Summa Teologica - III

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Articolo 1 - Se in Cristo ci fosse il peccato

Supra, q. 4, a. 6, ad 2; q. 14, a. 3; infra, q. 31, a. 7; In 3 Sent., d. 12, q. 2, a. 1, ad 1; d. 13, q. 1, a. 1, ad 5; a. 2, q. 1

Pare che in Cristo ci fosse il peccato.

Infatti:

1. Il Salmista [ Sal 22,2 ] scrive: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Il grido dei miei peccati allontana da me la salvezza ».

Ma queste parole sono dette in persona di Cristo, come risulta dal fatto che egli le proferì sulla croce [ Mt 27,46 ].

Quindi in Cristo c'erano dei peccati.

2. L'Apostolo [ Rm 5,12 ] dice che « tutti hanno peccato in Adamo », in quanto cioè erano in lui come nella loro origine.

Ma anche Cristo era originalmente in Adamo.

Quindi peccò in lui.

3. L'Apostolo [ Eb 2,18 ] scrive che Cristo, « essendo stato messo alla prova e avendo sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova ».

Ma questi avevano bisogno del suo aiuto specialmente contro il peccato.

Quindi in lui ci fu il peccato.

4. S. Paolo [ 2 Cor 5,21 ] dichiara che « Dio ha fatto diventare peccato in nostro favore colui che non aveva conosciuto il peccato », cioè Cristo.

Ma ciò che Dio opera si compie davvero.

In Cristo dunque c'era veramente il peccato.

5. Come afferma S. Agostino [ De agone christ. 11.12 ], « in Cristo uomo si è presentato a noi quale modello il Figlio di Dio ».

Ma l'uomo ha bisogno di un modello non solo per vivere rettamente, ma anche per pentirsi dei peccati.

In Cristo dunque ci doveva essere il peccato affinché egli pentendosi potesse dare a noi un esempio di penitenza.

In contrario:

Nel Vangelo [ Gv 8,46 ] si legge: « Chi di voi può convincermi di peccato? ».

Dimostrazione:

Come si è detto sopra [ q. 14, a. 1 ], Cristo assunse i nostri limiti per soddisfare per noi, per dimostrare la realtà della sua natura umana e per divenire per noi un esempio di virtù.

E per questi tre motivi è evidente che non doveva assumere il peccato.

Primo, perché il peccato non contribuisce alla soddisfazione, anzi, ne impedisce l'efficacia, poiché secondo la Scrittura [ Sir 34,23 ] « l'Altissimo non gradisce le offerte degli empi ».

Similmente il peccato non serve a dimostrare la realtà della natura umana, in quanto il peccato non è essenziale alla natura umana che ha Dio per autore, ma fu piuttosto introdotto contro la natura « attraverso la seminagione del diavolo », come dice il Damasceno [ De fide orth. 3,20 ].

Terzo, egli non poteva, peccando, darci un esempio di virtù, essendo il peccato contrario alla virtù.

Di conseguenza Cristo non assunse in alcun modo la miseria del peccato, né originale né attuale, come dice S. Pietro [ 1 Pt 2,22 ]: « Egli non commise peccato, e non si trovò inganno sulla sua bocca ».

Analisi delle obiezioni:

1. Come nota il Damasceno [ De fide orth. 3,25 ], ciò che viene attribuito a Cristo talvolta lo riguarda nelle sue proprietà naturali e ipostatiche, come quando si dice che si è fatto uomo e che ha patito per noi, altre volte invece lo riguarda solo come nostro rappresentante, e non gli conviene per nulla in senso proprio e personale.

Per cui anche la prima delle sette regole di Ticonio ricordate da S. Agostino [ De doctr. christ. 3,21.31 ] riguarda « il Signore e il suo corpo », in quanto cioè « Cristo e la Chiesa vengono considerati una sola persona ».

E in base a ciò Cristo pronunzia le parole: « Il grido dei miei peccati » a nome delle sue membra, e non nel senso che in lui stesso che ne è il capo ci fossero dei peccati.

2. Come spiega S. Agostino [ De Gen. ad litt. 10,20.36 ], Cristo non era in Adamo e negli altri Patriarchi alla stessa maniera nostra.

Noi infatti eravamo in Adamo per la ragione seminale e la materia corporea: in quanto cioè, egli aggiunge, « distinguendosi nel seme una materia visibile e una ragione seminale invisibile, ambedue ci vengono da Adamo.

Cristo invece prese dalla carne della Vergine la sostanza visibile della sua carne, mentre la ragione seminale della sua concezione non veniva dal seme virile, ma da una causa ben diversa e molto più alta ».

Perciò Cristo non era in Adamo quanto alla forza genetica del seme, ma solo quanto alla materia fecondabile.

Quindi Cristo ebbe da Adamo la natura umana non attivamente, ma solo materialmente; attivamente invece l'ebbe dallo Spirito Santo: come anche lo stesso Adamo ebbe il corpo materialmente dal fango della terra, e attivamente da Dio [ Gen 2,7 ].

Cristo dunque non peccò in Adamo, perché fu in lui solo materialmente.

3. Cristo ci fu di aiuto soddisfacendo per noi con le sue tentazioni e sofferenze.

Il peccato invece non contribuisce alla soddisfazione, ma piuttosto la impedisce, come si è detto [ nel corpo ].

Non bisognava dunque che egli avesse in sé il peccato, ma che ne fosse totalmente immune; altrimenti la pena da lui subita sarebbe stata dovuta al suo proprio peccato.

4. Dio « ha fatto diventare peccato Cristo » non già permettendone il peccato, ma facendolo vittima del peccato: come anche secondo il profeta [ Os 4,8 ] i sacerdoti « mangeranno i peccati del popolo », dal momento che a norma della legge [ Lv 6,23 ] mangiavano le vittime immolate per il peccato.

E nello stesso senso si legge in Isaia [ Is 53,6 ]: « Il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti »; in quanto cioè lo consegnò perché fosse vittima dei peccati di tutti gli uomini.

Oppure si può dire che « lo fece peccato » nel senso che lo fece « con una carne somigliante a quella del peccato », come dice S. Paolo [ Rm 8,3 ].

E ciò a motivo del corpo passibile e mortale che egli assunse.

5. L'esempio lodevole che dà il penitente non è quello del suo peccato, ma quello della volontarietà con cui ne sopporta la pena.

Perciò Cristo ha offerto ai penitenti l'esempio più grande subendo volontariamente la pena per i peccati degli altri, senza alcun peccato suo proprio.

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