Summa Teologica - III

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Articolo 2 - Se in Cristo ci fosse il fomite del peccato

Infra, q. 27, a. 3, ad 1; Comp. Theol., c. 224

Pare che in Cristo ci fosse il fomite del peccato.

Infatti:

1. Il fomite del peccato e la passibilità o mortalità del corpo hanno la stessa origine: dipendono cioè dalla perdita della giustizia originale, che teneva le potenze inferiori sottomesse alla ragione e il corpo sottomesso all'anima.

Ma in Cristo c'era la passibilità e la mortalità del corpo.

Quindi c'era in lui anche il fomite del peccato.

2. Come dice il Damasceno [ De fide orth. 3,19 ], « il beneplacito della volontà divina lasciava alla carne di Cristo di patire e di operare conformemente alla sua natura ».

Ma è conforme alla natura della carne che essa desideri quanto le piace.

Poiché dunque, come spiega la Glossa [ su Rm 7,8 ], il fomite non è nient'altro che il desiderio, in Cristo c'era il fomite del peccato.

3. A causa del fomite « la carne ha desideri opposti a quelli dello spirito », come afferma l'Apostolo [ Gal 5,17 ].

Ma lo spirito si dimostra tanto più forte e più meritevole di premio quanto più trionfa sul nemico, cioè sulla concupiscenza della carne, poiché S. Paolo [ 2 Tm 2,5 ] scrive: « Non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole ».

Ora, Cristo aveva uno spirito straordinariamente forte, vittorioso e meritevole di premio, come di lui dice l'Apocalisse [ Ap 6,2 ]: « Gli fu data una corona, ed egli uscì vittorioso per vincere ancora ».

Quindi in Cristo ci doveva essere il fomite nel massimo grado.

In contrario:

Nel Vangelo [ Mt 1,20 ] si legge: « Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo ».

Ma lo Spirito Santo esclude il peccato e l'inclinazione al peccato implicita nel termine « fomite ».

Quindi in Cristo non c'era il fomite del peccato.

Dimostrazione:

Come si è detto sopra [ q. 7, aa. 2,9 ], Cristo aveva nel modo più perfetto la grazia e tutte le virtù.

Ma la virtù morale, estendendosi alla parte irrazionale dell'anima, la rende sottomessa alla ragione, e tanto meglio quanto più perfetta è la virtù: così la temperanza soggioga l'appetito concupiscibile, e la fortezza e la mansuetudine l'appetito irascibile, come si è visto nella Seconda Parte [ I-II, q. 56, a. 4 ].

Ora, il fomite consiste nell'inclinazione dell'appetito sensitivo a oggetti che sono contro la ragione.

È chiaro perciò che quanto più cresce in una persona la virtù, tanto più si smorza in essa la violenza del fomite.

Poiché dunque in Cristo la virtù raggiungeva il vertice più alto, ne segue che in lui non c'era il fomite del peccato; tanto più che questo difetto non è un mezzo di soddisfazione, ma piuttosto inclina a ciò che è contrario alla soddisfazione.

Analisi delle obiezioni:

1. Le facoltà inferiori dell'appetito sensitivo sono atte per natura a obbedire alla ragione; non così invece le potenze del corpo, o gli umori e anche le facoltà dell'anima vegetativa, come spiega Aristotele [ Ethic. 1,13 ].

Quindi la virtù perfetta, che è una rettitudine razionale, non esclude la passibilità del corpo; esclude però il fomite del peccato, che consiste nella resistenza dell'appetito sensitivo alla ragione.

2. Il corpo per sua natura desidera ciò che gli è piacevole con l'appetito sensitivo, ma il corpo dell'uomo, che è un animale razionale, sottomette questi suoi desideri al governo e all'ordine della ragione.

Così dunque il corpo di Cristo con l'appetito sensitivo cercava naturalmente il cibo, la bevanda, il sonno e altre cose simili che sono consentite dalla retta ragione, come risulta dal Damasceno [ De fide orth. 3,14 ]; ma da ciò non segue che in Cristo ci sia stato il fomite del peccato, che è la ricerca del piacere fuori dell'ordine razionale.

3. Lo spirito dimostra una certa fortezza resistendo alla concupiscenza della carne quando questa gli si oppone, ma dimostra una fortezza maggiore quando la reprime così totalmente da eliminarne le brame disordinate.

E questa era appunto la condizione di Cristo, il cui spirito aveva raggiunto il sommo grado della fortezza.

Sebbene poi egli non abbia dovuto sostenere il combattimento interiore del fomite, subì però la lotta esterna del mondo e del diavolo, trionfando dei quali meritò la corona della vittoria.

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