sono tenuti tutti ugualmente, religiosi e secolari, come a tutti gli altri precetti della legge naturale.

Non è detto però che chiunque non lavora con le mani faccia peccato.

Poiché alle leggi naturali volte al bene collettivo non sono tenuti i singoli individui, ma basta che ci sia chi attende a un ufficio e chi a un altro: è necessario cioè che alcuni siano operai, altri agricoltori, altri giudici, altri insegnanti e così via, secondo le parole dell'Apostolo [ 1 Cor 12,17 ]: « Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? ».

2. La Glossa riferita è presa da S. Agostino [ De op. monach. cc. 1,2,3 ], il quale parla contro alcuni monaci secondo i quali ai servi di Dio non sarebbe lecito lavorare avendo il Signore detto [ Mt 6,25 ]: « Non affannatevi per la vostra vita, di quello che mangerete ».

Tuttavia le parole del Santo non impongono ai religiosi il lavoro manuale nel caso in cui abbiano di che vivere in altro modo.

Il che risulta evidente da quanto aggiunge: « L'Apostolo vuole che i servi di Dio si procurino da vivere con il lavoro ».

Ma questo non si impone ai religiosi più che ai secolari, come risulta da due considerazioni.

Primo, dall'esame stesso delle parole usate dall'Apostolo [ 2 Ts 3,6 ]: « Tenetevi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata ».

Per fratello infatti si intende ogni cristiano, non esistendo ancora in quel tempo gli ordini religiosi.

- Secondo, perché i religiosi, all'infuori della regola professata, hanno gli stessi obblighi dei secolari.

Se quindi la loro regola non prescrive il lavoro manuale, essi non vi sono obbligati più dei secolari.

3. In due modi si può attendere alle opere spirituali di cui parla S. Agostino: primo, a comune utilità; secondo, per un vantaggio personale.

Coloro dunque che vi attendono per un'utilità pubblica sono dispensati dal lavoro manuale per due motivi.

Primo, perché sono assorbiti totalmente dalle opere suddette.

- Secondo, perché a chi vi si dedica deve essere corrisposto il vitto da parte di coloro a cui essi servono.

Quelli invece che si dedicano a tali opere per un'utilità non pubblica, ma privata, non sono dispensati necessariamente dal lavoro manuale; e neppure hanno diritto a vivere a carico dei fedeli.

Ed è proprio di costoro che parla S. Agostino.

Quando infatti egli dice che « possono cantare le lodi divine facendo il lavoro manuale », a imitazione degli operai « che cantano ogni sorta di storie mentre lavorano », è chiaro che non può trattarsi delle ore canoniche che si cantano in Chiesa, ma dei salmi e degli inni che si recitano in privato.

- E così pure quanto egli dice della lettura e della preghiera va inteso delle preghiere e delle letture private che sono soliti fare talora anche i laici; non si riferisce invece a coloro che fanno le preghiere pubbliche in chiesa, o che leggono o insegnano nella scuola.

Per questo egli non scrive: « Quelli che dicono di attendere all'insegnamento o all'istruzione », ma: « Quelli che dicono di attendere alla lettura ».

- Similmente poi egli non parla della predicazione che viene fatta pubblicamente al popolo, ma di quella che viene fatta come un'ammonizione privata a uno solo, o a poche persone.

Per cui dice: « Se uno per preparare un discorso che gli è stato richiesto »; come spiega infatti la Glossa [ interlin. su 1 Cor 2,4 ], « il discorso viene fatto in privato, la predicazione in pubblico ».

4. Quelli che abbandonano tutto per il Signore sono tenuti al lavoro manuale quando non hanno altrimenti di che vivere, o non possono fare l'elemosina, nei casi cui essa è di precetto; non già negli altri casi, come si è visto [ nel corpo ].

Ed è in questo senso che va spiegata la Glossa.

5. Il lavoro manuale degli Apostoli in certi casi fu compiuto per necessità, e in altri fu un'opera supererogatoria.

Fu imposto dalla necessità quando essi non potevano ottenere il vitto dagli altri: per cui a commento di quel testo di S. Paolo [ 1 Cor 4,12 ]: « Ci affatichiamo lavorando con le nostre mani », la Glossa [ interlin. ] aggiunge: « perché nessuno ci dà nulla ».

Fu invece un'opera di supererogazione in altri casi, come là dove l'Apostolo [ 1 Cor 9,4.12.14 ] spiega che « egli non fece uso della facoltà che aveva di vivere del Vangelo ».

E l'Apostolo ricorse a quest'opera supererogatoria per tre motivi.

Primo, per impedire la predicazione dei falsi apostoli, i quali predicavano solo per i beni temporali [ 2 Cor 11,12 ]: « Quello che faccio lo farò ancora per troncare ogni loro pretesto », ecc.

- Secondo, per non essere a carico di coloro a cui predicava [ 2 Cor 12,13 ]: « In che cosa siete stati inferiori alle altre Chiese se non in questo, che io non vi sono stato d'aggravio? ».

- Terzo, per dare un esempio di operosità agli oziosi [ 2 Ts 3,8s ]: « Abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno, per darvi noi stessi come esempio da imitare ».

- L'Apostolo però, come nota S. Agostino [ De op. monach. 18 ], non si comportava in questo modo nei luoghi in cui poteva predicare ogni giorno, come ad Atene [ At 17,17 ].

Ora, i religiosi non sono tenuti a imitare l'Apostolo in questo punto; non essendo tenuti a tutte le opere supererogatorie.

Infatti neppure gli altri apostoli praticavano il lavoro manuale.

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