Summa Teologica - II-II

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Articolo 6 - Se per assistere i genitori si debba rinunziare a entrare in religione

Supra, q. 101, a. 4, ad 4; In 4 Sent., d. 38, q. 2, a. 4, sol. 2, ad 2; Quodl., 3, q. 6, a. 6; 10, q. 5, q. 1; In Matth., c. 4

Pare che per assistere i genitori si debba rinunziare a entrare in religione.

Infatti:

1. Non è lecito trascurare ciò che è necessario per fare un'opera buona facoltativa.

Ora, assistere i genitori è una cosa necessaria, in base al precetto che comanda di onorare il padre e la madre [ Es 20,12 ]; per cui l'Apostolo [ 1 Tm 5,4 ] scriveva: « Se una vedova ha figli o nipoti, questi imparino prima a praticare la pietà verso quelli della propria famiglia, e a rendere il contraccambio ai loro genitori ».

Invece entrare in religione è qualcosa di facoltativo.

Quindi non si deve trascurare di assistere i genitori per entrare in religione.

2. La dipendenza dei figli dai genitori è superiore a quella dello schiavo dal suo padrone: poiché la filiazione è naturale, mentre la schiavitù deriva dalla maledizione del peccato, come risulta dalla Scrittura [ Gen 9,22s ]

Ma lo schiavo non può abbandonare il servizio del suo padrone per entrare in religione o per ricevere gli ordini sacri, come è stabilito dal Decreto [ di Graz. 1,54,20 ].

Molto meno dunque un figlio può trascurare l'assistenza ai genitori per entrare in religione.

3. Si è più obbligati verso i genitori che verso un creditore a cui si deve del danaro.

Ora, chi deve ad altri del danaro non può entrare in religione, poiché nei Canoni [ Decr. di Graz. 1,53,1 ] si leggono queste parole di S. Gregorio: « In nessun modo si devono ricevere quelli che chiedono di entrare in monastero avendo obbligazioni pubbliche da soddisfare, se prima non si sono disimpegnati ».

Molto meno quindi i figli possono trascurare l'assistenza dei genitori per entrare in religione.

In contrario:

Nel Vangelo [ Mt 4,22 ] si legge che Giacomo e Giovanni, « lasciata la barca e il padre, seguirono il Signore ».

« La qual cosa », osserva S. Ilario [ In Mt 3 ], « ci insegna che per seguire Cristo non dobbiamo lasciarci trattenere dalle sollecitudini della casa paterna ».

Dimostrazione:

Come si è visto sopra trattando della pietà [ q. 101, a. 2, ad 2 ], i genitori come tali hanno l'aspetto di cause o princìpi: quindi di per sé spetta ad essi di avere cura dei figli.

E così nessuno che abbia dei figli può entrare in religione trascurando del tutto la loro cura, cioè senza aver provvisto alla loro educazione.

S. Paolo [ 1 Tm 5,8 ] infatti afferma che « se uno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele ».

Può capitare tuttavia in certi casi che i genitori abbiano essi bisogno dei figli: in quanto cioè si trovano in qualche necessità.

Perciò si deve dire che quando i genitori sono in una necessità tale da non poter essere assistiti decentemente se non dai loro figli, a questi ultimi non è lecito entrare in religione trascurando l'assistenza ai genitori.

Se questi invece non sono in una necessità tale da avere uno stretto bisogno dell'assistenza dei figli, allora costoro possono entrare in religione anche contro il comando dei genitori, dispensandosi dalla loro assistenza: poiché dopo gli anni della pubertà ogni persona libera può disporre liberamente del proprio stato, specialmente quando si tratta del servizio di Dio.

E « più che ai padri secondo la carne », dice S. Paolo [ Eb 12,9 ], « noi dobbiamo sottostare al Padre degli spiriti per avere la vita ».

Per questo il Signore [ Mt 8,21s; Lc 9,59s ] rimproverò il discepolo che non voleva seguirlo subito per andare prima a seppellire suo padre: poiché, come nota il Crisostomo [ In Mt hom. 27 ], « c'erano altri che potevano compiere tale opera ».

Analisi delle obiezioni:

1. Il comandamento di onorare i genitori non si estende solo all'assistenza materiale, ma anche a quella spirituale e ai segni di rispetto.

Perciò i religiosi possono adempiere il comandamento ricordato pregando per i genitori e prestando loro rispetto e assistenza, secondo che si addice allo stato religioso.

Del resto anche quelli che vivono nel secolo onorano i genitori in maniere diverse, secondo la condizione di ciascuno.

2. Essendo la schiavitù un castigo del peccato, essa priva l'uomo di qualche prerogativa che altrimenti gli spetterebbe, cioè della facoltà di disporre liberamente della propria persona: « Infatti il servo, per tutto ciò che è, è del padrone » [ Polit. 1,4 ].

I figli invece non sono menomati dalla sottomissione al padre così da non poter disporre liberamente della propria persona mettendosi al servizio di Dio: il che appartiene massimamente al bene dell'uomo.

3. Chi ha un obbligo determinato e definito non può trascurarlo lecitamente, se ha la possibilità di soddisfarlo.

Se quindi si è obbligati a rendere conto a qualcuno, o a pagare un debito, non si può lecitamente trascurare questi obblighi per entrare in religione.

Se tuttavia uno deve del danaro e non ha da pagare, è tenuto certamente a fare quanto è in suo potere, a cedere cioè i suoi beni al creditore, ma per il danaro la legge civile [ Codex 4,10,12 ] non impegna mai la persona, bensì i beni soltanto: poiché la persona libera « è superiore a qualsiasi prezzo ».

E così una volta offerti i suoi beni uno può entrare lecitamente in religione, e non è tenuto a rimanere nel secolo per procurarsi l'occorrente per saldare il debito.

- Ma un figlio non ha un debito specifico verso suo padre: salvo casi di stretta necessità, come si è già spiegato [ nel corpo ].

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