Summa Teologica - II-II

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Articolo 7 - Se i parroci possano lecitamente entrare in religione

Supra, q. 184, a. 5; De perf. vitae spir., c. 25

Pare che i parroci non possano lecitamente entrare in religione.

Infatti:

1. S. Gregorio [ Past. 3,4,5 ] afferma che chi è impegnato in cura d'anime « riceve un ammonimento terribile da quelle parole: "Figlio mio, se ti sei fatto mallevadore per un tuo amico, hai impegnato la tua anima presso un estraneo".

Infatti farsi mallevadore per un amico equivale a rischiare la propria vita per l'anima di un altro ».

Ora, chi ha un debito non può entrare in religione se prima, avendone la possibilità, non lo salda.

Quindi il sacerdote che ha la possibilità di attendere alle anime che si è obbligato a curare con pericolo della sua anima non può entrare in religione, trascurando la cura di tali anime.

2. Ciò che è permesso a uno è permesso a tutti i suoi consimili.

Ora, se tutti i sacerdoti in cura d'anime entrassero in religione, il popolo rimarrebbe senza pastori, il che è intollerabile.

Quindi i parroci non possono lecitamente entrare in religione.

3. Tra gli atti a cui attendono i religiosi, i più importanti sono quelli con cui comunicano agli altri le verità contemplate.

Ora, questi atti sono propri dei parroci e degli arcidiaconi, i quali per il loro ufficio sono tenuti a predicare e a confessare.

Perciò ai parroci e agli arcidiaconi non è lecito abbracciare la vita religiosa.

In contrario:

Nei Canoni [ Decr. di Graz. 2,19,2,2 ] si legge: « Se un chierico vivente nel secolo e posto al governo di una chiesa sotto l'autorità del vescovo, mosso dallo Spirito Santo vuole provvedere alla sua salvezza in un monastero o tra i canonici regolari, con la nostra autorità gli permettiamo di andarvi liberamente, anche se il vescovo si oppone ».

Dimostrazione:

L'obbligazione di un voto perpetuo è superiore a qualsiasi altro obbligo, come si è visto [ a. 3, ad 3; q. 88, a. 12, ad 1 ].

Ora, obbligarsi con un voto solenne e perpetuo al servizio di Dio è proprio dei vescovi e dei religiosi.

Invece i parroci e gli arcidiaconi non sono obbligati da un voto perpetuo e solenne a stare in cura d'anime, come al contrario accade per i vescovi.

Infatti i vescovi « non possono abbandonare [ la diocesi ] per alcun motivo, senza l'autorizzazione del Romano Pontefice », come è scritto nelle Decretali [ 3,31,18 ]; invece i parroci e gli arcidiaconi possono liberamente rassegnare nelle mani del vescovo il loro incarico senza una speciale autorizzazione del Papa, che è il solo a possedere la facoltà di dispensare dai voti perpetui.

Perciò è evidente che i parroci e gli arcidiaconi possono abbracciare la vita religiosa.

Analisi delle obiezioni:

1. I parroci e gli arcidiaconi si sono obbligati alla cura dei loro sudditi fino a che conservano il loro ufficio.

Ma essi non si sono obbligati a ritenere per sempre l'arcidiaconato o la parrocchia.

2. Scrive S. Girolamo [ Contra Vigilantium 15 ]: « E tuttavia i religiosi sentono il morso crudele della tua lingua viperina, quando obbietti: "Se tutti si rinchiudono, o si fanno eremiti, chi ufficerà nelle chiese? Chi salverà i secolari? Chi potrà esortare i peccatori alla virtù?".

Ma allora, se tutti si lasciassero vincere dalla tua follia, chi potrebbe essere saggio?

Non si dovrebbe infatti approvare neppure la verginità: perché se tutti restassero vergini non ci sarebbero le nozze, e perirebbe il genere umano.

La virtù è rara, e dai più non è desiderata ».

Perciò è evidente che questa paura è stolta: come se uno temesse di attingere l'acqua per paura che il fiume si secchi.

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